l’analisi

La sfida dei dati nella digital forensics: la svolta dell’IA (e tutti i suoi limiti)



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L’introduzione dell’intelligenza artificiale nella digital forensics sta trasformando il modo in cui vengono condotte le indagini. Dalla selezione dei dati all’automazione dell’analisi, l’IA offre soluzioni che migliorano precisione ed efficienza. L’empatia e l’intuizione umana restano però insostituibili

Pubblicato il 13 gen 2025

Pier Luca Toselli

Digital forensics presso Ministero



intelligenza artificiale pratiche vietate ai act

Una delle principali sfide della digital forensics è ancora rappresentata dalla quantità di “dati” che l’investigatore è chiamato ad analizzare.

In pochi anni ma con un “trend” che pare ormai inarrestabile le “capacità di memoria” dei dispositivi digitali vanno sempre più esponenzialmente aumentando, probabilmente sospinte anche da una ingiustificata diffidenza verso il “cloud” dove i costi e le paure di non sapere “chi conserva i miei dati” rendono preferibile soprattutto nell’utente privato non aziendale il ricorso a dispositivi di storage da conservare “gelosamente” presso il proprio domicilio.

La sfida dei dati nella digital forensics

È innegabile come se un tempo, in termine ad una “perquisizione informatica e sequestro” presso un privato cittadino ci si ritrovava nei casi più eclatanti con un 1tb di dati, oggi questa capacità di storage è divenuta la “media” dei nostri dispositivi (i quali peraltro si sono moltiplicati) con il risultato che oggi la stessa perquisizione allo stesso soggetto si concluderebbe con la perquisizione e sequestro di una decina di terabyte[1].

Ovviamente ognuno ha le sue abitudini e non voglio certo definire un dato statistico o medio, ma se per un attimo ci fermiamo a riflettere e mettiamo “insieme” tutti gli strumenti digitali che ci circondano e che utilizziamo, (Cloud compreso ovviamente!) ci rendiamo conto che il mio dato è molto spesso nella realtà sottostimato. Non prendiamo poi in considerazione il mondo produttivo, aziendale ove ormai e sempre più spesso il “petabyte” fa capolino.

L’analisi dei dati forensi e la necessità di correlazione

Lo scenario appena descritto richiama tutti ad una immediata domanda, che va ben al di là delle considerazioni che ho già espresso in altri articoli relativamente alle difficoltà legate all’acquisizione di cotanta mole di dati[2], ossia: “ma adesso che abbiamo la cosiddetta copia forense, come analizziamo questa massa di dati?”.

Mi sovvengono decine di casi in aumento esponenziale ove vi è sempre più la necessità di non analizzare il singolo dispositivo ma di poter “correlare”, “confrontare”, “analizzare” lo stesso rispetto a tutti i dati contenuti negli altri dispositivi sottoposti a sequestro. Salvo i casi che si risolvono nell’individuazione di uno specifico file o artifact, la maggior parte, richiede un’attività di preliminare “ricognizione” volta ad una preliminare selezione dei dati che poi verranno con riferimento allo specifico dispositivo, correlati, confrontati ed analizzati con gli altri[3]. Ma un’altra sfida fa capolino negli attuali contesti operativi.

La giurisprudenza come ho già evidenziato negli articoli richiamati in nota 2, si sta sempre più orientando verso l’acquisizione, il sequestro ed il mantenimento sotto lo stesso vincolo dei soli dati di interesse per il procedimento, dovendo escludere nel più breve tempo possibile, dalla “massa magmatica” dei dati quelli non rilevanti in relazione ai quali non sussistono i presupposti che ne legittimano il sequestro (vedi gli articoli sulla cd. “copia mezzo” a cura del sottoscritto).

In tale contesto in continua evoluzione ed in attesa di una disciplina organica capace di regolamentare l’applicazione di “direttive”[4]  già emanate, vi è sempre più la tendenza “nei limiti del possibile” a effettuare già nel corso delle perquisizioni informatiche, “preview” e ricerche finalizzate all’individuazione e sequestro dei soli dati rilevanti ai fini delle indagini.

