Le infezioni da Coronavirus avvenute nell’ambiente di lavoro o a causa dello svolgimento dell’attività lavorativa sono tutelate a tutti gli effetti come infortunio sul lavoro.
A statuirlo è l’articolo 42 del D.L. Cura Italia (convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 27/2020), il quale, al comma 2, dispone che “nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato”.
Occasione di lavoro e nesso di causalità
Come noto, per infortunio sul lavoro si intende ogni lesione del lavoratore originata da una causa violenta (o virulenta, secondo l’indirizzo vigente dell’Inail) in occasione di lavoro.
Al fine di delimitare l’ambito di intervento dell’Inail occorre, pertanto, soffermarsi sull’analisi della locuzione “occasione di lavoro”.
Con un’interpretazione estensiva, la giurisprudenza di legittimità vi ha fatto rientrare “tutte le condizioni temporali, topografiche e ambientali in cui l’attività produttiva si svolge e nelle quali è imminente il rischio di danno per il lavoratore, sia che tale danno provenga dallo stesso apparato produttivo e sia che dipenda da situazioni proprie e ineludibili del lavoratore” (Cass. 13 maggio 2016, n. 9913).
Al fine dell’intervento dell’Istituto assicuratore non è tuttavia sufficiente che l’infortunio avvenga durante e sul luogo di lavoro, in quanto è necessario che sussista il nesso di causalità tra l’attività lavorativa e l’infortunio.
Il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio della ”equivalenza delle condizioni”: ciò significa che il nesso eziologico sarà riconosciuto ad ogni circostanza che ha contribuito, anche in modo indiretto e remoto, alla produzione dell’evento, mentre dovrà escludersi quando un fattore esterno sia stato di per sé sufficiente a produrre l’evento.
Richiamati brevemente i principi cardine su cui si fonda l’attivazione dell’assicurazione, l’Inail, a fronte della novella legislativa relativa all’infortunio da Coronavirus, ha fornito, con la circolare n. 13 del 3 aprile 2020, i primi chiarimenti in merito alle tutele garantite ai propri assicurati.
L’Istituto ha precisato che l’assicurazione infortunistica opera non solo in ipotesi di contagio nell’ambiente di lavoro, ma altresì nell’ipotesi di contagio avvenuto durante il normale percorso di andata e ritorno da casa al lavoro (cosiddetto infortunio in itinere).
Per quanto attiene al nesso causale, l’Inail ha precisato che nell’attuale situazione pandemica l’ambito della tutela riguarda innanzitutto gli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio nonché quelle attività lavorative che comportino il costante contatto con il pubblico/l’utenza. Sul punto l’Istituto ha evidenziato come per tali situazioni sia prevista la presunzione semplice di origine professionale, considerata proprio la elevatissima probabilità che gli stessi vengano a contatto con il coronavirus.
Tuttavia, tali situazioni non esauriscono l’ambito di intervento dell’Istituto, in quanto residuano fattispecie che, pur in assenza di indizi “gravi precisi e concordanti” tali da far scattare ai fini dell’accertamento medico-legale la presunzione semplice, potrebbero essere qualificati come infortunio sul lavoro.
Ebbene, nel contesto epidemiologico di riferimento caratterizzato da incertezze scientifiche relative alle modalità di contagio, al grado di virulenza e ai tempi di incubazione, non v’è chi non veda come l’equiparazione del Coronavirus ad infortunio sul lavoro conduca a notevoli criticità connesse alla dimostrazione che il contagio sia avvenuto in occasione di lavoro e, conseguentemente, all’accertamento del relativo nesso di causalità.
Profili di responsabilità del datore di lavoro
Alla luce del quadro sopra descritto, non sono tardate critiche e preoccupazioni da parte dei datori di lavoro in relazione ai possibili profili di responsabilità, anche penali, derivanti dal riconoscimento del contagio da Covid-19 come infortunio sul lavoro.
Al fine di arginare tali timori, l’Inail, in una nota diffusa il 15 maggio u.s. a poche ore dalla riapertura delle attività produttive, ha precisato che la previsione normativa introdotta dal c.d. Cura Italia “non assume alcun rilievo per sostenere un’accusa di responsabilità penale o civile del datore di lavoro”, argomentando che il datore di lavoro ne potrà rispondere solo “se viene accertata la propria responsabilità per dolo e colpa”.
A ben vedere, la nota pubblicata dall’Inail – seppur diffondendo l’illusione di un ’’alleggerimento” dalla responsabilità gravante sul datore di lavoro – ha semplicemente ribadito i principi cardine del nostro ordinamento in tema di responsabilità del datore di lavoro in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Come noto, infatti, il datore di lavoro, nell’esercizio dell’impresa, è tenuto ad adottare, ai sensi della norma di chiusura del sistema antinfortunistico ex art. 2087 c.c., tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore, secondo la miglior scienza ed esperienza del momento, al fine di impedire il verificarsi di eventi dannosi (gli “infortuni”) per la salute e sicurezza dei prestatori di lavoro.
L’art. 2087 c.c. non individua, quindi, un’ipotesi di responsabilità oggettiva in capo al datore di lavoro (con la conseguenza di ritenerlo responsabile ogni volta che il lavoratore subisca un danno nell’esecuzione della prestazione), occorrendo sempre che l’evento sia riferibile a sua colpa per violazione di obblighi di comportamento concretamente individuati, imposti da norme di legge o contrattuali ovvero suggeriti dalla tecnica e dall’esperienza.
