L'approfondimento

Istanze online alla PA, gli errori delle piattaforme telematiche

In Italia lo sviluppo di piattaforme digitali per la presentazione di istanze online alla pubblica amministrazione è frenata da errori e fronti critici: vediamo qual è la situazione

Pubblicato il 09 Mar 2020

Simone Sorce

Archivista informatico

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La possibilità di presentare istanze online alla PA permette di attuare il concetto di cittadinanza digitale, che è ormai largamente diffuso nel Codice dell’amministrazione digitale, tuttavia l’ambito non è privo di fronti critici. In primis, si contano i problemi legati alla realizzazione delle piattaforme dedicate allo scopo. Infatti, sebbene la possibilità di usare vie telematiche per gli scambi tra privati e PA rechi notevoli vantaggi in termini di ottimizzazione di tempi e costi, in Italia fatica ancora a prendere piede una cultura della digitalizzazione rispetto agli altri Paesi. Ecco quali sono i principali ostacoli allo sviluppo di piattaforme pubbliche per le istanze online.

La situazione in Italia

Proprio su queste tematiche l’Italia appare notevolmente distanziata rispetto agli altri Paesi europei, come dimostra l’ultimo rapporto Desi (Indice di digitalizzazione dell’economia e della società) della Commissione europea per il 2019, che vede il nostro Paese al ventiquattresimo posto per “Servizi pubblici digitali” e, ancora peggio, al ventisettesimo posto per quanto riguarda l’interazione online tra cittadini e pubbliche amministrazioni. L’indice Desi attribuisce il basso posizionamento in graduatoria del nostro Paese all’elevato grado di autonomia di cui godono le amministrazioni locali e alla conseguente difficoltà di AgID e del Team per la Trasformazione Digitale a coordinarle con successo.

È noto del resto che un particolare sforzo volto al miglioramento dei servizi ai cittadini e alle imprese è richiesto proprio agli enti locali, i quali hanno l’importante compito, delineato dall’articolo 14 del CAD, di digitalizzare la loro azione amministrativa e di implementare l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. I Comuni difatti giocano un ruolo decisivo nel processo di digitalizzazione della PA: essi infatti rappresentano in questo ambito un bacino variegato di proposte e progettualità al quale tutte le PA rivolgono le proprie attenzioni in una prospettiva di valutazione e di eventuale replica delle esperienze o riuso delle soluzioni individuate.

Inoltre, gli stessi Comuni sono considerati più di tutti gli altri come enti di prossimità e, dal momento che sono a tutti gli effetti l’istituzione fisicamente più vicina e “familiare” al cittadino, gli effetti delle loro azioni appaiono più evidenti e immediati alla cittadinanza intera. La possibilità di presentare istanze per via telematica è riconosciuta dal Legislatore ormai da diversi anni e comporta una serie di vantaggi innegabili, sia per le PA sia per i cittadini, che vanno da una più semplice ed efficace interazione tra questi e quelle al concreto miglioramento dell’azione amministrativa, nella prospettiva generale di semplificare ed automatizzare i procedimenti avviati da istanza di parte.

La normativa

Già nel 2000 si citava la possibilità per il cittadino di presentare qualunque istanza e dichiarazione alla pubblica amministrazione via fax e per via telematica (DPR 445/2000, art. 38) e se, da una parte, pochi anni dopo si dichiarava il diritto di cittadini e imprese a richiedere ed ottenere l’uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni centrali e con i gestori di pubblici servizi statali (CAD nella formulazione originaria, art. 3), d’altra parte si provava ad incentivare l’uso della telematica all’interno delle stesse PA, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati, con l’obiettivo di rendere più efficiente l’attività amministrativa (modificazioni, risalenti al 2005, della L.241/1990, art. 3-bis). Del resto, anche il riferimento all’uso di sistemi informativi automatizzati nella gestione dei procedimenti amministrativi, contenuto nel DPR 445/2000 (art. 64), era finalizzato al miglioramento dei servizi della PA, e ancora oggi deve essere da stimolo affinché le stesse amministrazioni favoriscano l’avvio di tali procedimenti in modalità automatiche sin dalla loro origine, come può avvenire nel caso della presentazione di istanze per via telematica tramite la compilazione di form online da parte del cittadino.

