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Irpef 2021: cos’è, come si calcola e novità sulla riforma Draghi

Irpef, calcolo e novità: approfondiamo i dettagli dell’Imposta sul reddito delle persone fisiche, per capire a cosa serve e su quali parametri si basa, oltre valutare i possibili impatti che può avere la riforma fiscale

Pubblicato il 04 Ago 2021

Salvatore De Benedictis

dottore commercialista

Irpef

L’Irpef – Imposta sul reddito delle persone fisiche – è l’imposta che i cittadini italiani che percepiscono un reddito sono tenuti a pagare allo stato italiano. La percentuale di imposte da pagare rispetto al proprio reddito è diversa in base a quanto si percepisce come reddito, e ad altri fattori che vedremo in seguito.

Cos’è l’Irpef e come funziona il sistema tributario italiano

Partiamo dalla complessità del sistema tributario italiano, e vediamo in basso i tre motivi principali che portano a questa complessità.

  • Il primo è che ogni “legislatore” di turno si sente investito dell’obbligo di modificare e “migliorare” ciò che hanno fatto i predecessori, e i miglioramenti non riguardano tabellari o valori, ma incidono sulla già complessa struttura normativa con innesti che, col passar del tempo, hanno generato una fitta matassa di cui è difficile trovarne il capo.
  • Il secondo è che il “legislatore” non può prescindere dalla constatazione che gli Italiani sono un popolo di navigatori e di inventori: la tentazione di aggirare gli ostacoli normativi e trovare “escamotages” è scolpita nel nostro DNA; il risultato è una produzione normativa che non ritengo abbia risolto il problema, anzi, sembra scoraggiare le persone oneste e sfidare i meno onesti ad inventare i modi attraverso cui poter continuare a perpetrare i raggiri e le elusioni.
  • Il terzo è l’orientamento del legislatore che ha ritenuto e continua a ritenere che il contrasto all’evasione si debba perseguire con le leggi e non con le attività di prevenzione e controllo, affidate sempre più ai sistemi di business intelligence che, interfacciandosi con le molteplici banche dati in possesso della Amministrazione Finanziaria, dovrebbero scovare in quattro e quattr’otto le anomalie. Questo atteggiamento ha prodotto solo fallimenti. Il rimedio alla recrudescenza delle rapine non sta (solo) nell’installare porte sempre più resistenti, ma nell’organizzare un servizio di Pubblica Sicurezza per cui si possa dormire anche con le porte aperte. Lo Stato non deve rimanere incastrato nel gioco delle parti tra “guardie e ladri”, ma deve assumere atteggiamenti consoni al suo ruolo di buon padre di famiglia, che di fronte al figlio discolo, non può reagire solo e sempre minacciando scapaccioni, ma, soprattutto, deve porsi in un’ottica di medio lungo periodo.

Con la complicità di una classe politica che probabilmente fa leva sugli italici sentimenti cui si è fatto cenno sopra, sono stati “armati” cannoni per combattere i moscerini, e i grandi evasori la fanno spesso franca: se una grandissima impresa subisce perdite ingenti è in crisi, se un povero artigiano o commerciante di paese non rispetta gli ISA (Indici sintetici di affidabilità) viene considerato un evasore e perseguitato su basi indiziarie e statistiche, in violazione ai più elementari canoni costituzionali di capacità contributiva. Il sistema di tassazione delle persone fisiche paga il prezzo delle contraddizioni sopra indicate; cercherò di farlo con un approccio sintetico, rinviando per gli approfondimenti alle norme specifiche[1].