Nell’emergenza epidemiologica in atto, tra le misure volte a prevenire il rischio di contagio, si annovera – oltre al puntuale rispetto delle previsioni contenute nel Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro (D.Lgs. 81/2008) – l’adozione delle misure contenute nel Protocollo condiviso fra il Governo e le Parti sociali del 24 aprile 2020. Protocollo questo che specifica ed integra i presidi anti-contagio già precedentemente statuiti dal Protocollo del 14 marzo 2020, la cui obbligatorietà è stata da ultimo confermata dall’articolo 2, comma 6, del D.P.C.M. 26 aprile 2020.
Da ciò consegue che il datore di lavoro – nell’ipotesi in cui dall’omessa adozione delle cautele tipizzate nella disciplina emergenziale e nei Protocolli condivisi dovesse derivare un’infezione da Coronavirus in capo al lavoratore – potrà subire azioni di risarcimento danni da parte del lavoratore stesso nonché azioni di regresso da parte dell’Inail per il recupero del costo delle prestazioni erogate.
Non solo. Al datore di lavoro – in presenza degli ordinari presupposti, oggettivi e soggettivi, dei reati colposi di evento – potrà essere contestato il reato di lesioni personali colpose ovvero, in caso di decesso dovuto al virus, il reato di omicidio colposo, entrambi aggravati dalla violazione delle disposizioni del Testo Unico Sicurezza sui luoghi di lavoro.
Come se non bastasse alla responsabilità personale del datore di lavoro si potranno affiancare profili di responsabilità in capo alla società ai sensi del D.Lgs. 231/01 che, come noto, ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento il concetto di responsabilità amministrativa degli enti.
Al fine di comprendere quale possa essere l’incidenza del contagio da Covid-19 di un dipendente in tale ambito, è necessario illustrare brevemente i due presupposti affinché l’impresa possa essere riconosciuta responsabile.
Occorre in primo luogo verificare che il reato accertato rientri nell’elenco dei cosiddetti reati presupposto a cui il Legislatore ha inteso dare rilievo con riferimento alla responsabilità ai sensi del D. Lgs. 231/01.
Sul punto, ribadendo che la malattia conseguente al contagio da Covid-19 è stata qualificata da D.L. “Cura Italia” come “infortunio sul lavoro”, potrebbero, nel contesto di riferimento, trovare applicazione sia l’art. 590 c.p. relativo alle lesioni colpose, sia l’art. 589 c.p., riferibile all’omicidio colposo, nell’ipotesi di decesso conseguente alla malattia.
Ebbene, l’art. 25-septies del D.Lgs. 231/01 individua entrambe le fattispecie di cui sopra nel novero dei “reati presupposto”, confermando, quindi, la possibile sussistenza del primo requisito.
Il secondo requisito necessario ai fini della configurabilità della responsabilità dell’ente è la commissione del reato “nel suo interesse o a suo vantaggio” da parte soggetti apicali o ad essi sottoposti.
Al fine di riempire di contenuto tale locuzione normativa, si richiama la sentenza n. 49775 del 9 dicembre 2019, con la quale la Corte di Cassazione ha precisato che “in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall’interesse e dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all’evento, ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l’autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l’autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l’ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso”.
Ne consegue che, qualora il contagio da Covid-19 sia conseguente ad una carenza di precauzioni da parte del datore di lavoro da cui sia derivato un risparmio di costi, potrà ritenersi sussistente l’interesse o il vantaggio per l’ente.
Conclusioni
Così delineati i possibili profili di responsabilità in capo ai datori di lavoro e ferma restando la necessaria prova della colpa o del dolo per fondare una responsabilità datoriale, occorre rilevare come – in un contesto caratterizzato da una normativa anti contagio in costante aggiornamento da parte degli organismi tecnico-scientifici – continuano a levarsi a gran voce e trasversalmente le richieste di un intervento legislativo che escluda la responsabilità datoriale, sia civile sia penale, per quelle imprese che si uniformino ai protocolli di sicurezza.
Intervenendo al question time della commissione Lavoro della Camera, il sottosegretario Stanislao Di Piazza, rispondendo ad un’interrogazione connessa agli aspetti problematici dell’equiparazione fatta dall’articolo 42 del decreto Cura Italia tra infortunio sul lavoro e contagio da Covid-19, ha precisato che «una responsabilità sarebbe, infatti, ipotizzabile solo in via residuale, nei casi di inosservanza delle disposizioni a tutela della salute dei lavoratori e, in particolare, di quelle emanate dalle autorità governative per contrastare la predetta emergenza epidemiologica».
Sebbene, ad oggi, alcuna novità normativa sia intervenuta sul punto, si segnala che nelle prossime ore le commissioni Finanze e Attività produttive della Camera si riuniranno per votare gli emendamenti al c.d. Decreto Liquidità. È questo il provvedimento su cui potrebbe transitare la norma che esclude la responsabilità del datore di lavoro in caso di contagio da Covid del dipendente sempre che l’impresa abbia rispettato i protocolli di sicurezza.