Il processo d’informatizzazione pubblica (oggi digitalizzazione), com’è noto, ha ormai una storia lunga e complessa. Le sue tappe fondamentali, nel più recente periodo, sono finalmente segnate (dopo mille dispersioni d’esperienze e di risorse) da una serie di numerosi interventi normativi e progettuali che hanno cercato di favorire un potenziamento non solo quantitativo ma anche qualitativo dell’informatica pubblica.
PA digitale: tutti i tasselli che devono andare a posto nel 2022
Le tappe dell’innovazione digitale del nostro paese
L’apparato statale presenta però caratteristiche funzionali (ed anche disfunzionali) che lo differenziano profondamente dal settore privato dei servizi. Esso è infatti regolato da disposizioni che quasi sempre hanno carattere di legge formale cui non è quindi possibile derogare, anche se la deroga consentirebbe di migliorare il funzionamento dell’ufficio.
Questa rigidità di struttura ha sempre portato a conflitti fra realtà e amministrazione. Infatti, per tenere il passo con lo sviluppo generale della società, anche la Pubblica amministrazione si avvale degli elaboratori elettronici ma, come l’esperienza del settore privato insegna, la razionalizzazione introdotta dall’automazione esige modifiche profonde della struttura aziendale. Ora, se da un lato la fusione di più uffici, la creazione di nuovi servizi e perfino la ristrutturazione dell’intero flusso di dati non presenta problemi formali in un’impresa privata, dall’altro nella Pubblica Amministrazione le medesime operazioni divengono invece complicate perché ogni mutamento strutturale urta contro inderogabili prescrizioni legislative.
Da ciò l’incredibile attività del nostro legislatore che per risolvere questi evidenti problemi di adeguamento ha cercato di disciplinare l’introduzione di nuove tecnologie in maniera troppo dettagliata con un approccio di carattere tecnicistico che mal si concilia con quelle naturali caratteristiche di generalità ed astrattezza delle disposizioni legislative.
Contrastate ed in parte vanificate da una serie di controtendenze, palesi e occulte, queste varie e pur meritevoli iniziative legislative hanno spesso conseguito esiti poco apprezzabili, rendendo indispensabili nuovi e complessi interventi normativi e organizzativi che non sempre riescono nell’intento di migliorare e consolidare il quadro giuridico dell’innovazione.
In effetti l’avverarsi della “società globale dell’informazione”, con l’universalità e l’interoperabilità delle infrastrutture e dei servizi, ha reso del tutto inadeguati gli approcci settoriali via via seguiti nell’affrontare il tema “informatica e pubblica amministrazione” imponendo una visione d’insieme delle varie problematiche giuridiche ad esso attinenti e delle loro reciproche relazioni.
Basti pensare a titolo di esempio a quanto è accaduto in tema di validità giuridica del documento elettronico la cui effettiva consacrazione si è avuta, in passato, a seguito di diversi interventi normativi di portata generale come il d.lgs. 39/93, la legge 537/93, l’art. 15 della legge n. 59/97 fino alle attuali disposizioni del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD).
L’eGovernment
Una tappa fondamentale di questo processo non ancora concluso è stata sicuramente il piano di e-government varato nel giugno 2000 dal Consiglio dei ministri su iniziativa del Ministro della Funzione Pubblica, Franco Bassanini contraddistinto da una prima e da una seconda fase. Tale progetto aveva come suo obiettivo fondamentale proprio quello di garantire ai cittadini l’accesso on-line a tutti i servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni nell’ottica di quella che rappresentava la nuova frontiera di Internet (Duni).
Fare la PA digitale col PNRR: come sta andando, nodi irrisolti
Amministrazioni locali protagoniste dell’innovazione
Protagoniste dell’innovazione dovevano essere le amministrazioni locali, che nel modello decentrato e federale dello Stato rappresentavano il front-office dell’intero sistema amministrativo a disposizione diretta dei cittadini, mentre le amministrazioni centrali dovevano svolgere per lo più il ruolo di back-office.
L’idea di fondo era quella della realizzazione di un grande processo di innovazione tecnologica che coinvolgesse tutto il sistema pubblico italiano mettendolo così sullo stesso piano rispetto a quello di altri paesi più progrediti nelle nuove tecnologie della comunicazione.
