L'approfondimento

NFT e antiriciclaggio, ecco le regole e il loro impatto sulle piattaforme di scambio dei token

Una panoramica sulla normativa in materia di antiriciclaggio e contrasto al finanziamento del terrorismo, per capire in che modo le piattaforme di scambio degli NFT possono adeguarsi e quali regole devono seguire

Pubblicato il 21 Dic 2022

Antonio Di Giorgio

Avvocato, Partner Annunziata&Conso

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Il mercato digitale è oggi uno degli ambiti sotto più attenta osservazione per prevenire il riciclaggio dei proventi di attività criminose e il finanziamento del terrorismo. Nel corso degli ultimi anni, la rilevanza di tale fenomeno è stata senz’altro accentuata dalla crescente diffusione delle valute virtuali e dal progressivo assoggettamento dei fornitori di servizi legati a tali valute virtuali agli obblighi del decreto antiriciclaggio (D.lgs. 231/2007). In tale quadro, le piattaforme di scambio di NFT si trovano di fronte ad una valutazione caso per caso, anche alla luce del modello di business, circa il rispetto di tale normativa.

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Cosa dice la quinta direttiva AML per il mercato delle crypto e degli NFT

La quinta Direttiva Antiriciclaggio (Direttiva UE 2018/843) rappresenta una prima e importante “reazione” a livello europeo al crescere dell’allarme legato al rischio di utilizzi illeciti delle cripto-attività[1] (la direttiva parla in verità di “valute virtuali”). In particolare, la V Direttiva Antiriciclaggio estende l’ambito soggettivo ed oggettivo di applicazione delle disposizioni antiriciclaggio al fine di ricomprendervi i prestatori di servizi di cambio tra le valute virtuali e le valute aventi corso legale (cc.dd. exchanger) e di portafoglio digitale[2] (cc.dd. wallet provider). Oggetto dei servizi di tali operatori sono quindi le “valute virtuali”.

In Italia, già il D.Lgs. n. 90 del 2017 (in sede di recepimento della IV Direttiva Antiriciclaggio (Direttiva UE 2015/849) aveva introdotto nell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 231 del 2007, con la lett. qq), la definizione di “valuta virtuale”, quale “rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”; il D.Lgs. n. 125 del 4 ottobre 2019 (di attuazione della Direttiva UE 2018/843), ha poi esteso e ampliato tale definizione, che, nella versione vigente, recita: «la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente[3]».

L’analisi

È evidente l’intento del Legislatore del 2019 di ampliare la portata della definizione comunitaria; intento, peraltro, espressamente dichiarato nella Relazione che accompagnava lo schema del Decreto Legislativo di recepimento, la quale chiarisce che la definizione mira ad includere, sia sul piano soggettivo (ovvero dei soggetti obbligati all’adempimento degli obblighi antiriciclaggio), sia su quello oggettivo (ovvero delle fattispecie rilevanti), una casistica ampia, variegata e difficilmente codificabile. Quindi tutte le cripto-attività? E anche i Non Fungible Token (NFT)?

Va notato che nella citata definizione, contenuta nell’art. 1, comma 2, lett. qq), del D.Lgs. n. 231 del 2007 (oggi vigente), non sembrano essere incluse solo le valute virtuali in senso stretto, ma possono essere intercettate diverse tipologie di cripto-attività e le diverse finalità sottostanti alla loro emissione e circolazione. In particolare, nella definizione in commento possono sostanzialmente rientrare: asset riconducibili alle nozioni di “beni” (così come definiti nell’art. 810 c.c.), di “documenti” o “titoli di legittimazione”, di “strumenti finanziari” (come definiti dall’art. 1. comma 2 del TUF), di “prodotti finanziari” (come definiti nell’art. 1, comma 1, lett. u) del TUF), – questo ultimo soprattutto perché compare nella definizione l’inciso «per finalità di investimento» –, di “strumenti di pagamento” (come definiti dal TUB). Tale onnicomprensività della definizione si spiegherebbe tenendo presente l’obiettivo della disciplina, che è quello di contrastare il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo a prescindere dagli strumenti e dalle condotte negoziali utilizzati per tali finalità illecite[4].

Quanto agli NFT, sebbene alcune delle loro caratteristiche (infungibilità, diritto di seguito limitato, assenza di una vocazione tipicamente finanziaria etc.) paiano escludere la riconducibilità meccanica alla norma in commento, ciò non esenta emittenti e prestatori di servizi, comunque interessati ai processi di creazione e circolazione dell’NFT, a verificare di volta in volta se la fattispecie sia effettivamente esente dalla applicazione della disciplina in commento.

