Lo Stato Islamico avrebbe utilizzato alcuni (pare tre) Non Fungible Token (NFT) a scopo di propaganda e, forse, di autofinanziamento tramite valute virtuali. Gli NFT, sono stati prontamente rimossi, ma la vicenda apre a numerose riflessioni sul mondo delle criptovalute e della blockchain. Tra detrattori e ultra-entusiasti, vediamo cosa è accaduto e quali spunti trarre dalla storia su IS-NEWS #1NFT.
Gli NFT dell’Isis su OpenSea, Rarible e IPFS
La notizia rilanciata dal Wall Street Journal riguarda la creazione, pubblicazione e successiva rimozione di tre NFT su altrettante note piattaforme di blokchain.
Sempre il WSJ riporta il commento di un noto ex analista della CIA, Yaya Fanusie, per cui lo “sbarco” dell’Isis sulle piattaforme blockchain sarebbe stata solo questione di tempo.
All’allarmismo del WSJ hanno risposto le pronte reazioni dei portali, che hanno rimosso il contenuto illegale in tempo quasi reale.
Il timore degli analisti USA è che gli NFT possano essere utilizzati anche per finanziare le attività terroristiche dello Stato Islamico.
Commentatori più distaccati hanno fatto notare, però, che nessun non fungible token dell’Isis è stato posto in vendita nei marketplace dei portali in cui erano stati “pubblicati”.
Il rischio è, quindi, del tutto teorico, anche se nulla vieta che ciò possa avvenire in futuro.
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Le reazioni delle testate specializzate
Scandalizzarsi per l’impiego della blockchain per fini propagandistici è da veri ingenui: l’Isis aveva pubblicato anche su YouTube gli orrendi video delle decapitazioni già anni fa.
Video “pirata” dello Stato Islamico irrompono tuttora nei devices dei navigatori del web più sprovveduti.
Cosa cambia esattamente, se non la piattaforma? Il pezzo del WSJ pare, in questo caso, gettare un’ombra su portali neutri, senza che vi sia una ragione particolare.
Comprensibile, quindi, che le reazioni delle testate specializzate in criptovalute e blockchain siano state dure nei confronti della “notizia” riportata dal WSJ.
Che organizzazioni criminali, Stati canaglia e chi più ne ha più ne metta possano utilizzare le criptovalute per riciclare denaro di provenienza illecita o per finanziare azioni illegali è un altro fatto noto e già ampiamente studiato, dibattuto e per cui sono state predisposte numerose contromisure statali ed internazionali.
Gridare allo scandalo, in altri termini, è solo un modo per rendere il pezzo clickbait e – forse – per gettare discredito sul modo delle valute virtuali, in un momento storico in cui quelle “reali” stanno mostrando alcuni limiti.
Conclusioni
I gestori dei portali che offrono servizi di blockchain, criptovalute e non fungible token sanno perfettamente che il primo rischio cui vanno incontro è la diffusione di contenuti illegali, dalla pedopornografia all’incitamento all’odio, fino al finanziamento ed alla propaganda del terrorismo.
È il motivo per cui i consulenti di questi portali (io per primo) inseriscono nelle condizioni d’uso svariate clausole di salvaguardia finalizzate a preservare “l’integrità” del mondo virtuale creato, spesso, con fatica e non poca immaginazione.
Le normative antiriciclaggio sono più che stringenti e la soglia del penalmente rilevante, i Italia ed in Europa almeno, è significativamente avanzata verso la tutela dell’utente finale e dei soggetti deboli che possono essere oggetto di sfruttamento tramite le nuovissime tecnologie.
Vero è che il mondo della blockchain, delle criptovalute e dei non fungible token è soggetto a livelli di speculazione altissimi ed è un contesto in cui gli utenti meno esperti – cioè quasi tutti gli utenti medi – sono altamente esposti a truffe.
Come dice però Marco Camisani Calzolari, se non capisci dove si trova il guadagno, il guadagno… sei tu.
In sintesi, il mondo della blockchain, delle criptovalute e dei non fungible token è un contesto potenzialmente bellissimo, ma come tutti i mezzi è neutro: può essere utilizzato per creare bellezza e ricchezza, ma non è invulnerabile ad atti criminali e terroristici.