Ma già allora ci si rese conto che per realizzare un simile processo c’era bisogno di una serie di condizioni che rendessero possibile l’integrazione fra le diverse attività e funzioni delle varie pubbliche amministrazioni e la loro fruibilità da parte dei cittadini.
Si ricorda che la seconda fase dell’e-government ha avuto come prerequisito la definizione di una visione strategica comune tra Stato, Regioni ed Enti locali, che è contenuta nel documento “L’e-government per un federalismo efficiente: una visione condivisa, una realizzazione cooperativa”.
Le resistenze culturali che hanno fatto affondare i progetti di eGovernment
La seconda fase di attuazione dell’e-government ha avuto come obiettivo principale l’allargamento alla maggior parte delle amministrazioni locali dei processi di innovazione già avviati, sia per ciò che riguarda la realizzazione dei servizi per cittadini e imprese, sia per ciò che riguarda la realizzazione di servizi infrastrutturali in tutti i territori regionali.
Purtroppo, come è noto, il progetto di e-government, per quanto ambizioso, non è riuscito a raggiungere gli obiettivi voluti per forti resistenze innanzitutto di carattere mentale oltre che per obiettive carenze infrastrutturali e professionali.
L’agenda digitale
Sicuramente il lento ma inesorabile percorso del nostro paese verso la completa digitalizzazione di tutte le fondamentali attività di rilevanza pubblicistica ha conosciuto con l’Agenda digitale, i cui principi informatori sono contenuti nel Decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 convertito dalla legge di conversione 17 dicembre 2012, n. 221, un momento importante e nello stesso tempo molto delicato poiché il nostro paese si dota di uno strumento normativo che, si spera, costituirà un’efficace leva per la crescita economica ed occupazionale.
In particolare, a livello comunitario l’Agenda Digitale è stata presentata dalla Commissione Europea nel maggio 2010 con lo scopo di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC o ICT) per favorire l’innovazione, la crescita economica e la competitività. L’obiettivo principale dell’Agenda è ottenere vantaggi socio-economici sostenibili grazie a un mercato digitale unico basato su Internet veloce e superveloce e su applicazioni interoperabili.
L’Agenda Digitale individua i principali ostacoli che minano gli sforzi compiuti per sfruttare le TIC e indica la strategia unitaria a livello europeo volta al loro superamento individuando le aree d’azione che sono chiamati ad adottare gli Stati membri. Queste aree d’azione costituiscono i “pilastri” dell’Agenda Digitale.
L’Italia, come ogni Paese membro ha dovuto analizzare il contesto nazionale per elaborare una propria strategia di recepimento dell’Agenda digitale, individuando le priorità e le modalità di intervento.
La nascita della Cabina di Regia per l’Agenda Digitale Italiana
In particolare la Cabina di Regia per l’Agenda Digitale Italiana (ADI) è stata istituita il primo marzo 2012 con decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, il Ministro per la coesione territoriale, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e il Ministro dell’economia e delle finanze, per coordinare, ai sensi del decreto-legge del 9 febbraio 2012, n. 5 art. 47, gli interventi pubblici volti alle medesime finalità da parte di regioni, province autonome ed enti locali.
La Cabina di Regia ha avuto il compito di definire la strategia italiana per attuare gli obiettivi definiti nella Comunicazione europea all’interno della Strategia EU2020.
Il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD)
Il 1° gennaio 2006 è entrato, poi, in vigore il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) approvato con il d.lgs. n. 82/2005. Quest’ultimo decreto legislativo ha subito diverse modifiche ed integrazioni: D. Lgs. 4 aprile 2006, n. 159, dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244, dalla legge 28 gennaio 2009 n. 2, dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, dalla legge 3 agosto 2009, dal d.lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, dalla legge n. 221/2012 (recante i principi dell’Agenda Digitale), dalla legge n. 98/2013 (decreto del fare), dal d.lgs. n. 179 del 26 agosto 2016, dal d.lgs n. 217 del 13 dicembre 2017 e dalla legge di conversione 11 settembre 2020 n. 120 del DL 16 luglio 2020, n. 7.
