giustizia e digitale

Il futuro delle professioni legali con l’AI: cosa verrà dopo la giustizia predittiva?

Sterilizzare l’utilità dell’avvocato e disabituarlo allo studio e alla riflessione giuridica: l’intelligenza artificiale avrà questi effetti sulle professioni legali? La centralità della supervisione umana è un principio destinato al tramonto? Proviamo a riflettere sull’impatto delle tecnologie nella giustizia

Pubblicato il 05 Apr 2023

Vittorio Colomba

Avvocato esperto in diritto delle nuove tecnologie e protezione dei dati personali

Crm,Customer,Relationship,Management,Business,Sales,Marketing,Technology,Concept.

La giustizia del futuro sarà “predittiva”: grazie all’aiuto dell’intelligenza artificiale, i processi saranno più veloci, minore sarà il numero delle liti e la tendenza sarà quello di spingere verso soluzioni concordate.

Ma quale sarà il passo successivo? E, soprattutto, pur senza voler addossare responsabilità allo sviluppo della tecnologia, è questa la strada che vogliamo prendere?

Per capire dove siamo arrivati, facciamo prima un passo indietro.

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L’Italia culla del diritto

Capita spesso, durante i convegni, di registrare l’amarezza dell’accademico di turno che pone in evidenza come, seppure l’Italia ami definirsi la culla del diritto (ricostruzione storica indubitabile), da noi la creatura non sia mai cresciuta.

Virgilio Andrioli, Ordinario di procedura civile e poi Giudice costituzionale, terrore degli studenti della Sapienza, già nel 1974 espresse quest’idea con ineccepibile chiarezza: “L’Italia è la culla der diritto ed er diritto ce s’è cullato così bene che s’è addormito e nun se sveia più”.

E mentre il diritto sostanziale vive la sua stagione paludosa, in un proliferare incontrollato di norme scarsamente comprensibili e tendenzialmente inattuabili, il mondo circostante evolve e finisce per incidere, significativamente, sulle dinamiche di sviluppo delle professioni legali.

Quasi a prendere atto della sostanziale fallacia del nostro sistema giudiziario, difatti, assistiamo quotidianamente al moltiplicarsi degli sforzi tesi a rendere inutili gli avvocati e a sgravare di lavoro i magistrati.

Svuotare i Tribunali (diciamolo bene: defatigarne il contenzioso pendente) è uno dei dichiarati obiettivi degli interventi normativi dell’ultimo ventennio, da ultimo con la temutissima cd. riforma Cartabia.

Mediazione, conciliazione, sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie, revisione dei termini processuali, udienze cartolari: tutto pur di consentire ai giudici di aprire i fascicoli di causa il più tardi possibile e per suggerire alle parti – più che suggerire spingerle a forza verso – l’opportunità di trovare un accordo prima che arrivi il temuto momento di studiare la causa per davvero e scrivere la sentenza.

Sul tema ci sarebbe di cui discutere per ore, ma non è il focus di questa riflessione.

L’intelligenza artificiale panacea di tutti i mali?

Ciò che qui ci occupa è lo sforzo tecnologico attualmente in atto il cui risultato sarà, a parere di chi scrive, sterilizzare l’utilità dell’avvocato e disabituarlo allo studio e alla riflessione giuridica: l’intelligenza artificiale.

Solo un’assurda miopia può impedire di accorgersi come lo “human in the loop”, la centralità della supervisione umana, sia principio destinato ad un rapido tramonto.

Si prendano in considerazione i progetti già in fase di sviluppo presso diversi Tribunali (da ultimo Genova e Pisa): il primo passo prevede l’annotazione semantica di una serie di decisioni negli ambiti del danno alla persona e dell’assegno di separazione e divorzio.

Questa attività, mirata ad “allenare” l’algoritmo, consentirà al sistema di riconoscere ed appuntare in modo automatico le decisioni in quelle specifiche materie.

In questo modo, il machine learning dovrebbe evolvere e riuscire ad individuare all’interno del testo, ovviamente senza intervento umano, non delle semplici parole chiave ma complete espressioni, frasi o formule.

A valle del riconoscimento, le pronunce selezionate verranno “etichettate” e distinte per ambiti e contenuti.

Verso la giustizia predittiva

Attraverso la costruzione di una base dati semanticamente annotata, ricercabile con linguaggio naturale, consultabile da tutti, sarà possibile compiere il passo successivo: l’elaborazione di algoritmi predittivi.

Una conoscenza organizzata e capillare dei tempi di decisione di un tribunale, nonché delle prassi e degli orientamenti giurisprudenziali, sarebbe il viatico per riuscire a prevedere, con una certa approssimazione, lo sviluppo e l’esito di un contenzioso prima ancora di avviarlo.