Lungi dall’approfondire gli elementi che a parere dello scrivente rendono “alquanto difficile, se non impossibile” procedere ad un vaglio di tale portata già all’atto dell’incombente (capacità dei volumi, mancanza di una completa “indicizzazione” dei file, recupero di eventuali files cancellati, e molto altro), resta comunque evidente come qualsiasi strumento atto ad agevolare dette operazioni di selezione sia ad oggi “benvenuto” qualora la sua efficacia ed efficienza venga confermata.

L’intelligenza artificiale come strumento di supporto nel digital forensics

Nel prosieguo cercherò brevemente di illustrare le principali ed attuali applicazioni della Intelligenza Artificiale (di seguito IA) nelle attività di Digital Forensics, precisando che questo ambito delle investigazioni è, tuttavia e fortunatamente,  in continua ed inarrestabile evoluzione.

L’IA ha profondamente, modificato e rivoluzionato la digital forensics, trasformando processi prima manuali, dispendiosi e lunghi, in operazioni automatizzate, più veloci e più accurate, tuttavia nonostante gli esempi di queste applicazioni siano ormai ampiamente utilizzati (talvolta all’insaputa degli utilizzatori “one-click” di molti software “forensi” come dirò meglio nel prosieguo non si è ancora giunti “per fortuna” a processi totalmente automatizzati ed affidati esclusivamente alla IA, come ribadirò spesso in questo mio elaborato l’IA deve essere ancora vista come uno “strumento di ausilio” alle attività dell’investigatore tradizionale e non la “panacea” ai mali che affliggono il moderno “investigatore-digitale” in carne ed ossa (la massa magmatica, i ristretti tempi di indagine, le difficoltà tecnico-giuridiche che orbitano attorno alla digital-forensics).

Le applicazioni cruciali dell’IA nella digital forensics

Tre sono le applicazioni cruciali dell’IA nella digital forensics che mi preme particolarmente evidenziare:

  • L’individuazione e selezione di dati da sottoporre a sequestro;
  • l’automazione dell’analisi dei dati;
  • la presentazione dei risultati;

che ritengo rappresentino allo stato gli elementi di sicuro interesse e che riceveranno in futuro sempre più attenzione e sviluppo alla ricerca di una maggior efficienza ed efficacia nei risultati di un qualsiasi processo di “digital-forensics”[5].

Proprio con riferimento all’introduzione, poco sopra, risulta chiaro come oggi gli investigatori digitali devono affrontare enormi quantità di dati, di natura eterogenea e che spaziano dalle mere comunicazioni personali (e-mail, chat, messaggistica in genere) a traffico di rete complesso che sempre più spesso rappresenta lo spazio che letto in combinazione con gli altri dati ed artifacts è spesso la “chiave di volta” che permette di rispondere alle domande del Chi? Come? Dove?, Quando e Perché? … Che l’investigatore si sta ponendo. Non enfatizzo ulteriormente la “challenge” rappresentata dalla quantità di dati oggi sottoposti all’analisi, limitandomi ed evidenziare come l’analisi manuale di queste informazioni può richiedere settimane, o mesi, mettendo a rischio non solo la tempestività delle indagini, ma sempre più spesso, in caso di fatti penalmente rilevanti, il rispetto del tassativo “calendario e scadenziario” previsto dal codice per le indagini preliminari.

Tecniche avanzate di estrazione e analisi dei dati con l’IA

Sono ormai diversi i software “forensi” utilizzati dagli investigatori digitali che fanno ricorso alla IA per accelerare i processi di analisi da parte di quest’ultimi, fin dalla fase di “individuazione” del target (qui inteso come complesso degli elementi che in una “massa magmatica” di dati digitali meritano particolare attenzione perché presumibili elementi di interesse nell’ambito di una certa indagine). Non è questa la sede per citarli, né per enfatizzarne le caratteristiche positive e negative di ciascuno; tuttavia, è abbastanza semplice anche attraverso un semplice ricerca attraverso “Google” individuarli, ricavarne le recensioni positive e negative. Vorrei invece approfondire il fatto che il ruolo svolto dall’IA si sostanzia a fattor comune nel ricorso al “machine learning” per accelerare il processo di selezione ed analisi dei dati. Invero questi software possono estrarre rapidamente dati rilevanti da dispositivi elettronici, e-mail, social media e cloud storage, classificarne automaticamente i contenuti, fornire visualizzazioni intuitive.

