Il project management nel piano triennale triennale per l’informatica nella PA 2019-2021 viene valorizzato con l’introduzione di nuove azioni. Se ne riconosce l’importanza per l’attuazione delle disposizioni stesse del piano.
L’obiettivo della presente analisi è individuare quali sono i passi avanti previsti nell’applicazione della disciplina del project management per la realizzazione di questa strategia, fondamentale per la crescita o sopravvivenza (dipende dai punti di vista) nelle economie evolute del nostro Paese.
Il contesto
Il nuovo piano strategico 2019- 2021 è stato emesso, dopo l’approvazione del Ministro Giulia Bongiorno, l’11 marzo e ovviamente rappresenta la linea individuata per superare le difficoltà finora incontrate nella realizzazione della trasformazione digitale della PA. Il precedente piano 2017-19 era stato emesso a maggio 2017, come frutto della collaborazione del direttore pro-tempore Antonio Samaritani con l’allora commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda Digitale Diego Piacentini. Il piano attuale ha una necessaria continuità con il precedente, ma anche diversi elementi innovativi nell’approccio, che comunque sono ben individuati da altri esperti del settore. Risulta evidente il significativo indirizzo dato in questo senso da Teresa Alvaro, che già nella sua precedente esperienza aveva portato l’Agenzia delle Dogane ad un confortante livello di “maturità” nella applicazione del Project Management (PM).
È inoltre presumibile il coinvolgimento, forse non formale, di Luca Attias, attuale Commissario Straordinario per l’attuazione dell’Agenda Digitale, che sicuramente è anch’egli fautore delle metodiche PM: la sua pluriennale attività in Corte dei Conti lo dimostra.
Elementi di evoluzione del PM nel nuovo piano
Scorrendo il nuovo piano, si notano diversi punti che fanno esplicito riferimento al PM e che non erano stati prima del tutto “tracciati”:
- nella sez. 10 – Modelli e strumenti per l’innovazione, cap. Smart Landscape: verso un nuovo modello di smart community, si segnala l’esperienza di Dubai come “molto interessante in questo scenario la creazione di un PMO nazionale a supporto di tutti i progetti smart”;
- nella sez. 11 – Governare la trasformazione digitale, il primo dei concetti attraverso i quali passa la trasformazione digitale riguarda la “semplificazione”, da attuare attraverso la riorganizzazione dei processi. Tale compito viene affidato a chi nelle Amministrazioni, sovraintende a tali processi e per fare ciò deve “…avere una solida consapevolezza delle opportunità che in questo senso il digitale offre. Si tratta di dare alle figure di coordinamento istituite dal CAD, i Responsabili della transizione al digitale, riconoscimento e potere e le risorse per operare. Tali figure dovranno coniugare competenze di project management con competenze di governo di sistemi: non sono richieste conoscenze sulle tecnicalità, ma piuttosto una conoscenza approfondita dei progetti e delle iniziative, che si coniughi con la comprensione delle esigenze dei cittadini e delle imprese. Come si vede, l’importanza delle competenze in project management è un elemento voluto ed evidenziato sia nella parte introduttiva del capitolo 11, ripreso poi nel paragrafo 11.4 con la definizione di un’apposita linea di azione finalizzata alla progettazione ed erogazione di corsi di project management per i RTD (Responsabili della transizione alla modalità digitale).
- nella sez. 11 – Governare la trasformazione digitale, cap. 11.1 – Le leve per il coordinamento sul territorio, tra le linee di azione si dichiara la necessità di costituire “Unità di Program Management Office nazionali e regionali” (LA79) che prevede, come primi risultati, la “Creazione di una piattaforma per il PMO e di un modello operativo di azione (giugno 2019) e Avvio del PMO regionale su 3 Regioni Pilota (dicembre 2019)”;
- nella sez. 11 – Governare la trasformazione digitale, cap. 11.3 – Il monitoraggio; rientra tra gli obiettivi “Definire una metodologia che consenta di individuare tutti gli indicatori pertinenti per la misurazione delle Agende digitali regionali, la loro puntuale tassonomia e soprattutto la modalità di reperimento dei dati che ne consentono la misurazione; far partecipare le amministrazioni centrali e locali alla definizione delle modalità e alla raccolta dei dati utili al calcolo degli indicatori, così come definiti anche attraverso le attività dei Project manager office; facilitare la rappresentazione dell’avanzamento ed eventuali criticità, non solo per ottenere una visione di insieme, ma anche per permettere a ciascuna amministrazione di verificare i dati del proprio ambito/territorio….”. Si prevede come risultato di ottenere una “Piattaforma di monitoraggio in esercizio per la raccolta dei dati e la rappresentazione degli indicatori (dicembre 2019)”, che così come descritta sembra proprio essere una piattaforma per esercitare le funzioni di PM!
- nella sez. 11 – Governare la trasformazione digitale, cap. 11.4 – Il rafforzamento delle competenze, si conferma che “nell’ultimo biennio la Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA) e il Formez, in collaborazione con Agid e Team per la trasformazione digitale, hanno avviato, e tuttora è ancora in corso, una intensa attività di formazione rivolta ai dipendenti della Pubblica Amministrazione”. Di particolare rilevanza è quanto indicato nella linea di azione (LA86) che prevede la progettazione ed erogazione di corsi di ICT project management per RTD (responsabili trasformazione digitale)”. È questa una iniziativa estremamente importate, in quanto finalizzata a fornire le competenze necessarie per individuare, valutare, pianificare e gestire i progetti di trasformazione digitale.
