l'analisi

Rally delle criptovalute, cosa accade al bitcoin? Le questioni sul tavolo

L’andamento del bitcoin e le motivazioni che ne hanno ostacolato e ne ostacolano la diffusione come metodo di pagamento su larga scala: un’analisi dello stato dell’arte e del futuro di questa criptovaluta

Pubblicato il 06 Lug 2021

Lorenzo Principali

direttore Area Digitale di I-Com

Domenico Salerno

direttore Area Digitale dell’Istituto per la Competitività (I-Com)

bitcoin

Il recente crollo nella valutazione del BitCoin (o BTC), che ha portato la valuta digitale a perdere quasi il 50% della sua quotazione di mercato in pochi giorni, ha riacceso la luce sul fenomeno delle criptovalute e del loro effettivo valore. Nonostante il parziale recupero delle ultime settimane, l’evento merita un’analisi particolare.

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La volatilità del BitCoin

L’assenza di una o più entità sovraordinate ha di certo reso l’ecosistema BitCoin più libero e democratico rispetto ai mercati tradizionali. Se questo può essere visto come il principale vantaggio di questo strumento, la decentralizzazione è anche una delle sue principali debolezze e probabilmente una delle ragioni della sua volatilità. Infatti, la mancanza di un soggetto in grado di intervenire, ad esempio attivando azioni utili a calmierare le oscillazioni, di fatto lascia l’andamento della moneta completamente in balìa delle dinamiche di mercato. Questo rende il BitCoin facile preda di speculatori e, più in generale, fortemente dipendente dai cambiamenti d’umore degli investitori (e in particolare di quelli più “pesanti”).

Osservando l’andamento della valutazione del BitCoin negli ultimi 5 anni, risulta evidente il continuo alternarsi di picchi inaspettati e crolli vertiginosi. Rispetto a questi ultimi, uno dei primi grandi crolli si è verificato all’inizio del 2018: tra il 7 gennaio e il 5 febbraio di quell’anno, la criptovaluta ha lasciato sul terreno il 57% del proprio valore. Oscillazioni di questo tipo, più o meno marcate, si sono susseguite più volte nel corso degli ultimi anni, trasformando di fatto il BitCoin in una sorta di scommessa finanziaria più che in uno strumento di pagamento.

Il recente crollo dello scorso maggio 2021 è stato, in valore assoluto, il più rovinoso della storia della moneta virtuale. Un BTC è passato in poco più di un mese dal valere oltre $ 63 mila meno di 35 mila (-45%). Le ragioni di questo crollo non sono tuttavia addebitabili soltanto alle caratteristiche della moneta e all’azione speculativa. Sull’andamento del BitCoin hanno pesato infatti due problemi che affliggono strutturalmente questo ecosistema: la questione energetica e l’ostracismo politico.

Valutazione di mercato giornaliera del BitCoin tra il 31 maggio 2017 e il 31 maggio 2021

La questione energetica

Per essere aggiunti alla catena, i nuovi blocchi necessitano di essere controllati e crittografati. Questo passaggio consiste nella soluzione di un’operazione matematica di estrema complessità. Per calcolare il contenuto di una stringa viene utilizzato un software che esegue un numero sterminato di tentativi, e per questo ha bisogno un’enorme potenza di calcolo. Per tali ragioni, il funzionamento della blockchain si basa sui cosiddetti “minatori”, utenti che prestano la propria potenza di calcolo per risolvere queste complesse operazioni in cambio di una remunerazione in BitCoin (6,25 BTC per ogni nuovo blocco più una quota variabile delle commissioni sulle operazioni effettuate dagli utenti).

Per stimare il consumo di energia elettrica legato ai BitCoin, l’Università di Cambridge ha sviluppato un indice che viene aggiornato giornalmente, il Bitcoin electricity consumption index. Secondo gli ultimi dati estratti (1/06/2021), il mining – ovvero l’attività di elaborazione dei calcoli che sorregge il funzionamento della blockchain – consumerebbe attualmente circa 114,81 TWh all’anno, pari al 38% delle energia elettrica consumata in Italia nel 2020 (302,7 TWh).

Se è vero che paragonare il consumo di un sistema transnazionale con quello di una singola nazione può apparire disomogeneo, è altrettanto vero che, in valori assoluti, tale dispendio energetico appare enorme, tanto da spingere alcuni Stati ad intervenire per vietare l’attività di mining. Tra questi figura l’Iran, uno dei paesi con la maggior presenza di centri di mining autorizzati dallo Stato (circa 1600), che pochi giorni fa ha imposto un divieto a tale attività poiché ritenuta rischiosa per la stabilità del sistema energetico nazionale.

Particolarmente nota a tal proposito è anche la vicenda legata ad Elon Musk, co-fondatore e Ceo di Tesla, che ha prima dato il proprio endorsment all’acquisto delle proprie automobili in BTC per poi fare dietrofront dopo le migliaia di critiche ricevute a causa dell’impatto ambientale della criptovaluta.

Gli ostacoli politici

L’enorme dispendio energetico non è l’unico ostacolo alla diffusione delle criptovalute. La maggior parte dei Governi e delle Banche Centrali non vede di buon occhio la diffusione del BitCoin come metodo di pagamento. L’impossibilità di conoscere gli intestatari dei wallet e l’eccessiva volatilità hanno conferito al BTC una pessima reputazione tra i soggetti regolatori.