Grazie al supporto fornito da questa sofisticata creatura munita di intelligenza artificiale, difatti, si potrebbe aprire una finestra sul futur(ibile) e risultare agevolati nel compiere qualche consapevole valutazione anticipata.

Giustizia “predittiva”, quindi, intorno alla quale stanno lavorando da tempo, di concerto tra loro, alcune università e diversi tribunali, a testimonianza dell’attenzione che l’universo dei giuristi presta a queste forme evolute di dialogo tra diritto e tecnologia.

Almeno per il momento si lavora solo alla prospettiva di servire agli operatori del diritto uno strumento accessorio di natura consultiva, una sorta di oracolo processuale.

Qualora il sistema si mostrasse affidabile, i benefici sarebbero facilmente misurabili in termini di accelerazione dei processi, riduzione delle liti e impulso a soluzioni concordate.

Ma il passo successivo quale sarà?

L’impatto della tecnologia sulle professioni giuridiche

A questa domanda, molti operatori del diritto si affrettano, con comprensibile preoccupazione, ad affermare che la tecnologia affiancherà l’uomo, ma non lo sostituirà.

Non è però così, e pensare che le macchine non eroderanno una parte significativa dello spazio occupato dai legali è purtroppo una mera illusione.

Si tratta di un fenomeno già in corso da anni, che l’impatto dell’intelligenza artificiale non potrà far altro che accrescere.

Ridurre l’attività significherà contrarre il lavoro, di conseguenza il guadagno e lo spazio disponibile sul mercato dei servizi legali.

Qualche tempo fa fece un certo scalpore uno studio McKinsey Global Institute.

Secondo quella ricerca, circa il 50% dei lavori svolti attualmente da persone fisiche, nel mondo, potranno essere automatizzati quando le tecnologie attualmente in fase di studio saranno affinate e diffuse su scala globale.

Cosa sta accadendo negli Usa

A tal proposito, osservare i movimenti in corso negli Stati Uniti consente di prevedere, con la consueta approssimazione media di circa un decennio, cosa accadrà dalle nostre parti.

Oltreoceano, negli ultimi anni, l’impatto della tecnologia sulle professioni giuridiche è stato chiaramente avvertito.

Gli avvocati stanno affrontando la sfida di quelle che ormai vengono definite disruptive legal technologies (tecnologie giuridiche dirompenti).

Secondo un recente report dell’Università di Stanford: “anche se la maggior parte del lavoro di un avvocato non è ancora meccanizzata, l’intelligenza artificiale applicata all’estrazione di informazioni giuridiche e alla costruzione degli argomenti ha automatizzato parti del lavoro degli avvocati appena abilitati (first-year lawyers)”.

Nel nostro Paese esiste un serio problema di avviamento alla professione dei giovani avvocati, già di per sé costretti a farsi largo tra mille difficoltà e che, da un po’ devono fare i conti anche con una tecnologia in grado di ridurre la loro utilità e, di conseguenza, la loro possibilità di crescita professionale.

Ancora uno sguardo agli Stati Uniti.

Le prestazioni di servizi di consulenza legale multitasking si stanno trasferendo su piattaforme telematiche oppure sono realizzate attraverso sistemi esperti, mentre l’accesso ai big data sulla rete Internet è basato su motori di ricerca che hanno ormai definitivamente eliminato la consultazione e lo studio dei testi cartacei.

L’assistenza difensiva avviene essenzialmente tramite i portali della giustizia telematica e sta diventando prevalente non soltanto nel settore pubblico, ma anche in quello privato. L’uso della rete Internet e dei sistemi di intelligenza artificiale si sta avviando ad essere la modalità principale di gestione della giustizia arbitrale e delle procedure di mediazione e di gestione alternativa delle controversie (ADR).

Esiste, infine, un ultimo aspetto che francamente mi terrorizza: l’accesso a queste tecnologie da parte dei clienti.

Conclusioni

Chiunque eserciti la professione di avvocato sa che, prima o poi, arriva il momento in cui deve confrontarsi con la contrarietà di un cliente rispetto alle strategie processuali adottate: una volta perché wikipedia o simili suggeriscono inquadramenti diversi della fattispecie, in altri casi perché il parente o l’amico avvocato ha offerto “preziosi” suggerimenti di cui tenere conto (siamo circa 242 mila, tutti hanno un parente o un amico avvocato!).

Quando dovremo confrontarci anche con i pareri espressi da chatGPT (e quando lo sviluppo tecnologico avrà reso quei pareri più attendibili rispetto a quelli umani), sarà davvero venuto il momento di andare a pesca.

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