le indicazioni

NFT, come proteggere i marchi nel metaverso: il caso della Juventus

Una pronuncia del tribunale di Roma che concesso alla ricorrente Juventus l’inibitoria dalla produzione e commercializzazione degli NFT permette di chiarire le regole per tutelare i marchi nel metaverso: ecco gli impatti concreti alla luce della normativa

Pubblicato il 22 Dic 2022

Leonardo Maria Seri

Avvocato - Counsel BMLex

NFT, cosa sono, esempi e come creare un non-fungible token

Il diffondersi degli NFT dal mondo dell’arte a quello della musica e dei collectibles, ha aperto la strada a nuovi fenomeni e nuove interrogativi. Da tempo ci si chiede quali siano le più adeguate strategie di protezione di marchi nel metaverso e se l’uso di marchi di terzi nell’ambito dei contenuti digitali associati ad un NFT possano costituire contraffazione di marchio, anche alla luce dei contenziosi pendenti oltreoceano[1].

Se nel frattempo l’EUIPO ha cercato di fornire indicazioni orientative alla luce dell’elevato numero di depositi aventi ad oggetto NFT e prodotti digitali per il metaverso[2], in attesa di conoscere l’esito delle ormai note cause pendenti oltreoceano, un primo tentativo di risposta nel vecchio continente è arrivato dal Tribunale di Roma, che con ordinanza del 20 luglio 2022, ha concesso alla ricorrente Juventus l’inibitoria dalla produzione e commercializzazione degli NFT e dei contenuti collegati, assistita da penale per ogni giorno di ritardo o violazione.

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NFT, il caso della Juventus

Il Tribunale di Roma ha infatti disponendo di: “inibire […] l’ulteriore produzione, commercializzazione, promozione e offerta in vendita, diretta e/o indiretta, in qualsivoglia modo e forma, degli nft (non,fungible token) e dei contenuti digitali di cui in narrativa, nonché di ogni altro nft (non,fungible token), contenuto digitale o prodotto in genere recante la fotografia di cui in narrativa, anche modificata, e/o i marchi Juventus di cui in narrativa, nonché l’uso di detti marchi in qualsiasi forma e modalità” ed ordinando alla resistente “[…] di ritirare dal commercio e rimuovere da ogni sito internet e/o da ogni pagina di sito internet direttamente e/o indirettamente controllati dalla stessa su cui tali prodotti sono offerti in vendita e/o pubblicizzati, gli nft (non,fungible token) ed i contenuti digitali ad essi associati o prodotti in genere oggetto di inibitoria”.

Il caso riguardava la creazione, promozione e commercializzazione di card digitali collezionabili relative a calciatori del passato (nel caso di specie Bobo Vieri nel periodo juventino), vendute in associazione ad NFT: in base a quanto rilevato dal giudice de quo, emerge come l’autorizzazione concessa dal calciatore per l’utilizzo della propria immagine a tal fine fino al 2024, secondo il Tribunale non fosse sufficiente ai fini dell’uso delle immagini in questione recanti anche marchi di terzi e non esimeva dunque il resistente dal dover ottenere, da parte delle squadre le cui maglie e denominazioni venivano riprodotte, l’autorizzazione all’utilizzo dei rispettivi marchi, poiché “…anche la fama delle diverse squadre in cui il calciatore ha giocato contribuiscono a dare valore all’immagine digitale da acquistare”.

L’impatto della decisione del Tribunale di Roma

Il provvedimento potrebbe a prima vista destare qualche perplessità poiché sembra celare un tentativo di non fare i conti con la struttura e le caratteristiche di web 3.0 ed NFT: basti pensare che la parola blockchain appare solo all’interno di una frase e che, nel qualificare la fattispecie e ricondurla ad utilizzazione non autorizzata dei marchi di Juventus, il provvedimento pone al centro “la creazione di dette Card e la loro commercializzazione”, apparentemente relegando ad una posizione del tutto secondaria l’uso di NFT, cui si riferisce nei seguenti termini “…a prescindere dalle caratteristiche telematiche delle Cards in questione…”. In altri termini, il fenomeno sembra essere osservato e soppesato tenendo in considerazione le condotte afferenti il web 2.0 (quello della creazione e commercializzazione di Card digitali in associazione a marchi di terzi, in assenza della relativa autorizzazione), relegando invece NFT e blockchain (i.e. i fenomeni relativi al web 3.0), con le loro peculiarità (ivi inclusa la loro immodificabilità), a mere caratteristiche telematiche da cui si potrebbe prescindere nella valutazione del fenomeno e della violazione.