Irpef e Riforma Draghi

Di recente la Sesta Commissione permanente Finanze e Tesoro ha approvato un documento, noto anche come “riforma Draghi”, redatto a conclusione di una indagine conoscitiva avviata a novembre 2020, col quale sono state poste le basi per la “ riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario”, della quale verranno anticipate nella trattazione che segue le proposte di modifica rispetto all’attuale sistema. Si tratta di una analisi preliminare, che necessita di aggiustamenti ed allineamenti e, soprattutto, di una neutralizzazione da condizionamenti “politici” o “corporativi” che sono di ostacolo (quando non una contraddizione) rispetto al raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Cosa dice la normativa italiana rispetto all’Irpef

L’articolo 53 della Costituzione recita:

“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

La legislazione Italiana ha disciplinato il sistema di tassazione col Decreto del Presidente della Repubblica n. 917/1986 (meglio noto col nome di Testo Unico delle Imposte sui redditi – TUIR) , ispirandosi ai predetti principi costituzionali. Il titolo I del TUIR tratta dell’ “Imposta sul reddito delle persone fisiche”; individuando

  • L’ambito oggettivo: il possesso di redditi in danaro o in natura appartenenti ad una delle seguenti categorie: a) redditi fondiari; b) redditi di capitale; c) redditi di lavoro dipendente; d) redditi di lavoro autonomo; e) redditi d’impresa; f) redditi diversi;
  • L’ambito soggettivo: le persone fisiche, residenti e non, nello stato Italiano.

Irpef e imposte per soggetti residenti e non residenti in Italia

La normativa italiana prevede che il reddito delle persone fisiche residenti si applichi in maniera “globale” (worldwide) su tutti i redditi, prodotti sia in Italia che all’estero, mentre il reddito delle persone fisiche non residenti è dato dalla sommatoria dei redditi prodotti in Italia.

Salta subito all’occhio l’asimmetria: un cittadino residente in Italia con redditi in un altro paese estero dovrà subire – provvisoriamente, per come si vedrà appresso – due imposizioni sul reddito di fonte estera, la prima volta in Italia in forza del predetto principio, e la seconda volta nello stato estero in cui il reddito è prodotto. Per evitare questa “doppia imposizione”, tra lo Stato Italiano e la maggioranza degli stati esteri esistono accordi definiti appunto “contro le doppie imposizioni” che disciplinano la materia attribuendo al contribuente residente un credito di imposta in “moneta” nazionale correlato alle imposte pagate all’estero.

Il criterio della progressività si fonda sull’assunto che a maggiore capacità contributiva debba corrispondere una tassazione maggiore, oltre che in valore assoluto, anche in termini proporzionali. Il che vuol dire che se l’Irpef su un reddito di 30.000 € fosse 10.000 €, su un reddito doppio l’Irpef deve essere più del doppio.

La base imponibile è data dalla sommatoria dei redditi conseguiti in ciascun anno in funzione delle categorie reddituali sopra indicate. Il periodo di riferimento della base imponibile è fissato convenzionalmente nell’anno solare, ossia 1/1 – 31/12 di ciascun anno.

Dal reddito all’imposta: come funziona Irpef, come calcolare quanto si paga e come si paga

La determinazione dell’imposta dovuta è una attività resa complessa dalla stratificazione temporale delle norme che si sono succedute nel tempo e che richiedono annualmente la produzione di istruzioni e di circolari illustrative che nell’insieme superano le mille pagine e che rappresentano la prova della complessità del sistema tributario Italiano.

Per la determinazione dell’Irpef da pagare vi sono dei percorsi che prevedono la predeterminazione di alcuni “blocchi” di dati. I blocchi più importanti sono essenzialmente tre: il reddito complessivo, gli oneri deducibili (la cui differenza algebrica determina il reddito imponibile) e le detrazioni d’imposta.

Queste acrobazie scaturiscono da un lato dalla esigenza di creare una “no tax area”, principio che risponde alla esigenza di posporre l’obbligazione tributaria alla soddisfazione degli interessi primari dell’uomo. Ma anche dalla ingiustificata propensione del legislatore a privilegiare alcune categorie di reddito rispetto ad altre. Per esempio, non c’è dubbio che, soprattutto nel passato, si è pensato che il lavoro dipendente fosse meritevole di maggiori detrazioni, sulla base del principio non detto e non scritto secondo cui gli altri settori, primo fra tutti quello dei lavoratori autonomi e delle imprese, non fossero meritevoli di tali misure perché maggiormente propensi alla evasione. Il che è come dire, siccome so che tu evadi, allora non ti agevolo. Una considerazione che, per quanto in parte fondata, è fortemente diseducativa e rappresenta una “legalizzazione” della evasione tributaria che in uno stato di diritto non è neppure concepibile[2].