L’accesso a questo genere di servizi online rappresenta oggi un diritto a tutti gli effetti, e come tale è sancito dalla normativa: chiunque, infatti, ha diritto di fruire di tali servizi, erogati in forma digitale e in modo integrato, tramite gli strumenti telematici messi a disposizione dalle pubbliche amministrazioni, anche attraverso dispositivi mobili (CAD, art. 7).

Le piattaforme online per presentare le istanze

L’utilizzo di piattaforme online per la presentazione/acquisizione di istanze rappresenta una delle modalità di formazione del documento informatico così come declinate nelle Regole tecniche sul documento informatico (DPCM 13 novembre 2014). All’art. 3, comma 1, lettera c) si parla infatti di “registrazione informatica delle informazioni risultanti da transazioni o processi informatici o dalla presentazione telematica di dati attraverso moduli o formulari resi disponibili all’utente” (similmente le nuove Linee guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici messe in consultazione da AgID a fine 2019 al punto 2.1.1, lettera c) parlano di “memorizzazione su supporto informatico in formato digitale delle informazioni risultanti da transazioni o processi informatici o dalla presentazione telematica di dati attraverso moduli o formulari resi disponibili all’utente”): tale modalità di formazione del documento informatico, dunque, è da considerarsi a tutti gli effetti interna rispetto al sistema di gestione informatica dei documenti dell’ente e in quanto tale integrata al sistema stesso e alle varie componenti software di cui esso si compone.

In sostanza, il canale telematico per la presentazione delle istanze, che include necessariamente la presenza di modulistica che gli utenti devono compilare online, presuppone che la generazione del documento (o dei documenti) abbia luogo direttamente all’interno del sistema; non è contemplata, invece, la ricezione per via telematica, con qualsiasi mezzo informatico essa venga effettuata, dei documenti utili ai fini dell’istanza né, di conseguenza, la possibilità che l’avvio del relativo procedimento avvenga a partire da una fonte per così dire esterna. I cosiddetti “sportelli virtuali” devono pertanto essere pensati, strutturati e realizzati come se fossero parte integrante del sistema, anzi una sua componente fondamentale, poiché devono permettere una rapida ed efficace interazione tra cittadino e PA: tramite queste interfacce web l’utente compila i moduli di suo interesse completando tutte le parti obbligatoriamente richieste e l’amministrazione acquisisce in maniera diretta informazioni precise e puntuali, eliminando i problemi derivanti da una errata trascrizione o addirittura interpretazione dei dati forniti dal cittadino nel momento della dichiarazione.

Insomma, quando si progetta una canale web per la presentazione di istanze si deve escludere la possibilità che la modulistica disponibile su tale piattaforma sia trasmessa al software di protocollo – che è un’altra componente fondamentale del sistema di gestione informatica dei documenti – come messaggio di posta elettronica (anche se certificata), come invece spesso accade nelle amministrazioni meno consapevoli, che accolgono senza ribattere le proposte di tal genere fatte loro da software house altrettanto ingenue oppure inclini a realizzare sistemi più semplici ma meno efficaci ed efficienti da un punto di vista gestionale ed archivistico. La trasmissione all’interno di un messaggio di posta elettronica comporta non solo che i documenti viaggino in forma perlopiù statica (per esempio, come semplici PDF), ma anche che gli stessi documenti, da cui propriamente hanno origine i procedimenti, finiscano per essere trattati come semplici allegati, con tutta una serie di conseguenze, ben note agli addetti ai lavori, che si ripercuotono negativamente sull’intero ciclo di vita dell’archivio digitale.

