Intelligenza artificiale è soprattutto un paradigma che renda più semplice la vita quotidiana dei cittadini e più facile l’accesso ai servizi digitali della pubblica amministrazione. Il percorso di innovazione del Paese non può trascurare dunque questo settore tecnologico, oggetto di studi approfonditi in Italia già da decenni.
E’ un po’ questa la missione del gruppo degli esperti voluti dal Mise per l’intelligenza artificiale. E’ un po’ questo quello che ci si aspetta da loro.
«Non siamo secondi a nessuno, siamo alla quarta generazione di ricercatori italiani sul tema. Abbiamo iniziato negli anni Sessanta, si pensi che l’AI è nata nel 1956 con un manifesto negli Stati Uniti», ricorda ad agendadigitale.eu il professor Salvatore Gaglio dell’Università di Palermo.
Gaglio è appunto uno dei membri del gruppo di esperti individuato dal Ministero dello Sviluppo economico per elaborare una strategia nazionale che abbia l’obiettivo di dare all’Italia gli strumenti idonei per stare al passo con l’avanzamento tecnologico e i ritmi di innovazione degli altri Paesi. Un analogo tavolo è stato attivato anche per la blockchain.
La ricerca in Italia sull’Intelligenza artificiale
Al Paese non mancano le menti e nemmeno i luoghi di studio relativamente all’Intelligenza artificiale. Tuttavia, la materia risente dei problemi che affliggono la ricerca: la mancanza di fondi per quella pubblica, mentre per l’ambito privato le carenze sembrano essere date da una cultura imprenditoriale ancora poco propensa a lavorare sulla ricerca: «In ogni università dove ci si occupa di informatica quasi sempre si fa anche ricerca sull’Intelligenza artificiale – ha sottolineato Gaglio -. Il livello italiano è ottimo e siamo all’avanguardia. Il problema è la fuga dei ricercatori all’estero e il sostegno alla ricerca: l’industria raramente ha laboratori di ricerca, i dottori di ricerca non vengono assunti. Abbiamo ottimi prodotti di ricerca ma non li sfruttiamo».
Paolo Giudici, professore di Statistica all’Università di Pavia, ha evidenziato come ci siano atenei e grandi imprese che sono punti di riferimento per l’ambito, tuttavia «quello che manca è il mettere insieme queste iniziative in comune e realizzare un progetto strategico. È questa l’iniziativa che immagino voglia portare avanti il Mise. All’estero, Paesi come Germania e Francia stanno molto investendo nel settore. Noi abbiamo meno risorse, ma se facessimo sistema potremmo integrare le iniziative dei privati».
Un ecosistema favorevole
Come esempio di struttura in cui poter fare innovazione, Giudici ha fatto riferimento al Fintech District di Milano, open community creata nel 2017 che riguarda l’innovazione tecnologica applicata ai servizi finanziari: «Anche gli Innovation hub sono luoghi utili dove sperimentare le proprie attività senza essere subito fermati – ha aggiunto -. Bisogna incoraggiarne lo sviluppo, creando così un ecosistema favorevole alla ricerca e all’innovazione». Per garantire lo sviluppo delle tecnologie legate all’Intelligenza artificiale dunque, secondo gli esperti è necessario creare le condizioni ambientali idonee, una serra in un far germogliare i semi del sapere, ma non solo: «Per esempio risulterebbe utile rendere davvero disponibili a tutti gli open data e partecipare ai fintech hub europei e internazionali».
Per Gaglio, nel settore privato le difficoltà nella creazione di un ambiente adatto alla ricerca sull’Intelligenza artificiale sono di natura amministrativa e imprenditoriale: «Molto spesso le aziende che fanno innovazione sono piccole, a parte i grossi laboratori internazionali. Ci sono tantissime startup che nascono ma muoiono presto, perché l’aspetto burocratico è troppo pesante». Inoltre, «manca anche una cultura dell’innovazione nell’impresa italiana. Certo ci sono tanti bandi pubblici, nei quali però si verifica l’aspetto formale senza vedere i risultati veri. Sarebbe necessario un ecosistema dove ognuno faccia la sua parte».
Le possibili applicazioni di interesse pubblico
Il gruppo di esperti, di cui i due docenti fanno parte, radunato dal Mise, dovrà lastricare la strada verso un piano nazionale sull’Intelligenza artificiale, chiarendo cosa fare e come farlo. Le possibili applicazioni di interesse pubblico sono svariate: «Ad esempio, lavorare sullo scambio tra i database statali e della PA, all’interno delle singole amministrazioni attualmente ci sono problemi di interoperabilità . Avere sistemi che in maniera automatica riescano a superare gli aspetti formali, integrando le informazioni – ha spiegato Gaglio -. E poi, c’è anche il problema della sicurezza, la cui risoluzione è un obiettivo chiave». Lo scopo è rendere più user friendly certi sistemi: «Nei sistemi online a volte le informazioni sono nascoste, le procedure non sono chiare. Ci vogliono mezzi che riescano a capire cosa vuole l’utente e aiutarlo ad accedere ai servizi», ha sottolineato.
Le tecnologie potrebbero essere largamente usate anche nell’ambito finanziario e bancario: «Lo Stato potrebbe intervenire nel settore favorendone l’innovazione. I servizi bancari tradizionali si stanno disintermediando, ci sono sempre più realtà che offrono comodi servizi in via telematica», ha raccontato Giudici. Tuttavia, il pericolo è in agguato: «Possibile che gli strumenti vengano usati senza conoscerne i rischi, con conseguenze anche gravi».