Estrazione dei dati rilevanti

L’estrazione di dati da dispositivi elettronici rappresenta uno dei passaggi più critici e complessi nelle indagini digitali, alle difficoltà legate all’estrazione della cosiddetta “copia forense” ben nota agli addetti ai lavori, si sommano le conseguenti difficoltà legate all’analisi della mole di dati. L’IA permette di accelerare e migliorare quest’ultimo processo di estrazione dei dati rilevanti, (che oggi sembra diventare sempre più strategico anche a seguito degli indirizzi “giurisprudenziali” che ho già evidenziato[6]) permettendo così di affrontare meglio la sfida dell’analisi di volumi di dati sempre più vasti e complessi. Le tecniche essenzialmente impiegate si risolvono nel parsing definito “intelligente”, ove attraverso l’utilizzo di specifici algoritmi vengono automaticamente scansionati i dispositivi elettronici e attraverso l’algoritmo vengono identificati automaticamente formati di file, contenuti nascosti e metadati, rendendo in ogni caso più agevole l’attività dell’investigatore sotto due punti di vista:

  • quello della identificazione degli artifacts di interesse per “l’estrazione”;
  • quello della evidenziazione e classificazione del contenuto del dispositivo agevolando enormemente in termini di tempi di esecuzione, qualità, efficienza ed efficacia l’eventuale e successiva analisi manuale approfondita.

Aspetti strategici nel ricorso all’IA

Ma ulteriori due aspetti risultano strategici nel ricorso alla IA.

Il carving

Il primo è sul piano del recupero (carving) di dati, attraverso la ricostruzione di dati frammentati laddove, in caso di file eliminati o corrotti, strumenti basati su IA possono ricostruire frammenti di dati mediante tecniche avanzate come il deep learning, restituendo contenuti cruciali per l’indagine. Il ricorso a questi strumenti basati sull’ intelligenza artificiale, come il deep learning, permettono di superare diversi limiti del cosiddetto carving tradizionale che si basa principalmente su pattern noti quali le “intestazioni” e “firme” dei file, per identificare e ricostruire file dai dati grezzi di memoria, il classico esempio è un’immagine JPEG che può essere riconosciuta grazie alla sua “firma” binaria tipica.

Ad ogni buon conto, tale tecnica ha insito un importante limite, costituito dalla elevata frammentarietà dei files ovvero dalla mancanza di metadati chiave, che costituiscono un rilevante limite al carving tradizionale che spesso risulta infruttuoso non riuscendo a recuperare correttamente detti files (si pensi per esempio al risultato di carving “tradizionale” su immagine JPEG in termine al quale si recuperano solo “frammenti” spesso insignificanti).

L’effettuazione di carving avanzati, (basati sull’IA che utilizza algoritmi di machine learning e deep learning ) riescono invece a superare talvolta i limiti tradizionali, permettendo la ricostruzione di file frammentati.

Proprio attraverso gli algoritmi di deep learning che possono riconoscere frammenti di dati che appartengono a uno stesso file ed allo stesso tempo analizzano i dati in modo contestuale, valutando caratteristiche come il contenuto, la sequenza logica o altre proprietà statistiche, per “ricostruire” i frammenti non basandosi quindi esclusivamente sul metodo tradizionale di firme e intestazioni.

Inoltre, in quei casi in cui, vi sia l’assenza di un file system integro e funzionante, l’IA può identificare e categorizzare i dati basandosi su modelli di somiglianza appresi da grandi dataset di addestramento.

Non da ultimo poi, i file corrotti, come le immagini incomplete o documenti con errori, possono essere “riparati” grazie alla capacità dell’IA di prevedere e interpolare i dati mancanti, utilizzando modelli generativi come le reti neurali convoluzionali (CNN)[7].