Ma nel contempo alcuni punti della precedente versione del piano triennale non sono stati più citati:
- nella sez. 10 – Gestione del cambiamento, tra le linee di azione era indicata la avvenuta costituzione in Agid, per la gestione del Piano, di “un gruppo di program management che garantisce la gestione del Piano e coordina le azioni di raccolta dei dati e delle informazioni dalle PA;
- nella sez. 13 – Principi per lo sviluppo di progetti digitali, si raccomanda tra l’altro alle PA di “nominare un Technical Project Manager, ovvero una persona che, all’interno dell’ente o comunque non legata all’impresa che realizzerà il prodotto, abbia forti competenze sulle tecnologie che andranno ad essere utilizzate e sia in grado di verificare la qualità del lavoro, aiutando nel coordinare le attività. Questa figura può essere individuata nel direttore dell’esecuzione dei lavori previsto dal Codice degli Appalti o in un suo delegato”.
Mentre il primo potrebbe non essere stato citato, dandolo (auspicabilmente) come un risultato già acquisito, la mancanza del secondo è forse spiegabile con la considerazione che tale ruolo poco ha a che fare con la disciplina del PM, ma piuttosto con quella dell’ICT systems engineering.
Una maggiore attenzione al project management
Dalla preliminare analisi del nuovo piano strategico emerge una maggiore attenzione alla applicazione delle metodiche inerenti il program/project management, come fattore abilitante la realizzazione del piano stesso. Alcune azioni sono riprese dal precedente piano, ma la maggior parte sono nuove, dichiarate sia come già intraprese o messe a calendario nel breve termine.
Tra queste risulta particolarmente rilevante la necessità di costituire veri e propri PMO (Program/Project Management Office) a livello nazionale e regionale: un esempio è l’accordo quadro siglato a febbraio 2018 tra l’Agenzia e la Conferenza delle Regioni ed il conseguente accordo con la Regione Abruzzo del giugno 2018, per l’attuazione della propria agenda digitale. Tale iniziativa e le altre che seguiranno presumibilmente saranno anche a supporto dei RTD (Responsabili della Transizione al Digitale) che ogni PA dovrebbe avere. Ma questo non costituisce una novità, e non solo per l’ICT, nei Paesi economicamente sviluppati, (Usa, Uk, Canada e Australia) ed anche nei Paesi in via di sviluppo (come le Filippine).
Si sta attuando quello che autori di ISIPM avevano auspicato circa la possibilità di replicare, con il giusto grado di adeguamento al contesto della PA italiana, quanto stabilito negli USA con l’emanazione del Program Management Improvement and Accountability Act (PMIAA) che ha “previsto di applicare la metodologia di program/project management in ottica di portafoglio, secondo le migliori pratiche adottate dalle organizzazioni per garantire la coerenza dei programmi/progetti con le strategie adottate, con la previsione esplicita di un meccanismo di revisione e verifica nel tempo che consenta di modificare/adattare/cancellare gli stessi programmi/progetti in funzione delle eventuali variazioni apportate alla strategia”. Si tratta di un approccio che opportunamente adattato al contesto nazionale, potrebbe costituire un valido supporto all’azione del RTD, ma anche del RUP/DEC, per guidare le Amministrazioni verso una gestione disciplinata delle iniziative progettuali.
Gli scenari
Non siamo però all’anno zero; almeno nell’ICT, già da alcuni anni si sono attivate alcune ns. PA particolarmente sensibili al tema. Ovviamente il piano di una formazione diffusa sulle metodiche del PM costituisce un prerequisito e, come già in corso per i RUP (con il contributo marginale degli stessi autori), anche nell’ICT va opportunamente avviato: d’altra parte, in molti casi nell’ICT vi sono molti RUP, vista la propensione all’outsourcing verso fornitori esterni per l’attuazione di prodotti/servizi digitali. A tutt’oggi, il meritorio impegno profuso dagli organismi citati per il rafforzamento delle competenze ICT nel personale della PA non sembra si sia ancora focalizzato su questo tema, se non per una iniziativa Formez rivolta agli Enti Locali del Mezzogiorno, orientata principalmente per ottenere ed utilizzare/rendicontare correttamente i fondi europei.
Visto che in anni recenti gli stessi autori si sono cimentati in ripetute iniziative SNA per la diffusione delle conoscenze e dell’utilizzo del PM nell’ICT della PA centrale e locale, ci si augura che a breve si possa riprendere questo cammino, vista la conclamata rilevanza della disciplina, non solo per raggiungere un corretto equilibrio tra costi/tempi/qualità, che costituiscono il famoso “triangolo di ferro” del PM, ma anche per raggiungere i benefici attesi che la più recente letteratura specializzata giustamente ritiene essere il vero obiettivo del PM: il “benefit management”, sia per la PA stessa, ma ancora di più per i vari stakeholder: cittadini, imprese, terzo settore, ecc. In sintesi, per l’intero sistema Paese. Se è vero che “ogni lungo cammino inizia sempre con un piccolo passo” con questo piano triennale in tema di PM si è fatto un bel balzo in avanti e nella giusta direzione.