Con tale Codice tutte le norme – emanate per favorire la diffusione delle nuove tecnologie e l’ammodernamento delle strutture pubbliche – sono state raccolte in un Testo Unico che quindi accorpa e riordina tutta la normativa in materia di attività digitale delle Pubbliche amministrazioni affrontando, per la prima volta in modo organico e completo, il tema dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle Pubbliche amministrazioni, nonché la disciplina dei principi giuridici fondamentali relativi al documento informatico ed alla firma digitale.
Come già si è avuto modo di chiarire prima dell’avvento del Codice dell’Amministrazione Digitale il nostro paese già era coinvolto da un grosso processo di informatizzazione che riguardava principalmente gli enti pubblici e lo stesso iter legislativo del Codice risentì non poco di tale situazione.
Appariva evidente, quindi, che per realizzare gli obiettivi del cd. “governo elettronico” fosse necessario il completamento di quel processo già in atto presso la PA che tendeva ad ottenere una maggiore efficacia, efficienza, trasparenza e semplicità dell’azione amministrativa grazie all’interazione di un insieme di requisiti infrastrutturali che a livello progettuale non sono riconducibili a una singola amministrazione ma al sistema di relazioni che intercorrono fra le stesse e sono al servizio del cittadino.
L’avvio di una rete telematica nazionale di collegamento ed in particolare dell’interoperabilità (ancora in uno stadio iniziale) e di quei progetti intersettoriali trainanti per i cittadini quali, ad esempio, i sistemi relativi all’area del Territorio, il sistema delle Anagrafi, il sistema del protocollo informatico e di gestione dei documenti, consentiva di integrare in un unico sportello, virtuale o reale, i servizi erogati da Amministrazioni diverse.
L’evoluzione del CAD nel corso degli anni
Con le ultime riforme non solo si è proceduto ad una modifica ed integrazione delle norme del CAD ma ne sono state abrogate diverse anche attraverso vari accorpamenti e semplificazioni.
L’obiettivo è innanzitutto quello di promuovere e rendere effettivi i diritti di cittadinanza digitale dei cittadini e delle imprese, garantendo, contestualmente, il diritto di accesso ai dati, ai documenti e ai servizi di loro interesse in modalità digitale, semplificando le modalità di accesso ai servizi alla persona e realizzando – come indicato dal titolo con cui è rubricato l’art. 1 della legge n. 124 del 2015 – una vera e propria “carta della cittadinanza digitale”.
Altro obiettivo fondamentale è quello di spostare l’attenzione dal processo di digitalizzazione ai diritti digitali di cittadini e imprese. Con la “carta della cittadinanza digitale” si riconoscono direttamente diritti a cittadini e imprese e si costituisce la base giuridica per implementare Italia Login, la piattaforma di accesso che, attraverso il Sistema pubblico d’identità digitale (SPID) e l’Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR), permetterà ai cittadini di accedere ai servizi pubblici – e a quelli degli operatori privati che aderiranno – con un unico nome utente e un’unica password (prenotazioni di visite mediche, iscrizioni a scuola, pagamento dei tributi).
Il sistema SPID assume sempre di più un ruolo centrale in questo nuovo CAD e viene definito come un insieme aperto di soggetti pubblici e privati che, previo accreditamento da parte dell’AgID, secondo modalità definite con specifico decreto ministeriale, identificano cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni per consentire loro l’accesso ai servizi in rete.
Con l’istituzione dello SPID le pubbliche amministrazioni consentono l’accesso in rete ai propri servizi, oltre che con lo stesso SPID, solo mediante la carta d’identità elettronica e la carta nazionale dei servizi che alla fine avranno in tal senso una funzione solo residuale. La possibilità di accesso con carta d’identità elettronica e carta nazionale dei servizi resta comunque consentito indipendentemente dalle modalità predisposte dalle singole amministrazioni.
