l'analisi

Innovazione, cosa serve all’Italia per emergere: modelli da seguire e rischi da evitare

Se l’Italia vuole diventare un Paese leader nell’innovazione deve puntare a colmare i suoi ritardi nel digitale, nel trasferimento tecnologico alle imprese, nel supporto finanziario alle startup innovative. C’è ancora molto da fare, ma non bisigna partire da zero. Vediamo le direttrici da seguire

Pubblicato il 25 Giu 2021

Gianpiero Ruggiero

Esperto in valutazione e processi di innovazione del CNR

Innovation-in-Italy

In questi giorni l’innovazione torna al centro dell’attenzione dell’Europa e degli Stati membri.

Le giornate europee dedicate alla ricerca e all’innovazione[1], che quest’anno coincidono con l’avvio del programma “Orizzonte Europa” (tra le principali novità del programma 2021-2027, tre pilastri rinnovati, missioni al posto delle sfide e un nuovo Consiglio europeo per l’innovazione), ma soprattutto la presentazione dei risultati sulla valutazione dell’innovazione in Europa, rappresentano gli eventi di punta che la Commissione sta dedicando al tema.

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A tutto questo si aggiungono le pagelle sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che la Commissione sta dando ai vari Stati membri, che sanciscono lo sblocco della prima tranche di aiuti economici. Per l’Italia, che ha superato brillantemente questo primo passaggio, significa incassare un primo assegno da 25 miliardi di euro.

Un buon punto di partenza. Ma resta ancora tanto da fare per arrivare a essere un Paese leader nell’innovazione. In particolare, sul fronte della digitalizzazione, che nel PNRR è molto presente e trasversale a tanti progetti di riforma. Altrettanto importate è razionalizzare e potenziare l’ecosistema di supporto alle imprese e alle startup. La proposta avanzata da professionisti del settore, di un modello a rete per la ricerca e l’innovazione, va nella direzione giusta: un sistema organizzato in grado di aiutare le medie e piccole imprese a fare il grande balzo nell’innovazione e nella trasformazione digitale.

La ricerca nel PNRR: modelli innovativi ma risorse al palo

I risultati dell’innovazione in Europa e in Italia

La Commissione europea ha pubblicato lo European Innovation Scoreboard 2021 fornendo un’analisi comparativa delle prestazioni in termini di innovazione nei Paese dell’UE, in altri Paesi europei e nei Paesi confinanti.

Il quadro europeo di valutazione sull’innovazione valuta i relativi punti di forza e di debolezza dei sistemi nazionali di innovazione e aiuta i Paesi a individuare eventuali aree di intervento.

Per l’Italia notizie positive e incoraggianti. Il nostro Paese migliora le sue performance rispetto agli altri Stati membri, facendo registrare uno dei maggiori incrementi di punti percentuali negli ultimi anni, soprattutto grazie al recupero di posizioni sulla banda larga, sostenibilità ambientale, vendita di prodotti innovativi e applicazioni di design, innovazione delle PMI. L’Italia è tra i cinque Stati membri che hanno fatto registrare un miglioramento delle prestazioni di 25 punti percentuali o più (insieme a Cipro, Estonia, Grazie e Lituania).

European Commission 🇪🇺 on Twitter: "Europe's innovation performance continues to improve! 🇪🇺 🔝 The European Innovation Scoreboard 2021 shows that on average innovation performance has increased across the EU by 12.5% since

I gruppi di prestazioni tendono a essere concentrati geograficamente, con i leader dell’innovazione e la maggior parte degli innovatori forti situati nell’Europa settentrionale e occidentale e la maggior parte degli innovatori moderati ed emergenti nell’Europa meridionale e orientale. La Svezia continua a essere il leader dell’innovazione dell’UE, seguita da Finlandia, Danimarca e Belgio, tutte con prestazioni di innovazione ben al di sopra della media dell’UE. Su scala mondiale, la Corea del Sud risulta essere il Paese più innovativo, insieme a Canada, Australia, Stati Uniti e Giappone, sono tutti in vantaggio rispetto al punteggio dell’UE nel 2021.

Nonostante i progressi l’Italia rimane nella fascia dei Paesi innovatori moderati, ancora lontani dalla zona “Champions League” evocata dal Ministro Vittorio Colao nel suo intervento al Forum PA sul PNRR.

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Diversi i punti di debolezza assegnati all’Italia: gli scarsi investimenti su ricerca, il basso numero di laureati e di cittadini con competenze digitali, i bassi livelli di digitalizzazione nei servizi pubblici, l’esigua nascita di imprese, gli stringati investimenti in venture capital, che pesano anche in termini di supporto all’ecosistema delle startup.