Il data mining distribuito

Il secondo aspetto è il cosiddetto data mining distribuito, ormai insito nei principali software dedicati alla digital forensics. Questi software non si limitano all’analisi locale (dei dati rilevati sul “target”), ma possono interfacciarsi con cloud storage e social media attraverso API o accessi autorizzati, espandendo non solo il raggio delle informazioni “collegate” ma permettendo altresì di espandere ulteriormente il “set” di dati nei confronti di “spazi” non presi in considerazione all’atto della perquisizione e sequestro iniziali[8] (cosa che purtroppo sempre più spesso avviene). Il data mining distribuito trova ampia applicazione nella digital forensics. Attraverso l’IA, molti software dedicati alla digital forensics, non si limitano a recuperare e analizzare informazioni locali, ma sfruttano tecnologie avanzate per interfacciarsi con cloud storage, social media e altre fonti di dati remoti, aumentando la capacità di ricostruire eventi, trovare connessioni e scoprire prove nascoste o cancellate dal dispositivo target. In particolare, questa tipologia di “mining” interessa tre aree principali che potremo riassumere nella:

  • analisi automatizzata dei dati distribuiti – laddove l’IA consente a questi software di analisi forense di identificare e correlare automaticamente dati provenienti da più fonti, come account cloud, piattaforme social o database remoti, aggregando di fatto le informazioni provenienti dalle diverse fonti, rafforzato dai modelli di machine learning, che permettono anche a questi software di riconoscere pattern complessi nei dati, anche in assenza di informazioni esplicite o metadati completi;
  • ricostruzione e completamento dei dati mancanti, come già abbiamo visto nei punti precedenti;
  • estrazione “intelligente” dalle piattaforme remote, laddove attraverso l’uso di API autorizzate e tecniche di text mining e image recognition, l’IA può estrarre informazioni dai social media, come post pubblici e privati; cronologie di interazioni; immagini e video analizzati automaticamente tramite vision IA.

In estrema sintesi, grazie all’IA, i software forensi, oggi, possono analizzare in tempo reale dati locali e remoti, identificare automaticamente connessioni nascoste, ad esempio tra file trovati in locale e dati sincronizzati in Cloud e correlare metadati temporali, geolocalizzazioni e contenuti per costruire un quadro articolato e completo delle attività complessivamente tracciate da questi dati. Attraverso i modelli di natural language processing (NLP)l’AI può analizzare documenti, email o messaggi recuperati da fonti distribuite, individuando parole chiave o temi rilevanti e strategici per l’esito dell’indagine, ne sono un importate esempio gli algoritmi di image e video analysis che permettono di individuare oggetti, persone o comportamenti sospetti in contenuti multimediali, risparmiano agli investigatori ore e ore di visualizzazioni di foto e video spesso viziate da distrazioni dovute stanchezza e ripetitività dell’osservazione da parte dell’operatore (umano) di polizia.

Invero i processi di automazione affidati a questi strumenti, grazie alla rapida e continua capacità di apprendimento della IA permettono anche di migliorare l’efficacia delle analisi man mano che i dati vengono processati[9].

Tuttavia il vero punto di forza resta rappresentato dall’espansione, del raggio investigativo, consentita dal mining distribuito che permette di andare oltre i dati locali, integrando ed espandendo il processo investigativo con i backup e sincronizzazioni salvati su cloud, le cronologie di navigazione, le attività registrate su piattaforme social, ma anche quelle che sono le reti di contatti e interazioni, spesso nascoste ad un preliminare esame, che invece, possono essere meglio rilevate tramite il data mining distribuito.

Classificazione automatica dei contenuti

Dopo l’acquisizione la successiva sfida è rappresentata dall’analisi approfondita degli stessi, analisi finalizzata talvolta all’individuazione di uno specifico file/artifacts, o come spesso accade alla ricerca di “elementi informativi” in grado di confermare, rettificare, smentire una determinata ipotesi investigativa. Resta fermo il fatto che una volta acquisiti i dati, il loro volume richiede e richiederà sempre più, sistemi automatizzati per organizzare, analizzare e categorizzare le informazioni.