L’ultimo crollo del valore del BitCoin è infatti da attribuirsi con molta probabilità alla decisione delle tre autorità cinesi responsabili della vigilanza sulle banche e i sistemi di pagamento – la National Internet Finance Association of China, la China Banking Association e la Payment and Clearing Association of China – di chiedere agli abitanti del Paese di non utilizzare più criptovalute per nessuna operazione (incluso il trading). La preoccupazione principale delle autorità cinesi sembrerebbe essere legata alla difficoltà di controllare i flussi monetari che viaggiano nel sistema BitCoin e il pericolo di una crescita del fenomeno dello shadow banking (un sistema creditizio parallelo a quello bancario) già ampiamente presente in Cina.

L’Europa, pur non avendo avviato azioni dirette contro la diffusione delle criptovalute, sembra essere in parte concorde con la Cina. In una recente intervista, la presidente della BCE, Christine Lagarde, ha definito le criptovalute come “criptoasset” utili principalmente a finanziare attività illegali.

Oltreoceano, in un comunicato del 20 maggio 2021, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha affermato che le criptovalute favoriscono l’evasione fiscale e le attività illegali e per tali ragioni ritiene che le operazioni superiori ai 10 mila dollari dovrebbero essere denunciate al fisco. Michael Hsu, nominato il 10 maggio scorso Acting Comptroller of the Currency dell’OCC (l’agenzia federale che si occupa di regolare e vigilare sulle banche che operano negli USA) ha affermato in un’intervista al Financial Times che è necessario istituire un perimetro più rigido per le criptovalute.

Lo Yuan digitale

Se da un lato la Cina ha mostrato una forte avversione verso il BitCoin e le altre criptocurrency, parallelamente il Paese sta già testando la propria criptovaluta, lo yuan digitale. Come noto, in Cina la diffusione dei sistemi di pagamento digitale è già molto elevata, e nelle principali città del paese i pagamenti sono quasi esclusivamente elettronici, con parte degli esercizi commerciali che già non accetta più denaro contante (anche se espressamente previsto dalla legge). Secondo il China Internet Network Information Center sarebbero 852 milioni i cinesi che utilizzano sistemi di mobile payments, circa il 61% della popolazione.

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La sperimentazione dello yuan digitale, comunemente conosciuto come DC/EP (Digital Currency Electronic Payment), è stata avviata dalla Banca Centrale Cinese a partire dallo scorso aprile in 4 città: Shenzhen, Chengdu, Suzhou e Xiongan. Il funzionamento della valuta è basato su blockchain e, a differenza degli altri sistemi di pagamento elettronico, è utilizzabile anche in assenza di connessione ad internet. Al fine di incentivarne un utilizzo locale (la moneta è infatti attualmente interdetta agli stranieri), il Governo ha deciso di indire una lotteria che ha assegnato 200 yuan digitali a 50 mila cittadini, per un montepremi totale di 10 milioni (equivalenti a circa $ 1,5 milioni). In totale verranno messi in circolazione 40 milioni di DC/EP, tramite i quali i possessori potranno acquistare beni e servizi in tutti gli esercizi commerciali fisici e presso gli e-shop abilitati (in un primo momento 10 mila ma dovrebbero aumentare) utilizzando un’apposita app . La fase di test dovrebbe comunque completarsi entro il 2023 per poi vedere il lancio della moneta in tutto il paese tra il 2024 e il 2025.

Il futuro del BitCoin e delle altre criptovalute

Dopo lo scossone delle ultime settimane, il valore di un BTC è rimasto stabile attorno ai 30 mila euro, certificando anche questa volta che, nonostante il duro colpo, il sistema ha retto e continua a mantenere un sensibile valore di mercato. Questo è un segno evidente che, a dispetto di tutte le criticità che si portano dietro, le monete basate su blockchain hanno enormi potenzialità.

Non è facile fare una previsione sul futuro dei BitCoin nei prossimi anni. Quello che è certo è che lo scenario delle criptovalute si fa sempre più competitivo: oltre allo yuan digitale, si stanno facendo strada altre monete pronte ad acquisire quote di mercato sempre più rilevanti. Ad esempio, negli ultimi giorni la seconda maggiore cryptocurrency per diffusione, l’Ethereum – che ha presentato nel corso degli anni minori oscillazioni del BitCoin e offre anche altri tipi di servizi quali piattaforme di sviluppo software per sistemi di certificazione e applicazioni distribuite – ha superato in termini di capitalizzazione il colosso statunitense dei pagamenti digitali Visa, raggiungendo il valore unitario di 4.350 dollari e una capitalizzazione totale di oltre 500 miliardi.

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Se il BitCoin vuole quindi mantenere il proprio ruolo di leadership nel mercato delle valute digitali dovrà necessariamente cercare il giusto trade-off tra l’essere anonimo e decentrato e andare incontro – almeno in parte – alle esigenze di regolazione e controllo dettate dalle autorità statali. Al contrario, il suo ruolo potrebbe diventare sempre più marginale, soppiantato da concorrenti (anche di natura pubblica) in grado di gestire rapide transazioni digitali al contempo rappresentando vere riserve di valore.

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