La documentazione da cui ha origine il procedimento amministrativo rimane comunque soggetta alla registrazione di protocollo da parte dell’ente, ma devono essere eliminati i passaggi intermedi superflui e deve essere perfezionato il momento dell’invio e dell’acquisizione dei dati e delle informazioni al fine di ottenere il massimo automatismo possibile nelle fasi successive in una prospettiva di reale integrazione dei servizi telematici. D’altro canto, l’utilizzo della posta elettronica (certificata o meno) per la trasmissione delle istanze è una modalità altresì riconosciuta dal Legislatore (CAD, art. 65) che non ha senso confondere con la registrazione informatica delle informazioni risultanti dalla presentazione telematica di dati attraverso moduli o formulari.

Piattaforme online, gli errori della PA

Un errore piuttosto frequente da parte delle PA è quello di non unificare i canali di ricezione delle istanze, cioè di mantenere attive le molteplici forme di interazione con la PA, dalla consegna a mano dei moduli presso gli sportelli fisici all’invio di raccomandate, dalla posta elettronica certificata all’uso di specifiche piattaforme telematiche, quando invece sarebbe opportuno limitarle (per esempio, nel caso di concorsi e selezioni di personale). In questo modo è molto più difficile per un’amministrazione mantenere un controllo pieno e omogeneo sui documenti in entrata, sul contenuto, sul formato, sulle modalità di descrizione e aggregazione, fondamentali in ottica di gestione e conservazione.

Il quadro è ulteriormente complicato dall’esistenza di apposite piattaforme pensate e sviluppate ai fini dell’acquisizione telematica di istanze che si riferiscono a settori e tipologie documentarie specifici (per esempio, iscrizione alle scuole dell’infanzia, pagamenti relativi al servizio di ristorazione scolastica, servizi demografici vari, consultazione di pratiche edilizie), piattaforme che contribuiscono ad accentuare la polverizzazione del sistema di gestione documentale dell’ente in tante componenti e basi di dati separate, probabilmente nemmeno interoperabili tra loro, che dovranno però essere ricondotte necessariamente a unità gestionale. Insomma, una proliferazione di questo genere non potrà mai giovare all’amministrazione, costretta a districare la propria attività tra una miriade di canali e di piattaforme web da monitorare, mantenere, aggiornare costantemente, con un continuo aggravio della spesa e una inefficienza di fondo alla quale non è possibile porre rimedio se non limitando proprio le modalità di interazione tra PA e cittadini: sembra un paradosso, ma non lo è!

Molte di queste piattaforme, mediante le quali le PA erogano servizi online ai cittadini, rivelano peraltro il ricorrere frequente di un errore piuttosto comune rispetto alle modalità di accesso e autenticazione. È ancora molto diffuso, infatti, l’uso di credenziali semplici come username e password per accedere ai servizi online di un’amministrazione, uso che tuttavia non è di fatto conforme a quanto prescritto dalle norme. L’articolo 64 del CAD, infatti, è abbastanza chiaro su questo punto: “l’accesso ai servizi in rete erogati dalle pubbliche amministrazioni che richiedono identificazione informatica avviene tramite SPID” oppure “con la carta di identità elettronica e la carta nazionale dei servizi”. Dunque, per quanto questa modalità di accesso semplice sia tuttora largamente diffusa nei siti web delle PA, essa non è più formalmente valida da ormai diversi anni. È quindi necessario che ciascuna amministrazione aggiorni le modalità di accesso alle proprie piattaforme, prevedendo quantomeno la possibilità di utilizzare SPID e CNS (un discorso a parte meriterebbe invece la carta d’identità elettronica, che ha una funzionalità ancora limitata rispetto agli altri due sistemi di autenticazione).

La necessità di una rivoluzione nei servizi

L’aggiornamento e la riorganizzazione dei servizi sono citati nel Codice dell’amministrazione digitale agli articoli 7 e 15, dove si dice che la riorganizzazione strutturale e gestionale delle PA si affianca a un utilizzo “migliore e più esteso” delle tecnologie in una sorta di azione coordinata volta a garantire il coerente sviluppo del processo di digitalizzazione: “Le pubbliche amministrazioni provvedono in particolare a razionalizzare e semplificare i procedimenti amministrativi, le attività gestionali, i documenti, la modulistica, le modalità di accesso e di presentazione delle istanze da parte dei cittadini e delle imprese”.