La nuova riforma Draghi: novità e obblighi 2021

La riforma Draghi muove dall’assunto che struttura dell’IRPEF debba essere sostanzialmente ridefinita, in accordo con contestuali obiettivi generali di semplificazione e stimolo alla crescita, secondo i seguenti principi:

  1. abbassamento dell’aliquota media effettiva con particolare riferimento ai contribuenti nella fascia di reddito 28.000-55.000;
  2. modifica della dinamica delle aliquote marginali effettive, eliminando le discontinuità più brusche.

In alternativa ad un deciso intervento semplificatore sul combinato disposto di scaglioni, aliquote e detrazioni per tipologia di reddito, una ulteriore possibilità (che la Commissione definisce “meno preferita”) consisterebbe nell’adozione di un sistema ad aliquota continua con particolare riferimento alle fasce di reddito medie, con l’introduzione di un minimo esente senza obbligo di dichiarazione per i contribuenti che si collochino sotto la relativa soglia. Tale minimo esente dovrebbe preferenzialmente essere inteso come una maxi-deduzione a valere su tutta la distribuzione dei redditi (o su parte di essa) adeguando corrispondentemente il livello delle aliquote; la Commissione propone che questo livello di minimo esente sia maggiorato in caso di lavoratori di età inferiore ai 35 anni[1].

Il sistema di pagamento delle imposte avviene generalmente mediante “autoliquidazione”, a cui si accede tramite la compilazione dei modelli “730” o “Unico PF”[2] prevede un sistema generalizzato di saldi (generalmente a giugno) e di acconti (il primo a giugno e il secondo a novembre). Tuttavia i titolari di reddito di lavoro dipendente sono assoggettati ad un prelievo mensile, contestuale alla emissione della c.d. busta paga, e le imposte vengono versate dal datore di lavoro (c.d. sostituto di imposta), per cui il contribuente non ha obbligo di presentazione della dichiarazione annuale se non possiede altri redditi, mentre è obbligato alla presentazione della dichiarazione e al pagamento delle imposte, liquidate su tutti i redditi posseduti, detratte le ritenute effettuate dai datori di lavoro.

Reddito Complessivo

Il reddito complessivo, è formato dalla sommatoria dei redditi delle categorie sopra indicate conseguiti nel periodo d’imposta.

Per poter calcolare l’Irpef dovuta per il periodo d’imposta occorre preliminarmente sottrarre dalla sommatoria dei redditi la “deduzione per l’abitazione principale” e gli “oneri deducibili”, come si vede dal modello di dichiarazione.

La deduzione per l’abitazione principale è determinata in misura pari alla rendita catastale della stessa e delle relative pertinenze, il cui importo è confluito nel reddito dei fabbricati che concorre alla formazione del totale che si riporta nella colonna 5 del rigo N1. L’evidente scopo è non far concorrere alla formazione del reddito la rendita catastale della abitazione principale e delle pertinenze che si indicano obbligatoriamente nel quadro dei Fabbricati (quadro RB).

Oneri Deducibili

Gli oneri deducibili (articolo15) sono costituiti da tutte le spese alle quali il legislatore ha attribuito una funzione sociale primaria e che pertanto concorrono a ridurre il reddito complessivo.

La differenza tra il reddito complessivo e gli oneri deducibili forma il reddito imponibile, che costituisce la base di calcolo per l’imposta.

Detrazioni d’imposta

Una volta calcolata l’imposta lorda, secondo le modalità che verranno appresso indicate, si determina l’imposta netta previa sottrazione delle c.d. detrazioni d’imposta, che spettano per svariate finalità: per carichi di famiglia (art.12), detrazione per i titolari di redditi di lavoro dipendente e assimilati (art.13), detrazione per oneri (art. 13-bis) , detrazioni per canoni di locazione (art.13-ter), detrazione per abitazione principale per i soggetti titolari di reddito di lavoro dipendente (art.14), detrazioni per canoni di locazione stipulati ai sensi della Legge 431/1998, per i coltivatori diretti e per gli Imprenditori Agricoli Professionali (art.16), detrazioni per interventi sul patrimonio edilizio (art. 16-bis).

