La nascita del nuovo Governo Draghi e l’arrivo al Ministero per la Transizione digitale di un manager esperto come Vittorio Colao potrebbe essere la svolta di cui abbiamo bisogno, nel momento più critico.
Obiettivo, sciogliere i nodi strutturali che rallentano la digitalizzazione del sistema Paese e ci impediscono quindi da anni di stare al passo con le migliori economie mondiali.
Il discorso di Draghi
Nel suo discorso di insediamento al Senato, Draghi ha insistito sul tema della digitalizzazione, vista come la faccia di una sfida poliedrica, confermandola tra gli obiettivi strategici del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Il Premier ha dichiarato che nelle prossime settimane sarà rafforzata la dimensione strategica del Programma, in particolare con riguardo agli obiettivi riguardanti, tra l’altro, la digitalizzazione, la banda larga e le reti di comunicazione 5G. Anche sulla governance sono state pronunciate parole chiare: “la governance del PNRR è incardinata nel Ministero dell’Economia e Finanza con la strettissima collaborazione dei Ministeri competenti che definiscono le politiche e i progetti di settore”.
Transizione digitale nel PNRR
Pur essendo approdato a un dicastero senza portafoglio, Vittorio Colao dovrà gestire il capitolo sul digitale e l’innovazione tecnologica che vale circa 40 miliardi (20% del totale delle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), di cui 8 solo per la digitalizzazione della PA. Ma la partita della transizione digitale è trasversale a molti altri ministeri, perciò è probabile che arrivi a gestire risorse maggiori con un decisivo potere di indirizzo del programma e delle politiche del nuovo governo.
Il fatto poi che l’estate scorsa, il nuovo ministro abbia guidato la task force che ha messo a punto il Piano con le “Iniziative per il rilancio 2020-2022”, implica che i dossier siano stati già tutti studiati. Partire con la consapevolezza delle cose che servono al Paese è un vantaggio, permetterà di individuare con più velocità le priorità.
La scadenza PA digitale del 28 febbraio
Il primo banco di prova è l’imminente scadenza del 28 febbraio, termine entro cui tutte le amministrazioni locali e centrali dovranno integrare SPID e CIE come unici sistemi di autenticazione rilasciati, uniformando di fatto l’accesso ai servizi pubblici digitali in tutto il Paese. Andrà meglio questa volta? Quello che tutti aspettano è un segno di svolta nel modo in cui la politica approccia a questi temi.
Sarà l’anno di svolta per l’identità digitale? I problemi da superare
Non si parte dall’anno zero. L’eredità lasciata dalla Pisano con la sua strategia di innovazione è un ottimo punto di partenza. La speranza è che non si rimetta in discussione quanto finora portato avanti, anche perché i buoni risultati raggiunti evidenziano la bontà di una strategia comune di digitalizzazione delle amministrazioni, sia centrali sia locali. Sono 7.246 i Comuni che hanno richiesto di accedere al Fondo per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, rimpinguato dalla legge di Bilancio 2021, per sostenere finanziariamente le amministrazioni nei processi di modernizzazione. Si tratta di un numero rilevante, che rappresenta il 92% del totale dei Comuni che sono 7.904.
In chiusura di anno hanno raggiunto quota 15,5 milioni i cittadini italiani dotati di Spid, il Sistema Pubblico d’Identità Digitale (erano circa 4 milioni a settembre 2019), mentre la App Io è stata scaricata da 9,1 milioni di cittadini, utilizzata tra l’altro per il bonus vacanze e aderire al cashback. In forte crescita anche i pagamenti elettronici attraverso la piattaforma PagoPa: solo nel 2020 sono transitati sulla piattaforma circa 100 milioni di pagamenti, per oltre 17 miliardi di euro mentre la carta d’identità elettronica (Cie) è stata assegnata a 18 milioni e 300 mila cittadini.
Per dare continuità all’azione di governo, il nuovo ministro potrà contare sul Dipartimento per la trasformazione digitale, coordinato da Luca Attias, nominato a novembre 2019, quale struttura di supporto che in questi mesi si è distinto per le varie iniziative portate avanti. Da ultimo, quella di essere riuscita ad agganciare la partita del cloud europeo con Gaia-X insieme a Germania e Francia.
Presidenza italiana G20: le priorità sull’economia digitale
Il Dipartimento per la trasformazione digitale è, assieme al Ministero dello sviluppo economico, componente della Task Force sull’economia digitale – (Digital Economy Task Force – DETF). L’8 e il 9 febbraio si è tenuta la prima riunione della DETF. Economia Digitale e Governo Digitale sono le due aree, complementari e strettamente connesse, su cui la Task Force sta concentrando i suoi lavori. Durante la riunione, la Presidenza italiana del G20 ha iniziato a elaborare i temi sui quali saranno presentati i risultati nel corso della Conferenza dei Ministri dell’economia digitale che si terrà il prossimo 5 agosto 2021 a Trieste.