È chiaro, quindi, l’intento del legislatore di semplificare al massimo l’accesso ai servizi on line dei cittadini, superando le difficoltà connesse alle carte elettroniche, ma il pericolo “sicurezza” incombe sempre, poiché è evidente che con tale sistema si moltiplicano le identità digitali di un cittadino, che saranno diverse per ogni servizio e la prospettiva lascia perplessi. E’ anche vero che il sistema è continuamente monitorato dall’Autorità Garante giustamente preoccupata, ma è anche vero che se una singola identità digitale crea problemi, figuriamoci tante.
L’opportunità delle ultime riforme dell’intero CAD nasce anche dalla necessità di adeguare lo stesso al Regolamento comunitario n. 910/2014 del 23 luglio 2014 in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari nel mercato interno pubblicato nella G.U. dell’Unione Europea del 28 agosto 2014 che è entrato in vigore nel nostro ordinamento il 1 luglio 2016.
Il Regolamento è noto con l’acronimo e-IDAS che sta per electronic IDentification Authentication and Signature (eTS electronic Trust Services) e stabilisce le condizioni per il riconoscimento reciproco in ambito di identificazione elettronica e le regole comuni per le firme elettroniche, l’autenticazione web ed i relativi servizi fiduciari per le transazioni elettroniche.
Il PNRR
Di recente, poi, è stato approvato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), nell’ambito del programma Next Generation EU, il pacchetto da 750 miliardi di euro concordato dall’Unione Europea per sostenere la ripresa economica dopo la crisi causata dalla pandemia.
Il Piano è composto da un corposo pacchetto di investimenti e riforme, con l’obiettivo, tra gli altri, di accelerare la transizione ecologica e digitale, modernizzare la Pubblica Amministrazione, rafforzare il sistema produttivo, raggiungere una maggiore equità di genere, generazionale e territoriale.
La Missione 1 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si pone l’obiettivo di dare un impulso decisivo al rilancio della competitività e della produttività del Sistema Paese.
Per una sfida di questa entità è necessario un intervento profondo, che agisca su più elementi chiave del nostro sistema economico: la connettività per cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni, una PA moderna e alleata dei cittadini e del sistema produttivo e la valorizzazione del patrimonio culturale e turistico, anche in funzione di promozione dell’immagine e del brand del Paese.
Lo sforzo di digitalizzazione e innovazione è centrale in questa Missione, ma riguarda trasversalmente anche tutte le altre. La digitalizzazione è infatti una necessità trasversale, in quanto riguarda il continuo e necessario aggiornamento tecnologico nei processi produttivi; le infrastrutture nel loro complesso, da quelle energetiche a quelle dei trasporti, dove i sistemi di monitoraggio con sensori e piattaforme dati rappresentano un archetipo innovativo di gestione in qualità e sicurezza degli asset (Missioni 2 e 3); la scuola, nei programmi didattici, nelle competenze di docenti e studenti, nelle funzioni amministrative, della qualità degli edifici (Missione 4); la sanità, nelle infrastrutture ospedaliere, nei dispositivi medici, nelle competenze e nell’aggiornamento del personale, al fine di garantire il miglior livello di assistenza sanitaria a tutti i cittadini (Missioni 5 e 6).
Il ritardo del’Italia
L’Italia si posiziona oggi al 25esimo posto in Europa come livello di digitalizzazione (DESI 2020), a causa di vari fattori che includono sia la limitata diffusione di competenze digitali, sia la bassa adozione di tecnologie avanzate, ad esempio le tecnologie cloud. Al tempo stesso, l’Italia ha visto un calo della produttività nell’ultimo ventennio, a fronte della crescita registrata nel resto d’Europa. Uno dei fattori che limitano la crescita di produttività è il basso livello di investimenti in digitalizzazione e innovazione, soprattutto da parte delle piccole e medie imprese che costituiscono la maggior parte del nostro tessuto produttivo (EC Country Report Italy).
La realizzazione degli obiettivi di crescita digitale e di modernizzazione della PA costituisce una priorità per il rilancio del sistema paese. Questa componente si sostanzia in:
• Un programma di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione che include ogni tassello/abilitatore tecnologico necessario ad offrire a cittadini e imprese servizi efficaci, in sicurezza e pienamente accessibili: infrastrutture, interoperabilità, piattaforme e servizi, e cybersecurity
• Misure propedeutiche alla piena realizzazione delle riforme chiave delle Amministrazioni Centrali, quali lo sviluppo e l’acquisizione di (nuove) competenze per il personale della PA (anche con il miglioramento dei processi di upskilling e di aggiornamento delle competenze stesse) e una semplificazione/sburocratizzazione delle procedure chiave, incluso un intervento dedicato al Ministero della Giustizia per lo smaltimento dell’arretrato di pratiche.
