Tanta è la frenesia di colonizzare i metamondi con NFT brandizzati che non sono mancati casi di azioni intentate da alcune società per proteggere i propri diritti IP contro i lamentati usi impropri di terzi. Tra le cause più emblematiche in tema di diritti di autore sottesi a NFT vale la pena ricordare quella che ha riguardato le iconiche Boored Apes (Yuga Labs, Inc. v. Ryder Ripps, et al. – Giugno 2021), quella sugli NFT che sottendono scatti memorabili della NBA (Jeeun Friel v. Dapper Labs, et al. – Luglio 2021) o ancora gli NFTs collegati a scarpe della Nike (Nike, Inc. v. Stockx LLC – Febbraio 2021), il caso che ha coinvolto il famoso rapper Jay Z (Roc-A-Fella Records, Inc. v. Damon Dash – Giugno 2021) e non da ultimo quella che ha interessato Quentin Tarantino (Miramax, LLC v. Quentin Tarantino et al. – Novembre 2021).
Nell’ambito dell’alta moda, una pronuncia interessante – non solo sul piano giuridico – è senza dubbio quella della Corte distrettuale meridionale di New York nel caso Hermès International et al. v. Rothschild, avente ad oggetto una collezione di 100 NFT denominata “MetaBirkins” ed in palese richiamo del marchio “Birkin” di cui la celebre casa di moda è titolare. Di seguito una sintesi del caso e alcuni possibili risvolti per le case di moda e per gli operatori del diritto.
La moda al tempo degli NFT: tutti gli aspetti normativi di un rapporto complesso
NFT e rischio di contraffazione, il contesto
Negli ultimi anni si è assistito ad un crescente interesse verso le tecnologie DLT (es. blockchain) e le loro potenzialità: in particolare, i cosiddetti NFT rappresentano un’inedita opportunità per la conservazione, la circolazione e il godimento dei diritti di proprietà intellettuale. Opportunità cui però fanno da contraltare una serie di interrogativi non ultimi sul piano giuridico, anche a causa dell’assenza di un quadro normativo di riferimento. Eppure, le incertezze che accompagnano questo fenomeno non ne rallentano minimamente il dilagare.
Difatti, alcuni brand dello sport, della musica, dell’intrattenimento, hanno già avviato o stanno per lanciare ambiziosi progetti su NFT e metaverso che promettono nuovi o maggiori introiti nonché, grazie agli NFTs, strumenti digitali altamente tutelanti l’autenticità dei prodotti brandizzati. Secondo alcune stime il giro d’affari del mercato dei beni di lusso potrebbe sfiorare i 400 miliardi di euro entro il 2030. Non sorprende, pertanto, che anche i brand del mondo della moda abbiano già preso parte a questa corsa all’”oro digitale” per sfruttarne le caratteristiche e accelerare la transizione verso una moda con meno texture e più pixel. Si pensi ai casi della fondazione del primo brand di moda all’interno dello spazio crypto RTFKT (startup poi acquisita da Nike) e di Gucci, il primo brand di lusso ad adottare i principi del Web3 lanciando due collezioni NFT tra cui Supergucci, e infine alle passerelle digitali della prima Metaverse Fashion Week nel metaverso di Decentraland.
Insomma, quello fatto di NFT e metaverso rappresenterebbe una fetta di mercato in definita capace di portare nuova clientela e profitti al comparto moda reale anche attraverso mondi surreali. Sul punto, idea comune tra i grandi player del mercato è quella di associare alla vendita del prodotto fisico anche il relativo NFT, che può fungere sia da certificato di autenticità digitale del bene, sia da titolo che permetta di “vestire” giuridicamente l’acquisto nel mondo virtuale. In un tale contesto, molte sono le insidie per le imprese che fino ad ora si sono misurate unicamente con il mondo reale. Infatti, queste ultime dovranno fare i conti con la diffusione di opere e prodotti nei metaverso, tutelandosi dai tentativi di contraffazione del proprio brand su un campo tanto sorprendente quanto insidioso.
Il caso Hermès
Intorno al dicembre 2021, l’artista Mason Rothschild ha creato delle immagini digitali delle lussuose borse Birkin di Hermès e venduto tali immagini come NFT, sotto il nome MetaBirkins. In particolare, questi NFT riproducevano un modello rielaborato della borsa che, seppur rimanendo ben riconoscibile, presentava caratteristiche diverse sia nel materiale (pelle sintetica), che nel colore e nelle decorazioni. Hermès, titolare dei diritti di proprietà intellettuale sulla Birkin, ha lamentato una violazione degli stessi da parte di Rothschild, il quale aveva – secondo la società – tratto vantaggio dall’associazione tra i suoi NFTs, il celebre marchio e la casa di moda, senza che tra le parti vi fosse alcun legame. In risposta, Rothschild ha chiesto al Tribunale di giudicare inammissibile il ricorso con cui Hermès intimava allo stesso di riconoscere la violazione del proprio marchio.
