L’innovazione nella giustizia italiana è certamente una delle più difficili sfide dei nostri tempi. Digitalizzare la giustizia non significa semplicemente introdurre nuove regole per disciplinare l’utilizzo degli strumenti informatici nel processo civile, amministrativo o penale. Si tratta, invece, di una vera e propria “rivoluzione” anche di carattere culturale che purtroppo incontra, inevitabilmente, una serie di ostacoli e criticità dovuti, a mio avviso, principalmente alla paura del “cambiamento”.
Purtroppo, l’esperienza dimostra che, in molti casi, questi timori sono tutt’altro che infondati.
Ecco cosa accade quando si deposita una busta telematica
Il processo civile telematico (PCT), come noto, si fonda sull’invio di una e/o più buste telematiche all’ufficio giudiziario tramite PEC (la busta telematica non è altro che un file cifrato che contiene al suo interno i documenti che si depositano unitamente a informazioni in formato strutturato).
Il deposito effettuato sarà, materialmente, visibile sul fascicolo informatico (e, quindi, anche al Giudice) solo alla ricezione di ben quattro ricevute. Si tratta della ricevuta di accettazione e consegna (tipiche di ogni messaggio PEC), del superamento dei controlli automatici e dell’accettazione del cancelliere.
Dove sono i problemi?
I timori degli avvocati si incentrano su due momenti:
- i controlli automatici e
- l’accettazione del cancelliere.
La fase dei controlli automatici si fonda sull’esecuzione di una serie di verifiche sul messaggio e sul contenuto della busta per riscontrare l’esistenza di errori bloccanti (FATAL) e/o di anomalie non bloccanti (WARN).
Un tipico esempio è l’errore nell’indicazione del numero di ruolo: il sistema, giustamente, segnalerà l’errore e specificherà la necessità di verifiche tecniche da parte della cancelleria.
In questo caso la gestione dell’errore risulta coerente e logica.
In altri casi, il sistema restituisce un messaggio di errore, contenente un mero codice (es. E505), praticamente incomprensibile per l’avvocato non particolarmente digitalizzato.
Ad esempio, si pensi che utilizzare la stringa “deposito” invece di “DEPOSITO” nell’oggetto del messaggio contenente la busta telematica darà luogo a un errore di tipo FATAL che, di fatto, impedisce il perfezionarsi del deposito telematici. A quel punto, l’avvocato si vedrebbe costretto a presentare un’istanza di rimessione in termini, soggetta, come tutte le richieste, all’alea del giudizio e ai relativi tempi.
La domanda è: “ha senso prevedere un errore bloccante per aver scritto deposito in luogo di DEPOSITO”?. La responsabilità non è certo della “macchina” ma di chi ha inserito la relativa istruzione.
Passiamo, ora, alla quarta ricevuta, quella del cancelliere.
Si è già detto che, in assenza della formale accettazione del cancelliere, il deposito non sarà visibile sul fascicolo informatico del procedimento in questione.
I tempi di “accettazione” variano da foro a foro, da cancelleria a cancelleria: alcune sono rapidissime, altre meno.
Il ritardo nell’accettazione, inevitabilmente, incide sulla migliore esplicazione del diritto di difesa: “meno tempo si ha per replicare, peggiore sarà la difesa tecnica”.
Ma vi è di più. Può accadere che il cancelliere rifiuti il deposito telematico. Ciò implica per l’avvocato, la necessità di ripresentare il deposito ed, eventualmente, anche qui, richiedere la rimessione in termini.
Che si tratti di una problematica sentita è testimoniato dal fatto che il Tribunale di Milano, recentemente, si è trovato nella necessità di pronunciare, con ordinanza (Ord. 23 aprile 2016), il divieto per il cancelliere di rifiutare gli atti, se non nei casi più gravi di errori FATAL, atteso che diversamente, “ il giudice si trova nella totale impossibilità di verificare la correttezza della decisione del cancelliere, con conseguente pregiudizio della parte, la quale non può esplicare il proprio diritto costituzionale alla difesa, in quanto la decisione del cancelliere diventa, sostanzialmente, irrevocabile.”
Quali sono, dunque, le conclusioni?
A mio avviso, è evidente che buona parte degli avvocati ha una serie di perplessità sulla digitalizzazione della giustizia. Ma come ho già avuto modo di precisare, “non dipende dallo strumento informatico in sé, ma da come viene utilizzato”.
Il problema è, in realtà, più di “processo” che di “prodotto”.
Digitalizzare significa anche e soprattutto semplificazione dei procedimenti. Ad esempio, la questione dell’accettazione del cancelliere potrebbe essere risolta, semplicemente, eliminandola di default (ossia in caso di superamento dei controlli automatici) e trasformandola in semplice assistenza successiva (es. per risolvere eventuali anomalie e/o problemi).
Allo stesso modo occorrerebbe un ripensamento degli errori nella fase dei controlli automatici per evitare che depositi telematici sostanzialmente perfetti vengano respinti per ragioni logicamente incomprensibili (come il “deposito” invece di “DEPOSITO”).
Solo innovando i processi ed applicando, di conseguenza, gli strumenti informatici si può ricavare un reale beneficio. Se si pensa di utilizzare l’informatica solo per “digitalizzare” i processi esistenti, sarà, a mio avviso, l’ennesima occasione persa.