Per quanto riguarda il tema dell’Economia digitale, la Presidenza continuerà a focalizzarsi sulla digitalizzazione dell’industria, con particolare attenzione alle piccole e medie imprese, e sulle tecnologie emergenti quali Intelligenza Artificiale e blockchain. Il lavoro della Presidenza sarà inoltre dedicato ad accrescere la libera circolazione dei dati, a migliorare la connettività e l’inclusione sociale e a favorire lo sviluppo delle smart cities. Altri temi trattati saranno, in aggiunta, la protezione dei consumatori e la tutela dei minori, anche in considerazione dei nuovi rischi emersi con il digitale.
Governo digitale, i pilastri dell’agenda
In materia di Governo digitale, i pilastri dell’agenda, concepiti come ambiti intersettoriali e fortemente connessi alle opportunità offerte dalla digitalizzazione, toccano tre tematiche fondamentali:
- le tecnologie digitali come garanzia di efficienza e continuità nell’erogazione dei servizi pubblici, con particolare riferimento all’uso dell’Intelligenza Artificiale all’interno del settore pubblico;
- l’identità digitale come strumento di accesso ai servizi pubblici e di inclusione sociale;
- la regolamentazione flessibile per promuovere l’innovazione – cd. agile regulation.
I prossimi passi su infrastrutture digitali e rete unica
In attesa di conoscere meglio i dettagli operativi che il nuovo ministro illustrerà in Parlamento nelle sue linee programmatiche, alcuni temi sembrano centrali più di altri, tanto da costituire l’agenda dei prossimi mesi. In testa il settore delle telecomunicazioni, che ormai significa l’accesso a Internet, con il completamento della rete a banda larga, complementare con l’infrastruttura mobile del 5G per arrivare anche nelle “zone grigie” – le più isolate d’Italia – dove i costi della copertura potrebbe accollarseli lo Stato (laddove sarà veramente impossibile e troppo caro portare i cavi fisici, allora bisognerà mettere in campo tecnologie alternative: come il satellite, il wi-fi super veloce (Fwa) e la stessa rete mobile in 5G).
D’altronde nei piani di Colao, già messi nero su bianco nel documento della task force da lui coordinata, oltre al cablaggio di tutte le aree del Paese, c’è anche la digitalizzazione di tutti gli istituti scolastici e la modernizzazione della pubblica amministrazione, altra riforma chiave del nuovo governo, in testa alle richieste della Commissione europea.
Tutto questo vuol dire risolvere il tema delle rete unica e che il governo definisca la sua posizione sull’accordo fra TIM e Open Fiber, in modo che si riesca a stimolare gli investimenti sulla rete in fibra, un asset strategico, indispensabile spina dorsale di ogni innovazione. Sciogliere il nodo della rete unica vuol dire anche prendere una posizione sulla vendita di asset strategici all’estero, sulla tutela degli interessi per la sicurezza nazionale, sullo scardinare rendite di posizione, ostacoli alla concorrenza e arretratezza.
In parallelo andrà portata avanti l’azione di aggregazione e razionalizzazione delle infrastrutture digitali. Un’azione nata con il censimento dei data center nazionali che dovrebbe raggiungere l’apice con la nascita dei Poli Strategici Nazionali a cui faranno capo i servizi pubblici essenziali. Un’operazione complessa che prevede anche la nascita di un cloud pubblico, per mettere mano alla giungla dei nostri 23 mila uffici pubblici e le 160 mila banche dati che generano un costo elevato (7,6 miliardi annui) in termini di sprechi e servizi inefficienti. Le parole d’ordine dovrebbero essere la piena interoperabilità tra le banche dati e la condivisione totale delle informazioni.
Digitalizzazione della PA, una sfida culturale a tutti i livelli
Rigenerare le amministrazioni pubbliche è forse la principale priorità nazionale per garantire il successo dell’azione del governo e dell’attuazione del PNRR, su cui sono puntate ora le nostre speranze di ricostruzione. Ma non bastano generiche assunzioni di impegni su “censimenti delle procedure, propedeutico alla modifica, sul piano normativo, della reingegnerizzazione, in chiave digitale, della disciplina dei procedimenti”.
Nel suo discorso Draghi ha confermato la riforma della PA in chiave digitale, una riforma che non si può procrastinare oltre perché la fragilità del sistema delle pubbliche amministrazioni e dei servizi di interesse collettivo è una realtà che deve essere rapidamente affrontata.
Secondo il Premier la riforma dovrà muoversi su due direttive:
- investimenti in connettività con anche la realizzazione di piattaforme efficienti e di facile utilizzo da parte dei cittadini;
- aggiornamento continuo delle competenze dei dipendenti pubblici, anche selezionando nelle assunzioni le migliori competenze e attitudini in modo rapido, efficiente e sicuro, senza costringere a lunghissime attese decine di migliaia di candidati”.
Efficienza e velocità sembrano le parole chiave cui ispirare questa riforma.