È necessario quindi un generale ripensamento dei servizi a partire da tutti quegli aspetti che toccano in prima persona gli utenti coinvolti, a cominciare quindi dalle modalità di accesso e di presentazione delle istanze e dalla modulistica. Replicare in digitale, ma in modo semplicistico e acritico, le tradizionali modalità di interazione cittadino-PA senza ripensare e adattare alle nuove esigenze gli stessi servizi non può sortire gli effetti desiderati né sul breve né tanto meno sul lungo periodo. Inoltre, se si vuole davvero offrire un servizio digitale è opportuno evitare il verificarsi di procedure ibride, che includono cioè elementi sia analogici che digitali: qualunque servizio richieda lo svolgimento di una procedura interamente online, ma comporti, per esempio, il pagamento e l’autocertificazione di una marca da bollo cartacea, non può considerarsi un vero servizio telematico. Anzi, un servizio sviluppato in queste modalità, oltre a evidenziare la mancata integrazione della piattaforma con modalità di pagamento elettronico, costituisce a tutti gli effetti un aggravio per il cittadino in termini di accessibilità e fruizione e rivela come probabilmente non vi sia stato preliminarmente l’intervento di semplificazione e di razionalizzazione previsto dalle norme.

Alla base dell’intervento di riorganizzazione e ri-progettazione si deve effettuare un’analisi seria e obiettiva che consideri sia le necessità organizzative dell’amministrazione sia le esigenze dei cittadini, in modo da facilitarne i rapporti e garantire un concreto miglioramento dell’azione amministrativa. Prima di avviare a pieno regime una piattaforma di servizi online è opportuno che ciascun ente provveda a identificare il gruppo di utenti al quale intende rivolgere per primo le proprie attenzioni: essi saranno al centro della sperimentazione che dovrà avvenire preliminarmente alla estensione a tutta la cittadinanza dei servizi disponibili sulla piattaforma telematica. Qualsiasi soluzione si voglia implementare, infatti, non può considerarsi come “definitiva” sin dal principio, poiché è necessario riservare un periodo di tempo intermedio tra la progettazione e l’“apertura” al pubblico durante il quale verificare il corretto funzionamento della piattaforma, la relazione con tutto il sistema di gestione documentale, la facilità di accesso e di utilizzo da parte degli utenti, e così via.

Si tratta di una fase di passaggio fondamentale che permette di testare quanto è stato sviluppato e di avere conferma o meno delle funzionalità implementate, e in tal modo evita la diffusione di prodotti non adeguati anche grazie alla cosiddetta “partecipazione migliorativa” cui è chiamato il cittadino-utente. Seguendo questo principio, è possibile sostenere la progettualità delle pubbliche amministrazioni e contemporaneamente dare al cittadino un senso di maggiore vicinanza e inclusione rispetto alle decisioni che vengono prese: si può così ottenere un’immagine delle PA, in particolare quelle locali, come enti di reale e concreta prossimità anche nella fase di transizione al digitale, e non solo a motivo della ridotta distanza fisica degli sportelli rispetto alla vita di tutti i giorni. È in questa direzione che si deve precisare il concetto di “diritto/dovere della cittadinanza digitale”, già definito nel Piano Triennale per l’ICT nella Pubblica Amministrazione (“diritto del cittadino digitale alla fruizione dei servizi; dovere del cittadino ad adeguarsi alle modalità richieste dall’eGovernment per poter esercitare il suo diritto”): la sua tutela è uno degli obiettivi corrispondenti alle “prime iniziative verso cittadini e imprese” promosse da AgID e la sua attuazione è strettamente legata alle azioni e agli interventi messi in atto dalle singole pubbliche amministrazioni, a livello centrale e locale.

