Lo scenario

NFT e mercato dell’arte, come norme e modelli evolvono con le opere digitali

L’impatto degli NFT sul mercato dell’arte comporta riflessioni su proprietà e riproduzione delle opere culturali, nonché sulla valorizzazione del patrimonio artistico: approfondiamo alcuni casi concreti, come quello del Tondo Doni degli Uffizi di Firenze

Pubblicato il 29 Giu 2022

Gianluca Albè

A&A – Albè & Associati Studio Legale

Federica Bottini

A&A – Albè & Associati Studio Legale

nft uffizi tondo_doni_

Il susseguirsi delle correnti artistiche testimonia le trasformazioni che l’arte subisce nel tempo in tutte le sue forme, riflettendo le tendenze eOpere il contesto culturale in cui questa viene espressa. In un mondo sempre più digitale, la diffusione delle tecnologie a registro distribuito e delle criptovalute ha favorito la nascita della cosiddetta arte crittografica (o crypto-art), il cui successo è legato principalmente al ricorso a blockchain e Non Fungible Token. Servendosi di questi strumenti è infatti possibile certificare la paternità e l’autenticità di un’opera attribuendo al contempo caratteristiche di insostituibilità, non riproducibilità e unicità, nonché un grado maggiore di certezza dei relativi trasferimenti, che vengono tutti registrati e conservati nella blockchain.

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Con arte crittografica si individuano, da un lato, opere d’arte digitali e quindi create direttamente nel mondo virtuale, dando vita a NFT collezionabili di cui alcuni vengono acquistati anche a cifre milionarie – si pensi alla collezione Bored Ape Yacht Club –, dall’altro, a opere d’arte “reali” digitalizzate. Ciò apre a nuove frontiere per i collezionisti: grazie ad ambiziosi progetti di arte digitale, alcuni avranno la fortuna di “aggiudicarsi” la versione digitale di alcune tra le più importanti opere d’arte che custodiamo nel nostro considerevole patrimonio artistico.

Il caso “Tondo Doni”

Di recente è stata diffusa la notizia della prima vendita di un’opera d’arte digitalizzata in esecuzione della partnership siglata tra le Gallerie degli Uffizi e Cinello, società fondata da John Blem e Franco Losi, due ingegneri che hanno combinato la passione per l’arte con quella per l’informatica, brevettando una tecnologia in grado di realizzare versioni digitali uniche di alcune delle opere più celebri, con garanzie di originalità e insostituibilità, grazie ad un NFT a cui sono associati metadati che ne certificano la proprietà ed, ovviamente, il rilascio da parte del museo, all’acquirente, di idoneo certificato di autenticità.

La vicenda ha riguardato la tela dal titolo “Tondo Doni”, ossia il capolavoro cinquecentesco di Michelangelo Buonarroti raffigurante la Sacra Famiglia ed esposto proprio nel museo delle Gallerie degli Uffizi, che dalla vendita del relativo “originale digitale” in scala 1:1 dell’originale, ha incassato ben 70.000,00 euro, ossia il 50% del ricavo netto dal prezzo di vendita, sulla base dell’intesa raggiunta con Cinello.

L’episodio ha suscitato notevole clamore, in particolare per le conseguenze che la transazione può determinare sulla proprietà dell’opera su cui il Direttore delle Gallerie degli Uffizi ha poi fornito alcuni chiarimenti.

La risonanza mediatica della vicenda offre alcuni spunti di riflessioni sulle nuove modalità di accesso ai beni culturali rese possibili dai nuovi asset digitali.

La proprietà e la riproduzione di beni culturali

Prima di approfondire il discorso, è opportuno svolgere alcune considerazioni sul regime giuridico della proprietà di quelle opere d’arte che sono anche beni culturali, ossia, per riprendere la definizione offerta dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), “tutti i beni mobili e immobili di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà”.

L’art. 9 della Costituzione colloca tra i principi fondamentali del nostro ordinamento anche la tutela del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, demandando tale compito alla Repubblica. Nel dare attuazione a tale principio, il Codice dei beni culturali e del paesaggio pone alcuni vincoli ai diritti di godimento e di disposizione che competono al soggetto privato proprietario di beni culturali, il quale quindi non può “godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo” secondo quanto invece previsto dall’art. 832 c.c..

Così, per quanto riguarda il diritto di disposizione, si può ricordare l’obbligo del proprietario di denunciare preventivamente tutti gli atti di trasferimento di un bene culturale effettuato a qualsiasi titolo, cosicché lo Stato, le regioni o altri enti pubblici interessati possano esercitare il diritto di prelazione previsto dalla legge. Per quanto riguarda invece il potere di godimento, i beni culturali devono essere adeguatamente conservati evitando ogni azione che possa danneggiarli o modificarli. Inoltre, ogni intervento su tali bene deve essere preventivamente autorizzato.

Sempre con riferimento all’uso dei beni culturali, questa volta in concessione pubblica, il Codice dedica specifiche disposizioni anche alla relativa riproduzione: l’art. 108, pur prevedendo l’ammissibilità della riproduzione delle opere – seppur tenendo conto di alcune condizioni – eseguita per uso personale, per motivi di studio o di valorizzazione, esclude che possa essere attuata con scopo di lucro.

Allo stesso modo, la divulgazione delle immagini di beni culturali, legittimamente acquisite, deve avvenire in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte a scopo di lucro, neanche indiretto.

La valorizzazione del patrimonio culturale

Al di là degli aspetti normativi, la vicenda da cui siamo partiti ci consente di osservare come la diffusione digitale del patrimonio artistico si collochi a ben vedere in un progetto più ampio di valorizzazione del patrimonio culturale. L’obiettivo di rendere accessibili e fruibili i beni culturali ad una platea sempre più ampia di soggetti è infatti perseguito già da diverso tempo mediante il ricorso a strumenti digitali.

Per citare un esempio di indubbio successo di valorizzazione del patrimonio culturale basato sull’innovazione tecnologica, si può pensare al progetto curato da Piero Angela, grazie al quale le Domus Romane di Palazzo Valentini sono state trasformate in un vero e proprio museo multimediale. Il visitatore, in un percorso immersivo, può rivivere in modo del tutto innovativo il contesto in cui le Domus sono state realizzate. Il tutto, grazie a proiezioni, filmati ed altri strumenti di tecnologia digitale.

La creazione di “duplicati” digitali di opere d’arte, aprirebbe poi la strada ad una modalità di fruizione dei beni culturali ancora più vicina al privato e addirittura da casa propria sul proprio divano. Se in concreto i casi in cui ci si può imbattere sono la creazione

  1. di un esemplare unico digitale dell’opera fisica anche acquistato da più acquirenti stante appunto la possibilità di frazionare la proprietà dell’opera digitale o
  2. di multipli digitali dell’opera fisica

a cui, in entrambi i casi, possono seguire per giunta dei rewards quali la possibilità di acquistare l’originale fisico, visite private ad hoc o, nei casi più estremi, il burning dell’originale fisico (come è stato non per dei beni culturali ma per un Banksy e “minacciato” per un Lucio Fontata), è però evidente che la digitalizzazione delle opere deve adeguatamente tenere in considerazione il particolare regime giuridico dei beni culturali, a cui si ricollegano diversi vincoli a tutela delle opere e del patrimonio culturale.

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