L’IA offre soluzioni avanzate per la classificazione dei contenuti basate anche queste, su algoritmi di machine learning e natural language processing (NLP). Volendone riepilogare alcune potremo citare tra le principali:

  • l’analisi testuale e semantica, ove attraverso il ricorso ai già menzionati algoritmi NLP si analizzano testi (e-mail, messaggi, documenti) per identificare parole chiave, toni emotivi, e contesti. Tali algoritmi, oltre a quanto già evidenziato in nota (8). Sono anche in grado di distinguere una conversazione casuale da una potenzialmente rilevante e risparmiando così all’investigatore l’analisi della complessiva mole di conversazioni;
  • visione artificiale, laddove in file grafici come le immagini, ma anche in video, le reti neurali convoluzionali (CNN) possono rilevare contenuti specifici, come la presenza di armi, stupefacenti, nudità, immagini sessuali, volti noti, o altri elementi oggetto di altri specifici addestramenti (targhe, veicoli etc.).
  • raggruppamento per similarità, le tecniche di “clustering” raggruppano dati simili in categorie, per esempio messaggi duplicati o file con contenuti identici, permettendo una notevole “riduzione” del carico di dati da analizzare. Anche il semplice raggruppamento di files duplicati alleggerisce di molto la mole di dati esaminare soprattutto negli attuali contesti ove la duplicazione di file tra backup e condivisioni in vari spazi (diversi supporti fisici e cloud) fa sì che molto spesso un file (ad insaputa del “titolare”) viene triplicato o più!

Come già anticipato è lapalissiano come interventi di questo tipo si risolvano in una precisione aumentata ed in continuo miglioramento ed evoluzione, in quanto di fatto, gli algoritmi migliorano continuamente grazie al training con dataset di casi reali, diventando sempre più accurati e precisi nel distinguere contenuti rilevanti da rumore di fondo; cui si accompagna inevitabilmente una rinnovata efficienza operativa, laddove in particolare la classificazione automatica riduce il tempo richiesto agli analisti umani, consentendo loro di concentrarsi su dati effettivamente rilevanti. Invero numerosi sono i casi pratici che oggi grazie a queste innovazioni permettono non solo un’accelerazione ma una maggior efficacia ed efficienza investigativa. Uno scenario classico è l’analisi di un dispositivo sequestrato durante un’indagine su reati finanziari. L’IA attraverso le soluzioni appena evidenziate può per esempio classificare e-mail ed altri documenti in base al contenuto distinguendoli in transazioni bancarie, comunicazioni personali, contratti, etc. e conseguentemente identificare pattern sospetti, come scambi ripetuti e frequenti con contatti di paesi ritenuti ad alto rischio di evasione – frodi, riciclaggio etc..

Presentazione dei risultati e visualizzazioni avanzate

Non va poi sottovalutata l’enorme capacità in continua evoluzione dell’IA di risolvere uno dei “cardini/fasi” della Digital Forensics, rappresentato dalla “presentazione” dei risultati. La complessità dei dati digitali richiede sempre più strumenti che presentino i risultati in maniera comprensibile e visivamente significativa non solo per gli investigatori ma anche per tutti coloro che, eventualmente, si ritrovano ad essere “attori” in un processo di digital -forensics nell’ambito di un procedimento penale, civile, amministrativo (per es. magistrati, avvocati, consulenti d’ufficio e di parte, parti civili etc.etc.). L’intervento della IA in questo ambito ha permesso passi da gigante soprattutto con riferimento a queste tipologie di visualizzazioni che agevolano enormemente rispetto ad un recente passato la percezione delle conclusioni cui si è pervenuti in termine al processo di analisi dei dati.

Essenzialmente le tipologie di visualizzazione ormai “standard” dei principali software specifici per la digital forensics possono essere così sintetizzate:

  • grafici delle relazioni non vi è allo stato un software dedicato alla digital forensics che attraverso implementazioni IA riesca a mostrare “visivamente” reti che mostrano connessioni tra persone, account, dispositivi e luoghi. Ormai questi software sono in grado attraverso diverse “denominazioni” di creare mappe di interazioni basate su chiamate, messaggi o transazioni finanziarie, che immediatamente mostrano all’attore coinvolto, connessioni, convergenze, contatti che in precedenza andavano costruiti come si dice ancora nel gergo dei “forenser” a “manina”!
  • timeline interattive, ovvero sequenze temporali che immediatamente permettono di evidenziare  eventi chiave in ordine cronologico, come accessi, modifiche ai file, trasferimenti di dati.
  • mappe geografiche, che visualizzano movimenti o posizionamenti basati su dati GPS estratti da dispositivi mobili o foto e che permettono (con le dovute cautele)[10] di ricondurre la presenza dei dispositivi in un determinato luogo, data ed ora.