NFT e marchi, indicazioni pratiche

Eppure, ad una lettura più approfondita, sembra possibile ricavare alcune prime indicazioni per l’interpretazione del fenomeno in questione e, più in generale, per la qualificazione di fattispecie sempre più frequenti relative all’uso di NFT e blockchain. In primis, la pronuncia del Tribunale di Roma sembra dare rilevanza, inter alia e quantomeno ai fini del periculum in mora, alla possibilità di rivendita delle Card sul mercato secondario (rivendite sulle quali ai creatori delle card spetterebbe una fee), come generalmente avviene nell’uso di NFT in relazione a prodotti collezionabili e/o d’autore, nel caso di specie mettendone espressamente in evidenza gli esclusivi fini commerciali (quantomeno con riguardo alla creazione e commercializzazione delle Card digitali). Ciò sembra porre qualche domanda sulla configurabilità di un uso privato di tali NFT che circolano sulle piattaforme di scambio e spesso prevedono percentuali riconosciute in favore del soggetto mintatore a fronte di ogni successiva cessione sul mercato secondario.

Inoltre, l’uso di NFT in relazione a beni digitali è un fenomeno che a prima vista sembra essere unitario, ma che opera “a più livelli”, in cui fattispecie diverse si sovrappongono, restando al contempo autonomamente apprezzabili. Ed infatti, la pronuncia in commento, pur concentrando l’attenzione sulle Card e sui contenuti digitali, sembra in ogni caso considerare detta stratificazione:

  • da un lato distinguendo la creazione e commercializzazione delle card dalle relative “caratteristiche telematiche” (distinzione che torna nello specifico riferimento agli NFT ed ai contenuti digitali ad essi associati, di cui al dispositivo dell’ordinanza);
  • dall’altro ordinando, insieme a un’inibitoria dalla creazione e commercializzazione degli NFT e dei contenuti digitali ad essi associati, di ritirare dal commercio tali NFT e contenuti collegati, precisando tuttavia di rimuoverli (solamente) da ogni sito internet e/ o da ogni pagina di sito internet direttamente e/o indirettamente controllati dalla resistente su cui tali prodotti sono offerti in vendita e/o pubblicizzati.

In altri termini, il provvedimento (che limita rimozione di NFT e contenuti digitali associati da ogni sito sito web e/o pagina di siti web) sembra voler aggirare le tematiche connesse al web 3.0 ed alle sue caratteristiche, in primis quella della sostanziale immodificabilità di blockchain ed NFT. Restano dunque tuttora aperti i numerosi dubbi degli interpreti circa le difficoltà di enforcement di provvedimenti che si scontrano con essi ed in generale con il web 3.0.

Le possibili soluzioni tecniche: il burning

Non sembra peraltro nemmeno necessario penetrare così a fondo il fenomeno, per poter appurare le difficoltà di attuazione di tali provvedimenti, posto che da una ricerca sul portale Opensea, i contenuti in questione sembrerebbero essere tuttora visibili, con possibilità di inviare un’offerta al relativo titolare del NFT cui i contenuti digitali in discussione sono collegati, che potrà accettare o rifiutare l’offerta. Ed anche volendo considerare soluzioni tecniche come il cd. burning, consistente nel trasferimento del NFT ad un indirizzo nullo (i.e. a un wallet non esistente), il problema permane: non si tratterebbe infatti di una vera e propria distruzione del NFT, posto che come la blockchain anche l’NFT è immodificabile e dunque, una volta “mintato” non può più essere rimosso. In altri termini, in ogni caso l’NFT e le informazioni con esso mintate resteranno archiviati in blockchain (anche laddove tali NFT dovessero essere rimossi da siti e pagine web e perfino in ipotesi di burning del NFT).

Come viene effettuato il burning

Resta inoltre il problema che il burning può essere effettuato solo dal proprietario del NFT poiché è l’unico ad avere il controllo del suo walletID; pertanto, una volta ceduto l’NFT cui è associato un contenuto digitale ipoteticamente in violazione di diritti di terzi, il promotore del progetto non potrà più effettuare tale operazione. Dulcis in fundo, resta il tema della qualificazione della creazione stessa di un NFT rispetto alle possibili violazioni: fin dalle prime applicazioni degli NFT al modo dell’arte e dei beni collezionabili, infatti, ci si è chiesti se la mera creazione di un NFT relativo a determinati contenuti digitali potesse costituire essa stessa contraffazione di marchio o violazione di diritti d’autore[3].