Tra le detrazioni d’imposta assume una connotazione particolare la categoria delle detrazioni per oneri sopra citata, che ha un meccanismo di funzionamento che cerca di attuare un compromesso tra l’esigenza di ridurre l’imposta in presenza di determinate categorie di spese, ritenute meritevoli di beneficio fiscale, evitando tuttavia che la detrazione possa avvantaggiare i titolari di redditi più alti; il rimedio è stato raggiunto prevedendo una percentuale del 19% che sia applica alle spese sostenute, spesso con un tetto massimo di spesa, come nel caso degli interessi passivi per l’acquisto della abitazione principale, le spese veterinarie, le spese funebri; altre volte è previsto un plafond minimo di spesa (per esempio per le spese mediche) e altre volte il tetto massimo della detrazione fruibile è parametrato al reddito dichiarato (è il caso delle donazioni in danaro a favore di enti o istituzioni pubbliche, fondazioni e associazioni legalmente riconosciute che senza scopo di lucro svolgono esclusivamente attività nello spettacolo, effettuate per la realizzazione di nuove strutture, per il restauro ed il potenziamento delle strutture esistenti, nonché per la produzione nei vari settori dello spettacolo).

Deduzioni e detrazioni: cosa prevede la “riforma Draghi”

La Commissione che ha elaborato le linee guida per la riforma del sistema tributario ritiene indispensabile che il disegno di legge delega contenga le necessarie premesse per una azione volta alla riduzione delle fattispecie e alla semplificazione del sistema, da raggiungere mediante “l’eliminazione di quelle spese fiscali il cui beneficio pro capite medio (ovvero il numero di beneficiari) sia inferiore a una soglia appositamente determinata e il passaggio (completo o parziale) del complesso delle agevolazioni sul lato delle uscite pubbliche, istituendo un meccanismo volontario di erogazione diretta del beneficio – a fronte del pagamento con strumenti tracciabili – con l’ausilio degli strumenti tecnologici a disposizione”.

La procedura del calcolo dell’imposta Irpef

La procedura di calcolo dell’imposta Irpef può essere schematizzata come segue[3]

Redditi per categoriaImporti
+fondiari (terreni & fabbricati)3.000
+di capitale
+di lavoro dipendente34.000
+di lavoro autonomo
+d’impresa15.000
+diversi1.000
=Reddito complessivo lordo53.000
Oneri deducibili4.000
=Reddito imponibile49.000
xaliquote per scaglioni di imponibile
fino a 15.000 euro, 23 per cento3.450
oltre 15.000 euro e fino a 28.000 euro, 27 per cento
3.510
oltre 28.000 euro e fino a 55.000 euro, 38 per cento
7.980
=Imposta (lorda)14.940
Detrazioni d’imposta e per oneri2.500
Ritenute subite9.500
=Imposta netta2.940

Aliquote Irpef: come si calcola l’Irpef da pagare sugli scaglioni di reddito

Gli “scaglioni” Irpef sono attualmente 5. L’esempio sottostante dimostra come effettuare il calcolo dell’imposta dovuta, assumendo come ipotesi esempio un reddito imponibile di 76.000 €.

reddito Imponibile76.000
scaglioneRedditoAliquotaimposta
fino a 15.000 euro15.00023%3.450
oltre 15.000 euro e fino a 28.000 euro13.00027%3.510
oltre 28.000 euro e fino a 55.000 euro27.00038%10.260
oltre 55.000 euro e fino a 75.000 euro20.00041%8.200
oltre 75.000 euro1.00043%430
totali76.00025.850
Aliquota media34,01%

Le imposte addizionali di comuni e regioni e le ipotesi di riforma

Ma non è tutto.

Oltre all’Irpef, che va nelle casse dello Stato[4], il reddito è assoggettato ad altri balzelli, denominati “addizionali regionali e comunali”, che sono determinate dagli Enti destinatari con provvedimenti specifici, che hanno facoltà di decidere tra un minimo ed un massimo.