Benefici e limiti dell’IA nella digital forensics

L’intelligenza artificiale (IA) ha innegabilmente rivoluzionato la digital forensics, introducendo importanti innovazioni che hanno reso sicuramente le indagini più rapide, precise e complete, tuttavia a parere dello scrivente, l’adozione di queste tecnologie richiede un approccio, attento ed equilibrato, capace di ponderare e bilanciare innovazioni ed immancabili  considerazioni etiche.

La pervasività del digitale si traduce nell’affermazione che ormai accompagna tutti i miei interventi ovvero: “non esiste oggi un fatto/evento che non veda il coinvolgimento diretto o indiretto di uno strumento digitale, con la conseguenza che oggi non esistono fatti civilmente, amministrativamente o penalmente rilevanti che non siano oggetto di un processo di digital forensics”. In estrema sintesi la digital-forensics è ormai protagonista del processo penale, amministrativo e civile, nei quali entra a pieno titolo come quella scienza capace di identificare, conservare, acquisire, documentare, interpretare e presentare, i dati digitali contenuti in un dispositivo digitale. Le mutate esigenze investigative e processuali sempre più incrementate dall’inarrestabile sviluppo del “digitale” richiedono nuovi e sempre più efficaci ed efficienti strumenti capaci di affrontare l’enorme “carico” di dati che oggi l’investigatore si ritrova a dover gestire dalla loro “individuazione” alla loro “presentazione” dinanzi ad un giudice quale prova a favore o contro di un determinato fatto.

Se da un lato abbiamo visto come l’IA possa considerarsi ormai un indispensabile supporto, ausilio, aiuto per l’investigatore, dall’altro appare evidente come il suo utilizzo soprattutto in contesti “giudiziari” debba ancora essere sapientemente e saggiamente utilizzato, soprattutto laddove il Giudice dovrà prende le proprie decisioni proprio sulla scorta dei risultati ottenuti a seguito di una indagine digital-forensics supportata dalla IA.

Quest’ultima, (al momento..), per quanto sofisticata, è priva di empatia, e processa informazioni secondo schemi logici predefiniti senza poter valutare l’impatto umano delle sue elaborazioni o intuire le motivazioni più profonde che si celano dietro certi comportamenti o azioni. L’empatia (non solo quella del Giudice) rappresenta uno degli aspetti più distintivi e complessi dell’essere umano, un elemento che, nel contesto della digital forensics, assume un ruolo cruciale. L’investigatore umano non si limita come l’IA a raccogliere e interpretare dati, ma agisce in un contesto ricco di sfumature etiche, morali e sociali, dove la comprensione emotiva e la capacità di cogliere le implicazioni umane delle proprie analisi sono ancora essenziali.

La mancanza di empatia dell’IA

Nell’ambito delle indagini giudiziarie, questa mancanza di empatia nella IA si traduce in un limite significativo. L’investigatore umano, grazie alla propria empatia, può interpretare i dati non solo attraverso una lente tecnica, ma anche considerando fattori emotivi, psicologici e culturali, che talvolta sono in grado se non di modificare di stravolgere gli esiti di alcune preliminari conclusioni.  Si pensi per esempio ad un investigatore che individua  un dettaglio apparentemente insignificante come espressione di una condizione emotiva, di un disagio o di un’intenzione specifica che un sistema di intelligenza artificiale, privo di capacità intuitiva, non riuscirebbe (al momento) a riconoscere.