Piattaforme online e gestione documentale

È ancora più evidente perciò quanto sia fondamentale tutto il lavoro di analisi e valutazione svolto in funzione del processo di digitalizzazione delle PA (e in generale della società) affinché nessuno tra amministrazioni pubbliche (soprattutto quelle più piccole), cittadini e imprese sia lasciato indietro. La realizzazione di una piattaforma per la presentazione di istanze online non può prescindere dalla conoscenza dei principi fondamentali della gestione documentale e dalla consapevolezza che essi devono essere la base su cui impostare qualunque intervento su parte o tutto il sistema di gestione informatica dei documenti. È necessario infatti che si adottino criteri coerenti di gestione documentale a partire dalla formazione dei documenti fino al momento dello scarto e della conservazione, particolarmente critica in ambiente digitale.

La classificazione e la fascicolazione, per esempio, sono oltremodo fondamentali per l’acquisizione ordinata dei documenti e per la corretta gestione delle relative istanze e dei procedimenti, anche in un’ottica di interoperabilità, interscambio e collaborazione tra PA. Avere un software che permette di effettuare una ricerca estesa su più documenti tramite l’inserimento di parole chiave non significa avere il pieno controllo del proprio archivio e dei propri documenti, anzi rischia di far perdere la cognizione di quelle che dovrebbero essere le cosiddette buone pratiche d’archivio e provocare un meccanismo a catena che può condurre alla dispersione o alla perdita della memoria documentale dell’ente. Inoltre, è fondamentale il ruolo dei metadati e l’utilizzo di strutture e schemi coerenti con le finalità della gestione e della conservazione documentale: si deve attribuire cioè il giusto valore alla descrizione dei documenti informatici con un set adeguato di informazioni sin dal momento della loro formazione, ed è necessario che su questo argomento vi sia una generale presa di coscienza da parte di tutta la Pubblica Amministrazione, che invece risulta essere ancora piuttosto inconsapevole.

Il fattore umano

Tuttavia, per fare ciò non sono sufficienti manuali o linee guida, né tanto meno raccolte di consigli e suggerimenti pratici: all’interno di ogni singola amministrazione sono necessarie piuttosto specifiche competenze e professionalità che permettano di raggiungere obiettivi consapevolmente prefissati. La digitalizzazione delle PA non può essere attuata per tentativi o per mero adempimento, ma deve rispondere a un indirizzo preciso, a una programmazione ben definita che non può prescindere dalle persone, che siano semplici cittadini o dipendenti.

Per restare in tema di organizzazione e personale delle pubbliche amministrazioni, non si può negare l’importanza della presenza di un Responsabile per la transizione digitale all’interno degli enti pubblici, ma non ci si deve limitare alla sua nomina e pensare di avere così risolto tutti i problemi. Soprattutto in tema di gestione documentale, vi è la necessità di investire in conoscenze, professionalità e ruoli che finora sono stati eccessivamente trascurati dalle PA: si fa riferimento in particolare al Responsabile della gestione documentale (o Responsabile del Servizio per la gestione informatica dei documenti, dei flussi documentali e degli archivi), introdotto dal DPR 445/2000 (art. 61), le cui competenze e attribuzioni risultano in parte essere eclissate da quelle del “nuovo” RTD, al quale spettano compiti di “pianificazione e coordinamento del processo di diffusione, all’interno dell’amministrazione, dei sistemi di identità e domicilio digitale, posta elettronica, protocollo informatico, firma digitale o firma elettronica qualificata e mandato informatico, e delle norme in materia di accessibilità e fruibilità nonché del processo di integrazione e interoperabilità tra i sistemi e servizi dell’amministrazione etc” (CAD, art. 17).

È evidente una certa confusione dei ruoli e delle responsabilità anche da parte del Legislatore, e ciò di certo non giova all’Amministrazione. Insomma, è tempo di dare il giusto peso alle competenze, farne emergere il reale valore e fare su queste un sicuro investimento. È davvero necessario un cambio di passo.

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