L’aliquota della addizionale comunale non può essere superiore allo 0,80%[5], mentre l’addizionale regionale è applicata in maniera poco uniforme nel territorio nazionale, talvolta in misura fissa, altre volte per scaglioni di reddito, in un range che va da dall’1,23% al 3,33%. Ecco quindi che nel caso sopra rappresentato l’aliquota marginale o media potrebbero anche subire un incremento di 3-4 punti percentuali.

Le addizionali sono figlie della precedente riforma che ha introdotto il c.d. federalismo fiscale[3], il cui obiettivo dichiarato era quello di realizzare il superamento del sistema di finanza derivata e l’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa delle Regioni e degli enti locali, nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale. Si ha la sensazione che la riforma sia stata ispirata più da esigenze “politiche” che da esigenze di razionalizzazione e semplificazione. Sacrosanto il principio che gli Enti locali non possono sperperare il danaro pubblico e in qualche modo debbano essere responsabili delle loro azioni (o della loro inerzia e inefficienza) ma è anche vero che gli obiettivi devono essere perseguiti con strumenti snelli e semplici. Infatti è la stessa Commissione che evidenzia come le addizionali comportino una alterazione della struttura della progressività prevista a livello nazionale[4].

La riforma Draghi auspica quindi una trasformazione delle addizionali in “ sovraimposte – aventi quindi come base imponibile il debito d’imposta erariale, e non la stessa base imponibile IRPEF – la cui manovrabilità all’interno di un range predefinito rimarrebbe in capo all’ente territoriale”.

Le eccezioni: quando si pagano meno tasse (es. regime forfettario, cedolare secca, etc.)

Ci sono alcune tipologie di redditi che sfuggono alla progressività della tassazione. La categoria più rilevante è quella delle rendite finanziarie, che sono assoggettate ad una tassazione percentuale fissa (oggi il 26%) indipendentemente dall’imponibile. Un’altra categoria reddituale che ha avuto un notevole successo negli ultimi anni è rappresentata dai metodi c.f. forfettari, assoggettati ad una imposta sostitutiva non solo dell’Irpef, ma anche dell’Irap e delle addizionali comunali e regionali, di cui si parlerà più avanti. Ed ancora, un altro esempio di tassazione non progressiva è quello da locazioni relative ad immobili abitativi per il quale il percettore del reddito abbia optato per la c.d. cedolare secca.

La ragione di tale deroga al principio della proporzionalità risiede in svariati fattori, di ordine sociale e politico, non sempre condivisibili: non appare coerente con i principi costituzionali il privilegio attribuito alle rendite finanziarie, se messo a confronto con redditi di lavoro e col disposto dell’articolo 1 della Costituzione[6]. Ma i principi sono stati spesso sacrificati sull’altare della semplificazione, dietro la quale non è un mistero che si nascondano interessi privati molto rilevanti, e che se non armonizzati su base mondiale, potrebbero creare svantaggi economici ai paesi che si discostassero dai criteri di tassazione dei paesi finanziariamente più “evoluti”.

Per quanto riguarda la tassazione delle rendite finanziarie, la riforma Draghi propone una linea di intervento basata su due capisaldi: la creazione di un’unica categoria di redditi finanziari e la modifica e unificazione della tassazione della previdenza complementare.

La creazione di un’unica categoria reddituale viene giustificata dalla attuale impossibilità tecnica di compensare le componenti di reddito positive di una categoria (interessi) con quelle negative di un’altra (le minusvalenze). Secondo la commissione, il contribuente che ha subito pesanti perdite in conto capitale su uno strumento finanziario è costretto comunque a pagare le imposte se quello stesso strumento ha corrisposto cedole, anche di bassa entità. Inoltre, sempre secondo la Commissione, “…, la situazione vigente incentiva implicitamente gli investimenti privi di rischio (quelli che proteggono il capitale da possibili minusvalenze ma che lo remunerano con un interesse modesto ma ragionevolmente sicuro), quando invece un’impostazione pro-crescita dovrebbe quantomeno essere neutrale rispetto a investimenti maggiormente in grado di convogliare il risparmio privato nell’economia reale”.