Questa componente riguarda dunque la Pubblica Amministrazione in modo capillare, con riflessi sulle dotazioni tecnologiche, sul capitale umano e infrastrutturale, sulla sua organizzazione, sui suoi procedimenti e sulle modalità di erogazione dei servizi ai cittadini. E’ evidente come in questo caso il ruolo di tutti gli attori coinvolti nel processo di trasformazione digitale del nostro paese sia fondamentale con un occhio particolare al responsabile della transizione digitale che dovrà fornire un contributo determinante al fine di realizzare un giusto ed equilibrato coordinamento delle diverse realtà pubblicistiche coinvolte in tale processo.
Come deve essere una PA efficace
Una PA efficace deve saper supportare cittadini, residenti e imprese con servizi sempre più performanti e universalmente accessibili, di cui il digitale è un presupposto essenziale. La digitalizzazione delle infrastrutture tecnologiche e dei servizi della PA è un impegno non più rimandabile per far diventare la PA un vero “alleato” del cittadino e dell’impresa, in quanto unica soluzione in grado di accorciare drasticamente le “distanze” tra enti e individui e ridurre radicalmente i tempi di attraversamento della burocrazia. Questo è ancora più vero alla luce della transizione “forzata” al distanziamento sociale imposto dalla pandemia, che ha fortemente accelerato la digitalizzazione di numerose sfere della vita economica e sociale del paese, di fatto mettendo in evidenza i ritardi accumulati su questo fronte dalla nostra PA e facendo alzare le aspettative di cittadini, residenti e imprese nei confronti di essa. Il percorso di digitalizzazione della PA qui descritto sarà accompagnato da importanti sforzi di riforma: di seguito sono descritti i sette investimenti e le tre riforme in cui si articola.
L’approccio cloud first
La trasformazione digitale della PA segue un approccio “cloud first”, orientato alla migrazione dei dati e degli applicativi informatici delle singole amministrazioni verso un ambiente cloud. Questo processo consentirà di razionalizzare e consolidare molti dei data center oggi distribuiti sul territorio, a partire da quelli meno efficienti e sicuri (il 95 per cento dei circa 11mila data center/centri di elaborazione dati distribuiti utilizzati dagli enti pubblici italiani presenta oggi carenze nei requisiti minimi di sicurezza, affidabilità, capacità elaborativa ed efficienza)19. La trasformazione è attuata secondo due modelli complementari. In funzione dei requisiti di performance e scalabilità e della sensibilità dei dati coinvolti, le amministrazioni centrali potranno migrare sul Polo Strategico Nazionale – PSN, una nuova infrastruttura dedicata cloud (completamente “privata” o “ibrida”), localizzata sul territorio nazionale e all’avanguardia in prestazioni e sicurezza, oppure migrare sul cloud “public” di uno tra gli operatori di mercato precedentemente certificati.
Per accompagnare la migrazione della PA al cloud è previsto un programma di supporto e incentivo per trasferire basi dati e applicazioni, in particolare rivolto alle amministrazioni locali. Le amministrazioni potranno scegliere all’interno di una lista predefinita di provider certificati secondo criteri di adeguatezza rispetto sia a requisiti di sicurezza e protezione, sia a standard di performance. Il supporto alle amministrazioni che aderiranno al programma di trasformazione sarà realizzato con “pacchetti” completi che includeranno competenze tecniche e risorse finanziarie.