Ma il miglioramento dell’Italia nell’ultimo triennio c’è stato, sancendo così la bontà degli interventi fatti in questi anni. La creazione del Fondo nazionale Innovazione, il potenziamento del piano Transizione 4.0, il cambio di marcia sul piano per la banda ultra larga e la spinta sul cashless, rappresentano quei mattoni posti alla base di un possibile avanzamento anche in futuro.

Grazie alla spinta che arriverà dal PNRR, ulteriori interventi in termini di innovazione digitale potranno essere programmati.

PNRR e digitale: un’occasione storica

Sappiamo che nel PNRR la presenza del digitale non solo è presente nella missione 1, che si sviluppa lungo i due assi delle connessioni veloci e modernizzazione della PA, ma è trasversale a tutto il Piano e caratterizza molte delle politiche e degli interventi di riforma. Circa 40 riforme dipendono da una PA più moderna e digitalizzata.

Le risorse per la transizione digitale sono ingenti: ammontano a circa 49 miliardi, circa 20 sulle imprese, 6,5 per la digitalizzazione della PA, 6,7 milioni per la banda ultra larga e poco meno di 1,5 milioni per il fascicolo sanitario elettronico. La vera sfida è utilizzare bene tutte queste risorse. Il sistema funzionerà con un sistema di “voucher”: i fondi verranno erogati a fronte della realizzazione di alcuni progetti o dell’impegno a realizzarli, e soprattutto verrà data assistenza a chi non ha tutte le competenze per far partire i progetti.

Uno dei nodi cruciali è il controllo. Sul modello di governance scelto per l’attuazione del PNRR, con il ruolo di orchestrazione assegnato al suo ministero e un altrettanto importante ruolo assegnato ai territori, Colao ha ricordato che “vogliamo dotarci di 300-400 esperti che metteremo sul territorio, divisi in sette squadre operative, una ogni due regioni, che saranno affiancati e gestiti da un comitato in cui abbiamo la rappresentanza di tutti, ministeri, regioni comuni”.

Insomma, “un progetto che sicuramente come architettura è molto centrale, ma come realizzazione è estremamente distribuito sul territorio. E per essere ancora più vicini ai territori, abbiamo creato un tavolo di consultazione con gli assessori, gli esperti di digitale, per identificare le eccellenze”.

Un altro tema cruciale è la velocità autorizzativa e il rispetto dei tempi di esecuzione dei progetti. L’orizzonte della digitalizzazione e della modernizzazione del Paese, fa del PNRR una corsa a ostacoli, con milestone molto stringenti. La Commissione europea ha promosso a pieni voti il nostro Piano. Abbiamo superato brillantemente questo primo passaggio, ma la politica non può abbassare la guardia. Il Piano non va avanti per inerzia e non ha una sua autonomia. Ci vuole tanto impegno.

Finora il Governo si è impegnato molto. Ha concluso il trittico dei decreti funzionali all’attuazione del Piano, completando così il mosaico normativo necessario a marciare a pieno regime. Ha aggiornato il Codice dell’amministrazione digitale. Abbiamo anche un Piano triennale per l’informatica finalmente molto più chiaro, migliorato rispetto al passato, più snello e di facile lettura. La strategia digitale oggi è facilmente intuibile, le amministrazioni sanno come muoversi e dove collocarsi all’interno di questa strategia. Insomma, non ci sono più alibi.

Il PNRR, inoltre, ha un ulteriore pregio nella sua impostazione generale. Differentemente dal passato, sembra porsi in continuità con le recenti politiche in materia di transizione digitale, potenziando molteplici iniziative già adottate. La continuità delle politiche pubbliche sul digitale, rappresenta una novità importante, in quanto le continue modifiche del quadro regolatorio e delle iniziative, finora, hanno rappresentato un freno al percorso di digitalizzazione della sfera pubblica.

PNRR e digitale: i rischi da evitare

Se il PNRR ha molti lati positivi, ciò non di meno presenta qualche rischio che andrebbe messo in luce per essere adeguatamente affrontato e mitigato per evitare sgradevoli insuccessi.

Allo stato delle cose non appare possibile effettuare una valutazione sull’impatto del Piano. Manca un chiaro quadro delle tempistiche di attuazione dei progetti attuativi e, soprattutto, del riparto di competenze nell’attuazione dei molteplici interventi tra amministrazioni e tra livelli di amministrazione. Non è definita la suddivisione degli importi allocati (il “costing” delle misure) e non sono specificate le articolazioni amministrative cui spetta la concreta realizzazione degli interventi, “cui provvedono, nelle rispettive competenze, le singole amministrazioni centrali interessate, nonché le regioni e gli enti locali”. Non è un caso che la Commissione europea abbia assegnato l’unica B, quindi un voto medio, al rispetto delle regole sulla definizione dei costi delle misure (peraltro non rispettato da tutti gli altri Paesi).