Cedolare secca sugli affitti: cos’è e come applicarla

La modifica al sistema di tassazione della previdenza complementare tende invece a trasferire la tassazione dal sistema ETT[5] al sistema EET, in modo da rendere esente anche la fase di maturazione, armonizzandola col sistema prevalentemente utilizzato in ambito UE. Questa modifica andrebbe accompagnata dalla previsione di tassazione delle rendite al momento della effettiva erogazione e secondo le aliquote IRPEF ordinarie.

Irpef e forfettari

Per quanto riguarda invece il regime dei metodi di tassazione forfettari, la riforma Draghi ne prevede il mantenimento con alcuni correttivi. Il primo tra tutti riguarda il “brusco” passaggio dal regime forfettario a quello ordinario dall’anno successivo a quello in cui si supera l’attuale limite dei 65.000 Euro. Ciò è visto come un ostacolo allo sviluppo delle attività di impresa e di lavoro autonomo, che potrebbe essere superato con la previsione di un “regime transitorio” che “accompagni” il contribuente al sistema di tassazione ordinaria.

La Commissione in particolare raccomanda, “per il caso in cui il contribuente, in un determinato periodo d’imposta, consegua un ammontare di ricavi o compensi superiore all’attuale soglia di 65.000 euro, ma inferiore a un tetto opportunamente individuato, l’introduzione di un regime opzionale – con scelta irrevocabile da parte del soggetto passivo d’imposta – per la continuazione del regime forfettario nei due periodi d’imposta successivi, a condizione che in ciascuno di detti periodi d’imposta il contribuente dichiari un volume d’affari incrementato di almeno il 10 per cento rispetto a quello di ciascun anno precedente. Conseguentemente, le aliquote dell’imposta sostitutiva previste ai commi 64 e 65 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, potranno essere aumentate, per il biennio in questione, rispettivamente, dal 15 al 20 e dal 5 al 10 per cento”. La predetta misura dovrebbe essere accompagnata dalla limitazione ai poteri di accertamento “induttivo” da parte dell’Agenzia delle Entrate ai sensi del secondo comma dell’articolo 39 del DPR 600/1973 nel biennio successivo al superamento del limite dei 65.000 Euro.

Conclusione

L’idea di attuare una riforma è certamente encomiabile.

Tuttavia i lavori della Commissione risentono – a mio modesto avviso – di condizionamenti politici non indifferenti, che corrono il rischio di sprecare una grande opportunità. Un evidente esempio di tale sospetto risiede nella prospettata esigenza di “protezione” dagli accertamenti induttivi ai soggetti che aderiscono ai regimi forfettari. Infatti costoro sono già “graziati” dalla adesione ad un regime assolutamente di favore sotto il profilo dell’onere per imposte proprie (in violazione al principio di progressività della tassazione costituzionalmente previsto), ma anche per le imposte dei privati che acquistano beni e servizi da loro, esonerati dal pagamento dell’IVA. Questo meccanismo genera una distorsione della concorrenza – tanto più grave quanto più l’imprenditore non forfettario si trovi vicino all’intorno superiore alla soglia dei 65.000 Euro – che non appare coerente con le premesse ispiratrici della riforma.

Mi sarei inoltre aspettato che nel capitolo in cui si parla di “semplificazione e certezza” venisse affrontato (e possibilmente risolto) in maniera decisa il problema della assoluta marginalità che il sistema tributario affida alla corretta tenuta delle scritture contabili, che possono essere disattese qualora il contribuente non appaia “affidabile” in base agli ISA.

Ritengo che il sistema economico nazionale richieda a gran voce la restituzione della dignità del valore delle scritture contabili, che oggi sono suffragate da innumerevoli riscontri oggettivi in formato digitale che al momento in cui furono emanate le norme relative all’accertamento erano semplicemente impensabili. E’ quindi indifferibile un adeguamento normativo in grado di recepire tutti gli enormi passi fatti verso la trasparenza fiscale nei suoi innumerevoli ambiti di digitalizzazione dei processi, e la tracciabilità dei pagamenti.

Sotto questo profilo, la ipotesi di riforma appare decisamente carente, e ci auguriamo che nell’iter legislativo questo grave gap venga colmato, e gli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate possano normativamente essere il frutto del riscontro oggettivo e certo di capacità contributiva sottratta a tassazione e non il risultato di elaborazioni statistiche approssimative ed inadeguate.