Antiriciclaggio, l’impatto delle norme sulle piattaforme NFT

Sebbene gli NFT – come visto e in astratto – sono potenzialmente fuori dalla nozione di “valuta virtuale” ex D.lgs. 231/2007, per valutare l’esistenza di obblighi in capo alle piattaforme è comunque utile soffermarsi proprio sulla definizione che il decreto antiriciclaggio fornisce di tali nuovi destinatari della norma, nonché sul loro modello di business, segnatamente:

  • per “prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale”, si intende “ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da ovvero in valute aventi corso legale” (art. 1, comma 2, lett. ff), del D.Lgs. n. 231 del 2007);
  • per “prestatori di servizi di portafoglio digitale” si intende “ogni persona fisica o giuridica che fornisce, a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti, al fine di detenere, memorizzare e trasferire valute virtuali” (art. 1, comma 2, lett. ff-bis), del D.Lgs. n. 231 del 2007).

Alla luce delle definizioni, devono ritenersi compresi tra i soggetti destinatari dei presidi antiriciclaggio i wallet provider, gli exchanger o le piattaforme che emettono cripto-attività, i gestori di sportelli ATM, attraverso i quali è possibile acquistare o vendere valute virtuali in cambio di valute tradizionali. L’ampia definizione sembra accogliere in potenza le piattaforme – quando operano in Italia o si rivolgono a clienti residenti in Italia – che per modello di business consentono agli utenti lo scambio degli NFT in cambio di valute virtuali (per esempio, sia nel mondo della cripto-arte, sia dello sport) come ETH o USDT; mentre si ritengono esclusi dall’ambito di applicazione della stessa norma gli emittenti o i creatori degli NFT. Infatti, sebbene gli NFT in astratto non siano valute virtuali, gli ETH e gli USDT invece sì.

La circostanza che la piattaforma consenta o accetti il pagamento in valuta virtuale (es. ETH) oppure offra e commercializzi NFT aventi «finalità di investimento» consente di supporre l’applicabilità della disciplina antiriciclaggio e dei relativi obblighi alla stessa. Si richiamano a riguardo le più volte citate definizioni di valuta virtuale e prestatori di servizi relativi alle valute virtuali del D.lgs. 231/2007, nonché quanto si è detto sulla ratio legislativa sottesa alla V Direttiva Antiriciclaggio: è “valuta virtuale” anche la “rappresentazione digitale di valore […] utilizzata […] per finalità di investimento” e il “prestatore di servizi relativi alle valute virtuali” è il soggetto “che he fornisce a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi funzionali all’utilizzo […] di valuta virtuale […], nonché i servizi di emissione, offerta, […] alla negoziazione o all’intermediazione nello scambio delle medesime valute[5]”.

Il caso degli NFT nel mondo dell’arte

Volgendo l’attenzione agli NFT del mondo dell’arte, non è da sottovalutare un ulteriore aspetto; ovvero che, a prescindere da quanto sin qui sostenuto, le piattaforme di scambio tra utenti e venditori (artisti) di NFT potrebbero ricadere nell’ambito di applicazione del decreto antiriciclaggio ove sia al contempo svolto il ruolo di “casa d’asta”, o di “chi commercializza opere d’arte”, quando il valore dell’operazione è pari o supera i 10.000 euro. Al proposito è bene ricordate che ai sensi dell’art. 3, comma 5, lett. b) del D.Lgs 231/2007[6] rientrano tra i destinatari del decreto antiriciclaggio, nella categoria degli operatori non finanziari, e sono quindi tenuti al rispetto della disciplina “i soggetti che esercitano attività di commercio di cose antiche, i soggetti che esercitano il commercio di opere d’arte o che agiscono in qualità di intermediari nel commercio delle medesime opere, anche quando tale attività è effettuata da gallerie d’arte o case d’asta di cui all’articolo 115 TULPS qualora il valore dell’operazione, anche se frazionata o di operazioni collegate sia pari o superiore a 10.000 euro”[7].

Nella relazione si legge che il settore – ancora non regolamentato, caratterizzato dalla presenza di operatori di piccole dimensioni, da transazioni di elevato ammontare e in contante – è particolarmente esposto a fenomeni di riciclaggio di denaro correlati alla scarsa tracciabilità delle operazioni e perciò si invita il Legislatore europeo e i singoli Stati a rendere anche questo mercato più trasparente. Da qui la V Direttiva Antiriciclaggio, che dà esplicitamente atto che le opere d’arte sono strumenti utilizzati per finalità di riciclaggio e che le operazioni su tali beni, se superano alcuni ammontari, determinano l’insorgere di obblighi in materia di identificazione e verifica della propria clientela.

I consigli per gli operatori

Dunque, gli operatori delle piattaforme di scambio NFT, svolgendo un’analisi della propria operatività, devono domandarsi se sono ricompresi o no all’interno dei soggetti vincolati all’osservanza degli adempimenti di prevenzione e mitigazione del rischio antiriciclaggio[8]. In ultimo si precisa che alluce del decreto del Ministero dell’Economia e della Finanza del 13 gennaio 2022 (pubblicato nella G.U. n. 40/2022), attuativo dell’art. art. 17-bis, comma 8-bis del D.Lgs. 141/2010, tali piattaforme dovrebbero anche valutare se sono tenute all’iscrizione in una sezione speciale del registro istituito a partire dallo scorso 16 maggio presso l’Organismo Agenti e Mediatori[9] (OAM)[10].