Vedremo come si svilupperà il riparto delle risorse e delle competenze. Avremo diverse velocità, l’importante è rispettare il fittissimo cronoprogramma del Piano.

C’è poi un altro aspetto. L’ambizioso programma di reclutamento di risorse con specifiche skill digitali, assume un ruolo fondamentale stante la certificata mancanza di adeguate competenze tecnologiche interne alle PA. Tuttavia la previsione di task force esterne alle amministrazioni, volte a supportare le amministrazioni nei processi di reingegnerizzazione dei procedimenti e dei servizi, stride con l’esigenza di avere maggiori competenze interne in grado di gestire in futuro i processi e i servizi digitali pubblici. L’esternalizzazione della gestione della transizione digitale, potrebbe precludere alle amministrazioni la possibilità di acquisire le necessarie competenze interne, non garantendo per il futuro la necessaria continuità nella gestione della transizione digitale.

Non è detto, poi, che il personale assunto a tempo determinato, alla fine del 2026, entrerà stabilmente nei ruoli dell’amministrazione. Infatti, la clausola di revoca dei contratti di assunzione di professionisti e consulenti, pone alcuni quesiti. Nel caso in cui al titolare di contratto venisse revocato l’incarico “per mancato raggiungimento degli obiettivi progettuali”, quel consulente verrà cancellato dall’elenco o ne rimarrà inserito e potrà trovare ricollocazione presso un’altra amministrazione? Chi verificherà il raggiungimento degli obiettivi? Non sarà affatto facile distinguere se il mancato raggiungimento degli obiettivi progettuali sia da imputare al singolo professionista o all’amministrazione stessa. Il rischio di autoreferenzialità, purtroppo, è molto alto.

Sanzioni per chi frena la digitalizzazione della PA: saranno efficaci?

La dirigenza e il personale pubblico devono sentirsi coinvolti e responsabilizzati in questo processo di irrobustimento della “salute digitale” delle PA. Devono essere ingaggiati e sentirsi motivati, con la consapevolezza che dare il proprio contributo significa semplificare il proprio modo di lavorare, semplificare la vita al cittadino-cliente.

Dirigenza e personale devono anche sapere che se frenano e si pongono come un ostacolo alla digitalizzazione, potrebbero incappare in un articolato sistema sanzionatorio. Con gli ultimi decreti legge approvati, il governo ha voluto stringere i bulloni delle sanzioni.

SISTEMA SANZIONATORIO PER CHI FRENA LA DIGITALIZZAZIONE DELLA PA
Piano integrato di attività e organizzazioneMancata adozione del Piano unico integrato entro il 31/12/2021

(art. 6, DL n. 80/2021 – performance individuale/sanzioni amm.ve)

Incarichi professionali per l’attuazione dei progetti del PNRRGiusta causa di recesso incarico: «il mancato conseguimento dei traguardi e degli obiettivi, intermedi e finali, previsto dal progetto» (art. 1, DL n. 80/2021)
CAD e linee guida Agid;

Piano triennale informatica

Violazione obblighi di transizione digitale

(art. 41, DL n. 77/2021 – performance individuale dirigenti/sanzioni amm.ve/potere sostitutivo)

Identità digitale, domicilio digitale e accesso ai serviziSwitch off servizi online entro il 28/02/2021

(art. 24, DL n. 76/2020 – penalità performance individuale)

Lavoro agileOstacoli alla diffusione del lavoro agile che non consentono ai lavoratori l’accesso da remoto a dati, applicazioni e informazioni

(art. 31, DL n. 76/2020 – penalità performance individuale dirigenti)

Codice di condotta tecnologicaInottemperanza del rispetto del Codice di condotta digitale

(art. 32, DL n. 76/2020 – penalità performance individuale dirigenti)

Interoperabilità e Piattaforma cloudInadempimento a rendere disponibili, accessibili e fruibili, i dati e le proprie basi dati (ovvero i dati aggregati e anonimizzati) alle altre PA entro termine fissato (art. 33 DL, n. 76/2020 – penalità performance individuale dirigenti)

Personalmente sono pessimista sull’efficacia dei sistemi sanzionatori. Uno dei problemi più grandi della mancata attuazione del CAD è l’inefficacia e l’inefficienza dei sistemi di controllo e di quelli sanzionatori quando non è, addirittura, la vera e propria assenza degli stessi. Lo stesso vale per la performance, che nel tempo si è trasformata in un ciclo autoreferenziale, soffocato dal cappio del rispetto adempimentale e ammantato da controlli meramente formali.