Ebbene il provvedimento in commento non solo tiene nel dispositivo – correttamente – ben distinti gli NFT dai contenuti digitali ad essi associati, ma inibisce la stessa produzione degli NFT. A ben vedere, dunque, sembrerebbe doversene trarre la conclusione che anche la mera creazione di un NFT possa costituire contraffazione di marchio, pur non includendo i contenuti ad esso associati (che in esso sono solamente identificati univocamente e localizzati in uno spazio di archiviazione esterno). Ciò riveste particolare interesse, posto che ci si chiedeva finora se il “minting” in sé potesse essere ritenuto attività contraffattoria[4], o se fosse invece necessario che detta attività fosse accompagnata dalla visualizzazione, promozione, commercializzazione od altra utilizzazione nell’attività economica dei contenuti recanti i marchi contestati, come nel caso in commento. Inoltre, una tale interpretazione agevolerebbe di certo la tutela dei diritti di proprietà intellettuale in favore dei titolari, di fronte a fenomeni di usurpazione nel web 3.0.

Valutazione di affinità tra prodotti fisici e digitali: le regole

Resta infine ancora aperto il tema della valutazione di affinità tra prodotti fisici e prodotti digitali omologhi. In particolare, nel caso di specie, dato atto che i marchi della Juventus sono marchi notori e che comunque gli stessi rivendicherebbero inter alia prodotti in classe 9 inerenti anche a pubblicazioni elettroniche scaricabili, il provvedimento in commento rileva che possa esservi affinità tra le condotte contestate (creazione, promozione e commercializzazione di contenuti digitali recanti marchi di terzi in assenza della relativa autorizzazione, sotto forma di card collezionabili associate ad NFT) e le rivendicazioni in classe 9 in questione. Tenendo a mente i criteri giurisprudenziali in tema di valutazione dell’affinità tra prodotti, sembra tuttavia potersi dubitare, allo stato, che la stessa possa dirsi in astratto sussistente – in assenza di siffatti depositi -tra rivendicazioni relative a prodotti fisici e l’uso dei marchi contraffatti in relazione a prodotti digitali corrispondenti, quantomeno laddove tali utilizzi abbiano ad oggetto condotte/prodotti digitali puri, senza relazioni con il mondo fisico.

Insomma, in attesa che nuove pronunce affrontino più approfonditamente anche tali tematiche e salve le prassi e le abitudini che dovessero nel frattempo svilupparsi sul mercato, sembra quantomai opportuno, almeno in questa fase, considerare un aggiornamento delle strategie di tutela e di deposito dei marchi, che tenga in considerazione anche le possibili rivendicazioni legate a prodotti e servizi del web 3.0, onde evitare il rischio di scoprirsi impotenti di fronte a possibili usurpatori digitali 3.0.

__

Note

  1. Si pensi,tra gli altri, al caso Hermes vs. Mason Rotschild in relazione alle metabirkin lanciate in NFT da quest’ultimo ed al caso che vede contrapposte Nike e Stock-X in relazione ai cd. vault NFT lanciati da quest’ultima.
  2. L’EUIPO ha infatti chiarito che “i prodotti virtuali rientrano nella Classe 9 perché sono trattati come contenuti digitali o immagini. Tuttavia, mancando di per sé di chiarezza e precisione, il termine prodotti virtuali deve essere ulteriormente specificato chiarendo il contenuto al quale detti prodotti virtuali si riferiscono (ad esempio prodotti virtuali scaricabili, ovvero abbigliamento virtuale)” e che “la 12a edizione della classificazione di Nizza conterrà il termine file digitali scaricabili autenticati da token non fungibili nella Classe 9”, mentre per i servizi relativi a prodotti virtuali e NFT basterà seguire i principi già consolidati di classificazione per i servizi; resta comunque qualche perplessità in merito alla qualificazione degli NFT quale strumento di autenticazione di contenuti digitali, circostanza quantomai discutibile, come già rilevato in SERI L.M., NFT e arte: lo stato delle regole su autenticità e diritti d’autore. 
  3. Cfr. Lapatoura I., Copyright & NFTs of Digital Artworks, in The IPKat, 23 marzo 2021,; per maggiori approfondimenti cfr. anche Janssens M.C. – Vanherpe J., Non-Fungible Tokens and Copyright: crypto-buyer beware, in KU EUVEN CiTiP Blog, 29 giugno 2021 
  4. Per ulteriori approfondimenti sul tema si veda SERI L.M. in ANNUNZIATA F. – CONSO A. “NFT – L’arte e il suo doppio. Non Fungible Token: L’importanza delle regole oltre i confini dell’arte”, Montabone editore, 2021.

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