In altre parole, la questione che il giudice americano è stato chiamato a risolvere riguardava la legittimità della produzione di NFTs senza il consenso del titolare dei diritti IP in essi contenuti e i limiti entro i quali le finalità artistiche possono giustificare l’uso di un marchio altrui.
Nello specifico, l’artista ha sostenuto la liceità della propria condotta, che mirava ad essere un semplice tributo all’iconica borsa e ancora che l’uso del marchio altrui veniva consentito alla luce della libertà di espressione sancita dal Primo Emendamento della Costituzione americana, comprensivo anche delle espressioni artistiche (su tutti, il caso Rogers v. Grimaldi del 1989, che stabiliva il principio della liceità dell’esercizio dell’espressione artistica). Le MetaBirkins, infatti, a detta di Rothschild, altro non erano che immagini digitali non identificative dei prodotti di Hermès, ma semplici prodotti artistici. Pertanto, l’uso del marchio della casa di moda doveva considerarsi un uso non-commerciale protetto dal Primo Emendamento.
Il Tribunale ha confermato la coerenza e l’applicabilità dei precedenti richiamati dall’artista, ritenendo che “gli NFT sono semplicemente codici che indicano dove si trova un’immagine digitale e la autenticano; l’uso degli NFT per autenticare un’immagine e consentire una rivendita e un trasferimento successivo e tracciabile non priva l’immagine della protezione del Primo Emendamento”, equiparando la fattispecie alla vendita di copie numerate di dipinti fisici.
Tuttavia, il Tribunale ha respinto la mozione di Rothschild avversa al ricorso di Hermès, in quanto vi erano prove sufficienti per ritenere che l’artista intendesse associare le proprie MetaBirkins al marchio Birkins e sfruttarne la popolarità, in un intento che in realtà si distanziava dalla mera espressione artistica. Inoltre, anche tralasciando la rilevanza artistica delle MetaBirkins, queste ultime risultavano ingannevoli per il pubblico, sia relativamente all’origine che al contenuto delle opere. Di conseguenza, le denunce di violazione e diluizione del marchio, così come quelle di cybersquatting, avanzate da Hermès, dovevano trovare accoglimento.
Gli impatti della decisione
La decisione del Tribunale, per quanto non risolutiva della controversia, permette già di anticipare alcune importanti considerazioni. Innanzitutto, bisognava stabilire se gli NFTs dovessero essere considerati espressioni artistiche o prodotti commerciali privi di carattere espressivo. Secondo il giudice americano, un’opera non perde il proprio valore artistico per il semplice fatto di essere incorporata in un NFT. Infatti, gli NFTs sono visti come strumenti di certificazione dell’autenticità e dei trasferimenti cui l’opera sottostante è soggetta, ma ciò non esclude la possibilità di estendere la tutela riservata alle opere d’arte.
In ragione di ciò, la creazione di immagini digitali in NFTs ben può rientrare nella libertà di espressione garantita dal Primo Emendamento, ma non per questo tale condotta risulterà di per sé lecita. In particolare, il Tribunale – in una nota a piè pagina – ha ulteriormente osservato che le considerazioni sul Primo Emendamento potrebbero non essere applicabili a tutte le immagini digitali con rilevanza artistica associate ad un NFT: ad esempio, nel caso in cui le MetaBirkins fossero vendute come beni virtualmente indossabili nel metaverso, risultando così più simili a beni di consumo che a opere artistiche, si renderebbe necessario un tipo di analisi più tradizionale sulla violazione e la contraffazione del marchio.
Considerazioni finali
Quasi certamente la decisione del giudice americano contribuirà a “fare scuola”, fornendo numerosi spunti anche in ambito europeo. Nel bilanciamento tra espressione artistica e tutela dei diritti di privativa, l’orientamento comunitario tende a lasciare ampio margine alla prima, quando questa non danneggi il titolare dei diritti IP. In generale, infatti, nel caso in cui l’uso di un marchio altrui non rappresenti l’elemento principale dell’opera, che quindi non richiama né utilizza indebitamente il segno distintivo traendone vantaggio commerciale, risulta consentito.