Al di là delle singole sanzioni previste, è importante sottolineare alcuni rischi che potrebbero sorgere in termini di inefficacia dei controlli. Il potere sanzionatorio sulla mancata adozione del Piano unico integrato è stato affidato alla Funzione pubblica, tranne una parte sull’anticorruzione su cui sarà l’Anac ad applicare le sanzioni. Ma Il Dipartimento della funzione pubblica ha il personale sufficiente per svolgere quel compito?

Lo stesso vale per Agid, sovraccaricata di compiti di controllo senza avere personale sufficiente e personale adeguato. Agid, per esempio, preposta al controllo sul rispetto del codice di condotta tecnologica, avrà strumenti per farlo? Chi stabilirà e comminerà le sanzioni ai dirigenti?

In che cosa consisterà il codice di condotta tecnologica? (già il nome fa presagire qualcosa di molto vincolante). Era davvero necessario, in un contesto che normativamente già ipertrofico? Su quali aspetti tecnologici andrà ad incidere e come potrà farlo senza intaccare l’autonomia degli enti locali e il principio della neutralità tecnologica?

Va anche detto, a onor del vero, che nel PNRR alcun riferimento è effettuato alla necessità di centralizzare la governance delle politiche di digitalizzazione del Paese.

Un modello a rete per l’innovazione in Italia

Ma come sfruttare al meglio tutto il potenziale innovativo del PNRR. Per valorizzare al meglio il Piano è necessario costituire una rete organica per la ricerca, l’innovazione e il trasferimento tecnologico. E’ la tesi sostenuta in un recente articolo pubblicato sulla Harvard Business Review Italia che lancia una proposta per creare un sistema organizzativo policentrico in grado di aiutare le medie e piccole imprese a fare il grande balzo nell’innovazione e nella trasformazione digitale.

L’articolo arricchisce la discussione sull’avvicinamento del sistema innovativo italiano al modello del Fraunhofer tedesco. Sebbene pensare a un Fraunhofer italiano sia un po’ ambizioso, è interessante l’idea di costruire una rete governata a partire dai soggetti che hanno già dimostrato di saper fare ricerca applicata e trasferimento di capacità tecnologiche e organizzative alle imprese, soggetti con ruoli diversi, ma tutti dotati di capacità di tenuta economica e di sviluppo autonomo. Una razionalizzazione verso un nuovo modello è necessaria, anche perché gli uffici di trasferimento tecnologico istituiti presso le università e gli Enti pubblici di ricerca sono troppi, spesso dotati di competenze diverse da quelle necessarie per il trasferimento tecnologico, se non addirittura di nessuna competenza.

Meglio andare, allora, verso un sistema organizzativo policentrico la cui governance sia leggera e condivisa, una rete che nel complesso costituisca un grande soggetto collettivo in grado di aiutare le medie e piccole imprese a fare il grande balzo nell’innovazione e nella trasformazione digitale. Per la sua realizzazione, gli autori suggeriscono alcuni interventi sul piano normativo e legislativo:

  • riorganizzare il credito di imposta in ricerca e innovazione, costruendo un ambiente favorevole agli investimenti in ricerca e innovazione;
  • rendere strutturali le forme di finanziamento alla ricerca;
  • definire i meccanismi di qualificazione delle diverse strutture oggi presenti nel panorama (Competence Center, Centri di innovazione, Centri di ricerca; Innovation Digital Hub), modificando i meccanismi per il loro finanziamento;
  • allineare le politiche e gli strumenti di intervento del MiSE e del MUR, attraverso una governance condivisa dello sviluppo tecnologico e dell’innovazione, prevendendo un contributo delle regioni e dei territori, in un’ottica di “performance di filiera” delle varie amministrazioni, per la realizzazione di missioni istituzionali complementari e la gestione di indicatori comuni.

Conclusioni

L’Italia ha una posizione importante nella ricerca scientifica mondiale, ma se vuole ambire a essere un Paese leader nell’innovazione deve puntare a colmare i suoi ritardi nel digitale, nel trasferimento tecnologico alle imprese, nel supporto finanziario alle startup innovative.

C’è ancora molto da fare per costituire una rete organica per la ricerca, l’innovazione e il trasferimento tecnologico. Non occorre partire da zero o inventare l’acqua calda; è sufficiente che si vada organizzando, razionalizzando, diffondendo, qualificando, e nel caso potenziando, quanto di positivo già esiste nel Paese.

  1. In occasione degli European Research and Innovation Days (https://ec.europa.eu/research-and-innovation/en/events/upcoming-events/research-innovation-days), sono scattati i termini per partecipare ai nuovi bandi Horizon che finanziano progetti di ricerca, sviluppo e innovazione in diversi settori: dall’agricoltura alla sanità, dai trasporti alle imprese culturali e creative.

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