Come spesso capita ai decreti legge d’urgenza finalizzati a innovare l’azione pubblica digitalizzandola, il Decreto Semplificazioni, convertito in legge, è un provvedimento assai complesso e di difficile lettura anche in ragione delle strette scadenze imposte dall’emergenza. Le proposte di indirizzo, in particolare legate alla digitalizzazione delle procedure pubbliche e in ambito documentale, contemplano nodi che i governi precedenti hanno già cercato di sciogliere, con scarsi risultati e non poca confusione. Il provvedimento non è sufficientemente esplicito per fugare dubbi e perplessità. Del resto anche, se non soprattutto su questi aspetti, sarebbe servito un confronto meditato che i tempi dell’emergenza Covid non hanno favorito e che invece la presenza di notevoli risorse economiche dovrebbe invece imporre. Ne esce un quadro molto ambizioso per alcuni versi, fin troppo operativo per altri.
Analizziamo dunque la legge con specifico riferimento ai contenuti che riguardano il binomio trasformazione digitale e semplificazione.
La prospettiva europea della trasformazione digitale
Hanno trovato accoglienza nel provvedimento obiettivi molto diversi, alcuni ambiziosi e generali, altri di dettaglio, altri ancora imposti dalla Commissione europea per ragioni che poco o nulla hanno a che fare con la semplificazione. È, appunto, il destino dei provvedimenti omnibus che rischiano, come è stato rilevato da molti osservatori, di determinare “forzature dell’uso del digitale o generalizzazioni che più che semplificare, finiranno con il complicare la vita a molti”. È evidente che una seria e incisiva azione di semplificazione che sfrutti sul serio l’innovazione tecnologica e gli strumenti fin troppo numerosi oggi disponibili avrebbe bisogno di tempi ragionevolmente coerenti con la complessità dei problemi da affrontare, tanto più se si tratta – ed è questo il caso – di intervenire su un percorso pluridecennale alquanto accidentato. In particolare, riflettere sulla semplificazione in modo propositivo e concreto richiede il rispetto di almeno due condizioni (lo abbiamo sperimentato da tempo e lo ha ricordato recentemente commentando il decreto Carlo Mochi): che si tenga sempre debito conto dei contesti in cui si opera, a partire dal quadro strategico e di governance complessivo e che si valutino attentamente le ragioni di rallentamento e gli ostacoli che nel caso specifico hanno reso finora impossibile trasformare speditamente e superare concretamente la lentezza del nostro sistema amministrativo. Peraltro, la lunga esperienza di riforme ci dovrebbe aver insegnato che l’imposizione forzata di qualche meccanismo automatico non è certo la strada più adatta da percorrere e comunque sufficiente a raggiungere i risultati attesi.
Sul piano della strategia e con specifico riferimento al settore dei patrimoni informativi e documentari che costituiscono una delle principali aree di attenzione a livello europeo, di cui il decreto ha certamente tenuto conto la prospettiva europea è senza dubbio un importante punto di partenza. In particolare, proprio in questa fase critica della nostra storia, l’Europa ha individuato almeno due dei pilastri che dovranno sostenere principalmente la strategia digitale nei prossimi anni e che meritano l’attenzione delle pubbliche amministrazioni e degli operatori in quanto, non a caso, correlati agli interventi previsti dal decreto: da un lato lo sviluppo di un’economia basata su dati reali armonizzati a livello europeo, dall’altro la limitazione del monopolio dei giganti digitali, attraverso la realizzazione di un mercato più equo e la semplificazione dell’amministrazione pubblica. È necessario e rilevante sottolineare che il consolidamento di tali obiettivi, soprattutto del primo, non dipende da scelte di alto profilo nazionali (e tantomeno europee), ma sono strettamente legate a un sano, organico e condiviso lavoro dal basso.
Le indicazioni di dettaglio
Affrontarli seriamente e con speranze di successo vuol comunque dire ripartire – con un’analisi critica – dalla “lettera morta” di riforme che hanno compiuto proprio quest’anno rispettivamente trenta e venti anni: la legge 241/1990 e il testo unico sul documento amministrativo approvato con dpr 445/2000. Sia nel 1990 sia nel 2000 gli obiettivi principali del legislatore erano, tra gli altri già allora, la semplificazione e l’innovazione. In entrambi i casi, il risultato è stato assai deludente, anche se, certamente, non insignificante. Di questi due provvedimenti cardine la legge 120/2020 affronta tuttavia solo alcuni aspetti, peraltro non del tutto centrali rispetto alla finalità dichiarata di semplificare l’applicazione della complessa normativa sull’amministrazione digitale e di accelerare i percorsi avviati ben prima dell’approvazione del Codice dell’amministrazione. Sembra più che altro voler concentrare l’attenzione su alcuni interventi tecnici in grado (almeno sulla carta) di rendere cogente la trasformazione digitale e determinare una buona volta e definitivamente lo switch-off digitale (e quindi la messa a disposizione dei servizi digitali a cittadini e imprese) al 28 febbraio 2020.