Del resto, chi ha utilizzato  sistemi di traduzione e trascrizione IA su di un file audio di una conversazione,  ha fatto esperienza di ciò che dico, l’IA  avrà grandemente agevolato nel comprenderne e tradurne da altra lingua, immediatamente il “contenuto verbale” ma (per esempio) solo l’ascolto del tono  potrebbe fornirci se la conversazione era pacata, concitata, nervosa etc. aggiungendo magari,  a considerazioni asettiche basate esclusivamente sul contenuto, altre considerazioni che potrebbero correggere se non ribaltare quelle preliminari conclusioni.

La capacità di “mettersi nei panni dell’altro” consente all’investigatore di modulare il proprio approccio e di contestualizzare i dati all’interno di dinamiche più ampie, come i rapporti interpersonali, le pressioni sociali o gli stati emotivi delle persone coinvolte. L’assenza di questo tipo di comprensione da parte dell’IA rischia di ridurre l’analisi a un processo esclusivamente tecnico, meccanico, asettico, trascurando elementi qualitativi fondamentali per una valutazione completa e giusta.

Tuttavia, si ribadisce, questo non significa che l’IA non abbia un ruolo importante da svolgere. Al contrario, il suo contributo nella velocità e nella precisione dell’elaborazione dei dati consente all’investigatore umano di dedicare più tempo alle riflessioni qualitative e alle valutazioni empatiche.

Si configura, dunque, un rapporto “sinergico” in cui la tecnologia potenzia le capacità umane senza però (al momento) sostituirle. L’aspetto empatico rimane, allora, il vero spartiacque: un elemento intrinsecamente umano che, anche con ulteriori sviluppi tecnologici, appare allo stato, difficilmente replicabile. Se in futuro si riuscirà a progettare sistemi in grado di simulare empatia, sarà comunque essenziale interrogarsi sui limiti etici di affidare interamente a macchine decisioni che implicano giudizi morali.

Per il momento, il valore dell’investigatore umano risiede proprio in questa capacità di unire razionalità, etica ed empatia, unendo il dato tecnico al vissuto umano per arrivare a conclusioni che siano non solo accurate, ma anche giuste!

Note


[1] E’ sufficiente che ciascuno in completa autonomia sommi le capacità di memoria dei dispositivi che ormai tutti possediamo provo a farne un breve elenco, certo di essere stato compreso: un pc, un notebook, un tablet, uno smartphone, una consolle di gioco, uno smartwatch, (IOT degli elettrodomestici intelligenti a cui potremo aggiungere per stare comunque “bassi/al minimo” l’infotainment dell’auto), il lettore di ebook, qualche smart Toys, ma adesso arriva il “grosso” il Cloud … insomma vediamo un po’ a quanto siete arrivati, e non dimenticate i vostri archivi fotografici.

[2] https://www.agendadigitale.eu/giornalista/pier-luca-toselli/

[3] Si pensi ad un’indagine avente ad oggetto, quale “target” una specifica immagine, le attività preliminari si analisi si occuperanno di selezionare nell’ambito delle complessive immagini (ormai sono migliaia di migliaia su ogni dispositivo) quelle ritenute di potenziale interesse, che poi saranno complessivamente analizzate nel complesso delle immagini contenute su ciascun dispositivo. Invero …

[4] “Direttive generali in materia di sequestro di dispositivi di comunicazione mobile finalizzato all’acquisizione di messaggistica memorizzata sugli stessi (chat) – copia forense – estrazione e riversamento agli atti del procedimento delle sole chat rilevanti ai fini delle indagini – obbligo di restituzione del dispositivo e della copia forense – ulteriori copie dei dati memorizzati sul dispositivo di comunicazione mobile a disposizione della polizia giudiziaria – esigenza di delimitazione dell’analisi dei dati memorizzati da estrarre in sede di accertamento tecnico” (emanate dalla Procura Generale presso la Corte di Appello di Trento in data 21.10.2021)- in integrale qui:

https://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2021/11/PG-trento-sequestro.pdf

[5] Processo di digital forensics fa qui riferimento al complesso e sequenza delle fasi di digital forensics che si susseguono dalla individuazione del cd. target alla presentazione dei risultati ottenuti dall’analisi dello stesso dinanzi ad un giudice/magistrato nell’ambito dei cd. processi (qui con altro significato, ovviamente) “amministrativi”, “civili” e “penali”.

