L’informatizzazione attuale della giustizia italiana viene considerata all’avanguardia, come dimostra il riconoscimento ottenuto dal PAT (processo amministrativo telematico) nel consesso internazionale di Venezia dello scorso anno.
Eppure, gli effetti dell’introduzione delle tecnologie dell’informazione in ambito giudiziario non si sono ancora prodotti, perché i tempi della giustizia sono ancora quelli di sempre e perché non si ha l’impressione che la qualità del lavoro degli operatori sia migliorata al punto tale da riverberarsi anche sulle prestazioni del “servizio giustizia”. Una possibile spiegazione è che il livello di informatizzazione sia ancora quello degli esordi, con procedure automatizzate solo “tal quali” e senza incidenza significativa sul modo di condurre i processi. Eppure non c’è ragione per pensare che i cambiamenti epocali che si stanno verificando non solo nell’industria ma anche in campi nei quali il fattore intellettuale è centrale, come la medicina, l’informazione, la progettazione di edifici e città, non si possano riprodurre anche nel campo del diritto e in particolare del processo.
Giustizia e intelligenza artificiale: il sistema Prometea
Oggi è il tempo dell’intelligenza artificiale, cioè, in sostanza, di sistemi esperti in grado prendere decisioni e di apprendere dalla propria esperienza. Alcuni giorni fa ha tenuto una conferenza a Milano, presso il TAR, Juan Gustavo Corvalàn, procuratore generale nel contenzioso amministrativo della città di Buenos Aires, il quale ha collaborato alla realizzazione di Prometea, un sistema di intelligenza artificiale che consente la soluzione di casi giudiziari a struttura semplice e ripetitiva in uno spazio temporale di pochi secondi. Attualmente questo sistema trova applicazione in oltre il 52% dei casi sottoposti alla Corte Superiore di giustizia di quella città, con un tasso di successo (parametrato alle soluzioni poi effettivamente adottate dai magistrati) del 96% dei casi. Grazie all’utilizzo di questo sistema, a supporto della Corte, 1000 casi possono essere trattati nell’arco di 7 giorni, mentre manualmente sarebbero necessari 83 giorni di lavoro. Lo stesso software è oggi in uso dalla Corte interamericana dei diritti umani, dove è utilizzato per ottimizzare i tempi, aumentando l’efficienza fino al 143 %. Una sperimentazione è in corso anche presso il Consiglio di Stato a Parigi.
Alle soglie della giustizia 4.0, rischi e opportunità
Siamo quindi alle soglie della giustizia 4.0, cui arriveremo probabilmente saltando le fasi intermedie e non possiamo non interrogarci sul senso di questa prospettiva e come gestire rischi ed opportunità.
I tre rischi principali
- Quanto ai primi, metterei in testa il neo-formalismo informatico, di cui sono esempi quelle ormai ricorrenti decisioni giudiziarie (della Cassazione ma non solo) scritte con l’entusiasmo dei neofiti e che mostrano un culto parossistico per l’adempimento digitale (magari perversamente duplicato da quello cartaceo), seminando inammissibilità, inesistenze, errori bloccanti, lungo il percorso degli avvocati. Questi ultimi, ai quali sono stati trasferiti molti adempimenti delle cancellerie e che creano all’origine il fascicolo digitale del processo digitalizzato, sono oberati di rischi e di responsabilità: ormai devono dedicare più tempo al confezionamento formale delle proprie difese e alla loro trasmissione telematica di quanto ne richieda la loro creazione iniziale. Non è un caso che tra i colleghi, anche più giovani, si trovino molti che si augurano un ritorno al tempo della carta.
- Altro rischio è l’implosione del sistema delle regole, dal momento che ogni fattispecie deve oggi rispettare non solo la disciplina sostanziale e quella processuale, ma anche la normativa tecnica. Quest’ultima è solo parente lontanissima della legge, perché si alimenta di percorsi di creazione di nuova generazione (pensiamo alle FAQ), assai instabili e come tali incapaci di assicurare certezze.
- Un terzo rischio, forse il più preoccupante, è che cresca la decisione standardizzata, presa dal giudice che si appoggia al sistema esperto che gli offre una soluzione basata solo sui precedenti. Una giustizia più veloce certo, ma meno giusta. Del resto in molti dibattiti e convegni sembra che interessi solo la giustizia “un tanto al chilo”, misurata solo con i dati della velocità e della quantità, senza che nessuno si ponga la domanda della qualità delle sentenze.
Le prospettive positive
Quali sono allora le prospettive positive che offre la Giustizia 4.0? A mio avviso la tecnologia va resa mezzo e non fine, sfruttandone le eccezionali capacità di eliminare le interruzioni spazio temporali del processo, migliorando in modo significativo la dialettica processuale, in primo luogo trasformandola in un flusso continuo di informazioni, alimentato e condiviso dagli attori, non necessariamente compresenti nello stesso luogo e nello stesso istante, dal suo avvio fino all’esito della sentenza finale. Oggi il diritto ad una giustizia effettiva ed a un processo giusto va inteso nel senso di eliminare tutte le barriere ingiustificate (prevalentemente formali) che impediscono al giudice di esaminare nel merito la fondatezza di una pretesa o di una domanda, grazie all’apporto propulsivo, informativo e propositivo delle parti. Va poi restituita centralità al momento orale della discussione, recuperando a tal fine i risparmi di tempo derivati dal taglio dei compiti ripetitivi (affidati alla macchina) con l’obiettivo di avere sempre più attenzione alle sfumature del singolo caso, cioè all’esigenza imprescindibile che sia colta non l’omogeneità con le decisioni già assunte ma, all’opposto, la sua peculiarità. In questo modo, grazie alla tecnologia, potremmo arrivare ad una giustizia personalizzata e quindi davvero in sintonia con le esigenze della sostanza del mondo reale e non della mera forma.