Il rilancio dell’economia non può che avvenire dopo aver ristabilito la certezza del diritto. Un contribuente deve essere ragionevolmente certo della entità dell’onere tributario a suo carico; oggi non lo è, e questo incoraggia le pratiche illegali e scoraggia gli imprenditori onesti, ricetta che è l’esatto opposto di ciò di cui ha bisogno il nostro Paese.

__

Note

  1. Salva diversa indicazione, gli articoli a cui si fa riferimento sono al testo Unico delle Imposte Dirette, approvato con Decreto del Presidente della repubblica n. 917 del 22 dicembre 1986  ↑
  2. Anche il settore finanziario, come si vedrà appresso, è caratterizzato da privilegi che ai più appaiono ingiustificati. ↑
  3. I valori indicati non sono significativi e reali, ma sono semplicemente finalizzati alla schematizzazione del procedimento ↑
  4. Che poi con meccanismi perequativi provvede alla redistribuzione agli enti locali. ↑
  5. Tranne deroghe specifiche, per esempio Roma ha una aliquota dello 0,90% ↑
  6. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro ↑
  7. In subordine, qualora il costo di questo intervento dovesse risultare incompatibile con gli equilibri di finanza pubblica, dovrebbe essere introdotto con la sola finalità di ridurre il carico burocratico sui contribuenti; in tal caso, il vantaggio fiscale nei confronti dei lavoratori under 35 può assumere la forma di una maggiorazione della deduzione in forma fissa per lavoro dipendente, che dovrebbe sostituire l’attuale decrescente detrazione. Va altresì tenuto adeguato conto delle casistiche imposte dai trattati internazionali contro le doppie imposizioni.
  8. Il modello 730 (che tuttavia può essere utilizzato da soggetti che non siano titolari, direttamente o indirettamente, di redditi di impresa o di lavoro autonomo) offre al contribuente i seguenti vantaggi:non deve eseguire calcoli e pertanto la compilazione è più semplice;può ottenere il rimborso dell’imposta direttamente nella busta paga o nella rata di pensione, a partire dal mese di luglio (per i pensionati a partire dal mese di agosto o di settembre);se deve versare delle somme, queste vengono trattenute dalla retribuzione (a partire dal mese di luglio) o dalla pensione (a partire dal mese di agosto o settembre) direttamente nella busta paga.l’Agenzia delle entrate mette a disposizione dei lavoratori dipendenti e dei pensionati il modello730 precompilato sul sito internet dell’Agenzia delle entrate www.agenziaentrate.gov.it.
  9. Vedi la legge delega 5 maggio 2009, n. 42
  10. Per il solo caso regionale, abbiamo nel primo scaglione una dispersione di un punto percentuale tra l’aliquota minima e quella massima applicata dalle varie amministrazioni locali, che sale a 1,5 punti nel secondo scaglione, 1,7 nel terzo, e 2,1 nel quarto e quinto (fonte: memoria depositata dal professor Paolo Liberati e allegata al resoconto della seduta n. 11 del 26 febbraio 2021, pag. 72, figura 10 panel B).
  11. La sigla ETT indica il seguente sistema di tassazione del redditi:– Esenti (parzialmente) nella fase di accumulazione (i contributi sono infatti deducibili entro il limite massimo annuale di 5.164,7 euro);– Tassati nella fase di maturazione con una tassazione sostitutiva pari al 20 per cento;– Tassati nella fase di prestazione con un meccanismo molto complesso. In particolare, la tassazione della fase di prestazione è differente a seconda della componente che viene erogata. Quella relativa alla restituzione del capitale versato sotto forma di contributi è assoggettata a un’imposta sostitutiva del 15 per cento (ulteriormente ridotta di 0,3 per cento per ogni anno di versamento oltre il quindicesimo); la componente relativa ai rendimenti accumulati nella fase di maturazione è tassata in IRPEF; la componente relativa ai rendimenti maturati nella fase di prestazione è tassata come reddito di capitale, con un’aliquota al 26 per cento

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