Al centro di questa sezione del decreto (Titolo III. Misure di semplificazione per il sostegno e la diffusione dell’amministrazione digitale) e dell’azione che si intende accelerare, troviamo, infatti, l’uso rafforzato e consolidato di strumenti operativi per la gestione delle identità digitali (SPID con l’aggiunta della carta di identità elettronica) e per la comunicazione di documenti e informazioni (PEC o meglio domicilio digitale obbligatorio), accompagnato (ma non organicamente integrato) da alcune indicazioni di natura generale. Altri autorevoli interventi hanno ricordato che sembra mancare l’individuazione di una “efficace formula organizzativa che assicuri il coordinamento delle azioni poste in essere da tutti i soggetti istituzionali a qualsiasi titolo coinvolti nello sviluppo dell’informatica pubblica” (dall’audizione del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti al Senato). Tuttavia, per avviare una riflessione più approfondita su questo nodo ed evitare di ripetere quanto già troppe volte sottolineato, sembra utile proporre un elenco di quelle indicazioni di dettaglio presenti nel provvedimento che innovano rispetto al passato e, soprattutto, sciolgono alcune criticità tecniche che hanno finora rallentato la digitalizzazione e fornito alibi a molti amministratori, promuovendo finalmente soluzioni di interoperabilità:
- è fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di utilizzare e aggiornare specifiche e autonome credenziali di accesso;
- si allarga il diritto all’identificazione digitale per l’accesso anche ai servizi dei concessionari di pubblici servizi e delle società a partecipazione pubblica;
- è prevista la possibilità di presentare istanze, dichiarazioni e autocertificazione mediante l’app IO;
- si introduce il punto di accesso telematico finalizzato alla formazione e presentazione delle domande di accesso telematico (CAD, artt. 64-bis e 65) ;
- si stabilisce che l’invio di istanze, comunicazioni e documenti mediante indirizzi PEC iscritti nei registri INI-PEC, IPA o INAD consente l’identificazione del mittente e costituisce elezione di domicilio digitale;
- si avvia la costituzione della Piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione destinato ad affrontare e superare i problemi di digital divide grazie alla possibilità di inviare un avviso anche in modalità analogica al cittadino e a fornirgli indicazioni per gestire l’accesso online o ritirare il documento in formato cartaceo;
- si prevedono sanzioni tutt’altro che formali sia per i professionisti sia per le imprese che non utilizzino la PEC nonostante gli obblighi esistenti da tempo sia per i dirigenti che non ottemperino ai vecchi e ai nuovi obblighi destinati allo sviluppo di servizi amministrativi digitali.
Le proposte di indirizzo generale
A fianco di queste modifiche che in parte hanno già attirato l’attenzione dei commentatori e che meriterebbero successive valutazioni di merito sulla loro efficacia nel processo di trasformazione, non mancano anche importanti proposte di indirizzo generale destinate a sostenere anche in termini di governance l’intero modello, tra cui:
- l’introduzione del Codice di condotta tecnologica presso ogni amministrazione con l’obiettivo di “favorire la digitalizzazione” e “garantire il necessario coordinamento sul piano tecnico” in coerenza “con gli obiettivi dell’agenda digitale italiana ed europea“ disciplinando “le modalità di progettazione, sviluppo e implementazione dei progetti, sistemi e servizi digitali delle amministrazioni pubbliche, nel rispetto della disciplina in materia di perimetro nazionale di sicurezza cibernetica” (CAD, articolo 13-bis commi 1 e 2);
- il ricorso a (non meglio precisati) esperti in possesso “di comprovata esperienza e qualificazione professionale nello sviluppo e nella gestione di processi complessi di trasformazione tecnologica e progetti di trasformazione digitale”, ai quali le amministrazioni possono rivolgersi anche in forma associata, tra l’altro anche in relazione a obiettivi di formazione del personale (CAD, articolo 13-bis co. 3);
- la definizione di obblighi e termini per la fruibilità dei dati e indicazioni sulla creazione di una piattaforma nazionale digitale (CAD, artt. 50 e 50-ter);
- l’attribuzione alla Presidenza del Consiglio del coordinamento informatico delle amministrazioni statali, regionali e locali e le attività di monitoraggio e vigilanza sull’attuazione della strategia digitale pubblica.
Conclusione
Il quadro generale è complesso, l’analisi richiederà tempo e occasioni di confronto e verifica. Resta l’impressione, speriamo smentita dai fatti, che – come capita troppe volte nel nostro Paese – i vecchi nodi (di valore strategico eppure ignorati) continueranno a essere trascurati e a rimanere irrisolti senza la certezza che le nuove soluzioni siano in grado di essere sviluppate in modo da rendere governabile e realizzabile con una logica di sistema integrato e con una visione consolidata e consapevole quanto finora definito da tempo sul piano normativo, più volte pianificato e talvolta anche parzialmente e positivamente trasformato.
Da troppo tempo l’autoreferenzialità delle decisioni politiche e l’instabilità e l’incertezza del quadro di riferimento in cui operano i decisori dettano le condizioni di una innovazione che si pretende immediata e radicale, dimenticando che “habit is habit, and not to be flung out of the window by any man, but coaxed down-stairs one step at a time” (Mark Twain).