Quanto ci costa i gap digitale della PA italiana
Il gap digitale della PA italiana si traduce oggi in ridotta produttività e spesso in un peso non sopportabile per cittadini, residenti e imprese, che debbono accedere alle diverse amministrazioni come silos verticali, non interconnessi tra loro. La trasformazione digitale della PA si prefigge quindi di cambiare l’architettura e le modalità di interconnessione tra le basi dati delle amministrazioni affinché l’accesso ai servizi sia trasversalmente e universalmente basato sul principio “once only”, facendo sì che le informazioni sui cittadini siano a disposizione “una volta per tutte” per le amministrazioni in modo immediato, semplice ed efficace, alleggerendo tempi e costi legati alle richieste di informazioni oggi frammentate tra molteplici enti. Investire sulla piena interoperabilità dei dataset della PA significa introdurre un esteso utilizzo del domicilio digitale (scelto liberamente dai cittadini) e garantire un’esposizione automatica dei dati/attributi di cittadini/residenti e imprese da parte dei database sorgente (dati/attributi costantemente aggiornati nel tempo) a beneficio di ogni processo/servizio “richiedente”.
La Piattaforma Nazionale Dati
Si verrà a creare una “Piattaforma Nazionale Dati” che offrirà alle amministrazioni un catalogo centrale di “connettori automatici” (le cosiddette “API” – Application Programming Interface) consultabili e accessibili tramite un servizio dedicato, in un contesto integralmente conforme alle leggi europee sulla privacy, evitando così al cittadino di dover fornire più volte la stessa informazione a diverse amministrazioni. La realizzazione della Piattaforma Nazionale Dati sarà accompagnata da un progetto finalizzato a garantire la piena partecipazione dell’Italia all’iniziativa Europea del Single Digital Gateway, che consentirà l’armonizzazione tra tutti gli Stati Membri e la completa digitalizzazione di un insieme di procedure/servizi di particolare rilevanza (ad es. richiesta del certificato di nascita, ecc.).
Lo sforzo di trasformazione sugli elementi “di base” dell’architettura digitale della PA, come infrastrutture (cloud) e interoperabilità dei dati è accompagnato da investimenti mirati a migliorare i servizi digitali offerti ai cittadini. In primo luogo, è rafforzata l’adozione delle piattaforme nazionali di servizio digitale, lanciate con successo negli ultimi anni, incrementando la diffusione di PagoPA (piattaforma di pagamenti tra la PA e cittadini e imprese) e della app “IO” (un front-end/canale versatile che mira a diventare il punto di accesso unico per i servizi digitali della PA). In secondo luogo, sono introdotti nuovi servizi, come ad esempio la piattaforma unica di notifiche digitali (che permetterà di inviare notifiche con valore legale in modo interamente digitale, rendendo le notifiche più sicure e meno costose), per fare in modo che venga spostato sui canali digitali il maggior volume possibile di interazioni, pur senza eliminare la possibilità della interazione fisica per chi voglia o non possa altrimenti. Sono anche sviluppate sperimentazioni in ambito mobilità (Mobility as a Service) per migliorare l’efficienza dei sistemi di trasporto urbano. Inoltre, per permettere un’orchestrazione fluida di tutti i servizi sopra descritti, è rafforzato il sistema di identità digitale, partendo da quelle esistenti (SPID e CIE), ma convergendo verso una soluzione integrata e sempre più semplice per gli utenti. Infine, si prevede anche un intervento organico per migliorare la user experience dei servizi digitali e la loro l’accessibilità “per tutti”, armonizzando le pratiche di tutte le pubbliche amministrazioni verso standard comuni di qualità (ad es. funzionalità e navigabilità dei siti web e di altri canali digitali).
Naturalmente la digitalizzazione aumenta nel suo complesso il livello di vulnerabilità della società da minacce cyber, su tutti i fronti (ad es. frodi, ricatti informatici, attacchi terroristici, ecc.). Inoltre, la crescente dipendenza da servizi “software” (e la conseguente esposizione alle intenzioni degli sviluppatori/proprietari degli stessi) e l’aumento di interdipendenza delle “catene del valore digitali” (PA, aziende controllate dallo Stato, privati) pongono ulteriore enfasi sulla significatività del rischio in gioco e sull’esigenza, quindi, di una risposta forte. La trasformazione digitale della PA contiene importanti misure di rafforzamento delle nostre difese cyber, a partire dalla piena attuazione della disciplina in materia di “Perimetro di Sicurezza Nazionale Cibernetica”.