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Note

  1. A livello europeo tale fenomeno è stato analizzato dalla European Securities and Markets Authority (ESMA), con l’Advice on Initial Coin Offerings and Crypto-Assets (ESMA50-157-1391), e dalla European Banking Authority (EBA), con il Report with advice for the European Commission on crypto-assets. Con queste due analisi, entrambe datate 9 gennaio 2019, le autorità europee hanno identificato due aree d’attenzione: (i) le criptovalute qualificabili come strumenti finanziari ai fini dell’applicazione della disciplina europea in materia di servizi di investimento; (ii) i casi in cui questi asset non si qualificano come strumenti finanziari e l’assenza di un quadro regolamentare lascia gli investitori esposti a rischi. Nell’Advice si afferma inoltre che la disciplina antiriciclaggio dovrebbe applicarsi a tutti i crypto-asset e a tutte le attività ad essi relative e che dovrebbe essere assicurata un’adeguata informazione sui relativi rischi a beneficio degli investitori.
  1. Con la V Direttiva, per la prima volta in Europa il tema delle valute virtuali viene affrontato da una fonte di rango primario al fine di garantire un approccio più efficiente e coordinato in relazione alle indagini finanziarie in materia di terrorismo, incluse quelle relative all’uso improprio delle valute virtuali.
  2. Cfr. A. Conso – L. Martinotti, Antiriciclaggio e criptovalute: le anticipazioni alla V Direttiva AML, in “Rivista di Diritto Bancario”, 26 aprile 2018.
  3. Cfr. per approfondire Amendola P.R. – Conso A. – Ferretti R., Antiriciclaggio e valute virtuali, in “Rivista della Guardia di Finanza”, 3, 2020
  4. Per approfondire queste tematiche si consiglia la lettura di: ANNUNZIATA F. – CONSO A., “NFT – L’arte e il suo doppio. Non Fungible Token: L’importanza delle regole oltre i confini dell’arte”, Montabone editore, 2021 reperibile qui.
  5. Per completezza si precisa che l’art, comma 5, lett. c) del D.Lgs. 231/2007 fa riferimento ai “soggetti che conservano o commerciano opere d’arte ovvero che agiscono da intermediari nel commercio delle stesse, qualora tale attività è effettuata all’interno di porti franchi e il valore dell’operazione, anche se frazionata, o di operazioni collegate sia pari o superiore a 10.000 euro”.
  6. Non si può trascurare che l’arte rappresenta uno dei veicoli più sofisticati e preferiti dai riciclatori di proventi illeciti, come testimoniato anche da una relazione della Commissione europea del 2017: Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulla valutazione dei rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo che incidono sul mercato interno e sono connessi ad attività transfrontaliere del 26 giugno 2017, confermata poi da quella del 24 luglio 2019. Gli Stati membri sono stati invitati a considerare il rischio derivante dal settore delle opere d’arte e a promuovere campagne di sensibilizzazione tra i commercianti, nonché a incoraggiare questi ultimi ad applicare misure antiriciclaggio/di contrasto del finanziamento del terrorismo.
  7. Vale la pena di rammentare che per le case d’asta, nel caso in cui il soggetto conduca direttamente la vendita di beni propri o di beni altrui, è necessaria un’apposita licenza (cfr. art. 115 del Regio Decreto n. 773/1931 del 18.06.1931 – Testo unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza). Si tratta di un’autorizzazione prevista per lo svolgimento dell’attività di banditore. Nell’ipotesi in cui il banditore d’asta mette a disposizione soltanto il luogo virtuale di incontro (cioè il sito web), si configura invece una attività di mediazione, tendenzialmente non soggetta alla licenza. Secondo la legge, infatti, soltanto le agenzie di affari (tra le quali rientrano le case d’asta e le imprese, comunque organizzate, che si offrono come intermediarie nell’assunzione o trattazione di affari altrui, prestando la propria opera a chiunque ne faccia richiesta) necessitano della speciale autorizzazione.
  8. Cfr. al seguente link il Vademecum per gli “operatori in valute virtuali” presso l’OAM.
  9. Per completezza si precisa che nel luglio 2021 la Commissione ha presentato un nuovo pacchetto di proposte legislative in materia di antiriciclaggio per aggiornare e in parte rivoluzionare l’attuale quadro UE. Il pacchetto di proposte in materia di antiriciclaggio prevede quattro documenti legislativi. I quattro documenti sono: il regolamento 2015/847/UE, che mira a garantire la piena tracciabilità dei trasferimenti di cripto-attività e si propone di prevenire e individuare il loro possibile impiego a fini di riciclaggio e finanziamento del terrorismo; il regolamento che istituisce una nuova autorità dell’UE in materia di antiriciclaggio e lotta al finanziamento del terrorismo (AMLA – Anti-Money Laundering Authority); il nuovo regolamento in materia di AML/CFT, contenente norme direttamente applicabili, anche in relazione all’adeguata verifica della clientela e alla titolarità effettiva; la sesta direttiva in materia di AML/CFT (AMLD6), che sostituirà l’attuale direttiva 2015/849/UE.

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