[6] https://www.agendadigitale.eu/documenti/digital-forensics-quanti-problemi-con-la-copia-mezzo-come-fare/

[7] Per chi volesse approfondire quest’ultimo punto consiglio: https://www.riccardodebernardinis.com/blog/rete-neurale-convoluzionale-guida-completa/

[8] Ovviamente previo rilascio delle necessarie ulteriori autorizzazioni ad effettuare le operazioni a seguito della eventuale conclusione della iniziale perquisizione informatica.

[9] Anche sul piano della ricerca per parola chiave alcuni processi di machine learning sono in grado di individuare in una massa di dati non solo, quale sia la parola più utilizzata, ma sono anche in grado attraverso l’analisi del testo di evidenziare all’investigatore quale sia per esempio la “parola” per nascondere altri significati che sarebbero facilmente individuati (casistica alquanto comune nel traffico di stupefacenti ove la “droga” assume spesso i nomi più fantasiosi).

[10] Vanno sempre considerate le numerose tecniche “antiforensics” chiamate così non a caso che intervenendo ad esempio sulla sincronizzazione oraria del dispositivo possono fornire dati fuorvianti, oppure alle non sempre “scontate” associazioni dispositivo=soggetto altrettanto foriere di clamorosi errori.

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400 milioni per sostenere lo sviluppo delle tecnologie critiche nel Mezzogiorno
Formazione
“Gian Maria Volonté”: dalle aule al mondo del lavoro, focus sui tirocini della Scuola d’Arte Cinematografica
TRANSIZIONE ENERGETICA
Il ruolo del finanziamento BEI per lo sviluppo del fotovoltaico in Sicilia
Formazione
“Gian Maria Volonté”: dalla nascita ai progetti futuri, focus sulla Scuola d’Arte Cinematografica. Intervista al coordinatore Antonio Medici
MedTech
Dalla specializzazione intelligente di BionIT Labs una innovazione bionica per la disabilità
Finanza sostenibile
BEI e E-Distribuzione: investimenti per la sostenibilità energetica
Professioni
Servono competenze adeguate per gestire al meglio i fondi europei
Master
Come formare nuove professionalità per governare e gestire al meglio i fondi europei?
Programmazione UE
Assunzioni per le politiche di coesione: prossimi passi e aspettative dal concorso nazionale. Il podcast “CapCoe. La coesione riparte dalle persone”
innovazione sociale
Rigenerazione urbana: il quartiere diventa un hub dell’innovazione. La best practice di San Giovanni a Teduccio
Programmazione europ
Fondi Europei: la spinta dietro ai Tecnopoli dell’Emilia-Romagna. L’esempio del Tecnopolo di Modena
Interventi
Riccardo Monaco e le politiche di coesione per il Sud
Iniziative
Implementare correttamente i costi standard, l'esperienza AdG
Finanziamenti
Decarbonizzazione, 4,8 miliardi di euro per progetti cleantech
Formazione
Le politiche di Coesione UE, un corso gratuito online per professionisti e giornalisti
Interviste
L’ecosistema della ricerca e dell’innovazione dell’Emilia-Romagna
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La ricerca e l'innovazione in Campania: l'ecosistema digitale
Iniziative
Settimana europea delle regioni e città: un passo avanti verso la coesione
Iniziative
Al via il progetto COINS
Eventi
Un nuovo sguardo sulla politica di coesione dell'UE
Iniziative
EuroPCom 2024: innovazione e strategia nella comunicazione pubblica europea
Iniziative
Parte la campagna di comunicazione COINS
Interviste
Marco De Giorgi (PCM): “Come comunicare le politiche di coesione”
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La politica di coesione europea: motore della transizione digitale in Italia
Politiche UE
Il dibattito sul futuro della Politica di Coesione
Mobilità Sostenibile
L’impatto dei fondi di coesione sul territorio: un’esperienza di monitoraggio civico
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Digital transformation, l’Emilia-Romagna rilancia sulle comunità tematiche
Politiche ue
Fondi Coesione 2021-27: la “capacitazione amministrativa” aiuta a spenderli bene
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