I “Draghi” della Sanità digitale: Brunetta, Cingolani, Colao, Messa
Per rigenerare le amministrazioni pubbliche, anche in ottica di una loro transizione digitale, non serve un’altra riforma radicale ma una metamorfosi, che non si impone per legge. La digitalizzazione della pubblica amministrazione avrà successo non perché si sostituisce un timbro con un’etichetta stampata dal computer, ovvero stampando documenti firmati elettronicamente solo perché i sistemi non sono in grado di gestire flussi documentali digitalizzati. Avrà successo se sarà l’occasione per ripensare i processi, eliminare le duplicazioni, cambiare le pratiche di valutazione in ottica di “performance di filiera”, valorizzando in senso meritocratico chi è in grado di contribuire a un sistema produttivo basato su merito, impegni e risultati.
L’ottica della “performance di filiera”, con l’assegnazione di obiettivi comuni a più amministrazioni, potrebbe trovare riscontro nei Piani delle Performance degli enti interessati, anche tramite l’utilizzo di piattaforme informatiche di cui ha parlato Draghi.
In tal modo, attraverso la gestione informatizzata, integrata e complementare dei progetti finanziati sarà possibile dotarsi di dashboard per verificare la ricaduta dei progetti, anche in chiave di impatti sociali e occupazionali, nonché per misurare l’effettivo raggiungimento degli obiettivi e valutare il valore pubblico generato dalle amministrazioni. La digitalizzazione, infatti, è un potente strumento di trasparenza, rende possibile uno sfruttamento efficace dei dati per migliorare la qualità di tutte le decisioni di policy e amministrative.
Il nodo competenze
È noto che il ritardo maggiore sul fronte dell’innovazione arriva dalle competenze: numero di aziende digitali, di cittadini e PA che lavorano con strumenti innovativi. “Sul tema fondamentale della cultura e competenze digitali, dell’uso di Internet e dei servizi online, nel PNRR non vi sono indicazioni concrete su aspetti cruciali come i programmi di riqualificazione dei lavoratori, né vi sono corrispondenze operative e logiche con la ‘Strategia nazionale delle competenze digitali’. Manca un piano strategico che dia coerenza e senso di urgenza agli interventi previsti per la trasformazione digitale della sanità, nonostante il tema sia di drammatica urgenza”, come spiegato da Cesare Avenia, presidente di Confindustria Digitale, nel corso dell’audizione presso la IX Commissione della Camera dei Deputati. Temi su cui ci si attende maggiore discontinuità e coraggio per vincere le resistenze al nuovo.
Quando si parla di digitalizzazione, perciò, non si può non fare riferimento alla formazione, ai digital skill, alla necessità di valorizzare le risorse umane, sia nel pubblico che nel privato. Formazione digitale nelle scuole e forte spinta alla digitalizzazione delle PMI, partendo dai dati DESI 2020 dell’Italia, per capire come fare cultura digitale a tutti i livelli, generazionali e funzionali.
In questa prospettiva, secondo le linee programmatiche del Governo particolare attenzione va riservata agli ITIS (istituti tecnici). In Francia e in Germania, ad esempio, questi istituti sono un pilastro importante del sistema educativo. Nel suo discorso Draghi ha citato stime che parlano di “circa 3 milioni, nel quinquennio 2019-23, il fabbisogno di diplomati di istituti tecnici nell’area digitale e ambientale. Il Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza assegna 1,5 md agli ITIS, 20 volte il finanziamento di un anno normale pre-pandemia. Senza innovare l’attuale organizzazione di queste scuole, rischiamo che quelle risorse vengano sprecate”.
Il PNRR mette a disposizione risorse per la riqualificazione, ma le risorse non sono fattore sufficiente.
Per l’Italia digitale serve una visione più organica.
Come ha sostenuto Draghi “proteggere il futuro dell’ambiente, conciliandolo con il progresso e il benessere sociale, richiede un approccio nuovo: digitalizzazione, agricoltura, salute, energia, aerospazio, cloud computing, scuole ed educazione, protezione dei territori, biodiversità, riscaldamento globale ed effetto serra, sono diverse facce di una sfida poliedrica che vede al centro l’ecosistema in cui si svilupperanno tutte le azioni umane”.
Conclusioni
La digitalizzazione è un processo in grande fermento. E nonostante imprese e Pubbliche Amministrazioni stiano marciando veloci in questa direzione, l’Italia si trova ancora in ritardo rispetto agli altri Paesi europei. La nascita del nuovo governo e l’arrivo al ministero per la transizione digitale di un manager esperto come Colao potrebbe imprimere un’accelerazione, sciogliendo i nodi critici che rallentano la digitalizzazione del sistema Paese.
Avendo coordinato la task force che ha scritto un piano di interventi per il futuro, il nuovo ministro ha ben presente i problemi da aggredire. Affrontarli non sarà semplice, ma l’eredità lasciata dalla ministra Pisano offre garanzie di continuità e una base solida da cui ripartire. D’altra parte la governance del digitale deve essere competente, autorevole e resiliente ai cambi di governo, perché i progetti di trasformazione del Paese dovranno necessariamente sopravvivere alle contingenze delle vicende politiche.
Le iniziative che saranno avviate nei prossimi mesi determineranno il nostro futuro ben oltre l’orizzonte dell’attuale legislatura.