Uno dei principali problemi legati alla diffusione e commercializzazione degli NFT, soprattutto conseguenti alla rapida crescita di marketplace come OpenSea o Rarible, è quello di determinare quali diritti vengono concessi all’acquirente. Si tratta di un problema analogo a quello che nei primi tempi dello sviluppo di internet si è affrontato, in generale, relativamente alle opere diffuse tramite siti web e che ha trovato una delle migliori soluzioni nel progetto Creative Commons, con la standardizzazione di una serie di contratti di licenza non più incentrati sul software (come era stato con le licenze open source create dal 1998 in poi dalla Open Source Iniziative), ma sui diritti di proprietà intellettuale di altre tipologie di opere da condividere in rete (testi, immagini).
Recentemente il team di az16crypto (il fondo di venture capital di Andreessen Horowitz specializzato nel settore del web3 con complessive risorse raccolte per circa 7,6 miliardi di dollari) ha proposto un set di licenze pubbliche gratuite denominate “Can’t be evil”, basate sul modello Creative Commons, volte a regolare i diritti di proprietà intellettuale sugli NFT, uniformandone il contenuto e garantendo così una maggior certezza nella circolazione di tali tipologie di token.
Token senza profili giuridici e fiscali. Per ora la legge si adatta
Licenze NFT, perché serve un nuovo modello
La rapida diffusione degli NFT, soprattutto per la rappresentazione di immagini e avatar, ha messo in evidenza una serie di problematiche nuove rispetto a quelle legate ai prodotti di proprietà intellettuale del Web2.0. Acquistare un NFT, spesso, significa acquistare un token infungibile registrato su una blockchain a cui sono associati dei metadati che collegano quella registrazione al contenuto specifico a cui è riferito il token. Tale contenuto è conservato off-chain (come nel caso dei grandi marketplace tipo OpenSea) oppure, più raramente, on-chain. Nel secondo caso, l’acquirente è maggiormente garantito rispetto ad eventi che possano coinvolgere il soggetto che gestisce la conservazione dei contenuti, ma nel primo caso, se tale soggetto improvvisamente decidesse di cancellare tutti i file gestiti, si perderebbe quel collegamento senza che l’acquirente del NFT possa impedirlo.
Inoltre, nella gran parte dei progetti relativi agli NFT realizzati in questi ultimi due anni, esiste un’ambiguità sul tipo di diritti concessi agli acquirenti in quanto spesso non vengono associate licenze o le stesse differiscono tra loro così rendendo difficile per gli utenti poterne comprendere effettivamente il contenuto. A ciò si aggiunga che anche i testi delle licenze sono mantenuti spesso off-chain, determinando così ulteriore incertezza circa la validità delle stesse, dato che i testi potrebbero essere modificati in ogni momento anche senza il consenso dell’acquirente del NFT.
Come funzionano le “Can’t be evil”
Alla luce di tali problematiche, le licenze presentate da az16crypto, redatte con il supporto di due importanti studi legali statunitensi, si propongono come standard per la circolazione degli NFT, adottando una serie di accorgimenti tecnico-giuridici volti ad eliminare, o quantomeno ridurre, i profili di rischio degli acquirenti ed a fornire maggiore trasparenza alle condizioni applicabili. La decisione di denominare “Can’t be evil” il set di licenze (riprendendo lo slogan “Don’t be evil” di Google) deriva dalla natura stessa della blockchain: il meccanismo di fiducia che in tali sistemi risiede nell’immutabilità del codice software da essi gestito e nell’impossibilità di modificare le registrazioni delle transazioni effettuate impedisce ai soggetti che partecipano al network di operare in maniera malevola (ciò, soprattutto, quando i dati siano direttamente conservati nella blockchain).
In tali ipotesi, non è più necessario avere fiducia nella propria controparte, perché l’adempimento delle obbligazioni è garantito proprio dal codice stesso. Anche se tali affermazioni sembrerebbero smentite dalle vicende di cronaca di questi ultimi tempi, con il crollo dell’exchange FTX, è bene precisare che eventi simili derivano dall’adozione di modelli che replicano quelli già in essere nel Web2.0: nel momento in cui si verifica la centralizzazione dei servizi, riemerge la necessità di doversi fidare del soggetto che li gestisce, ciò a discapito di quella decentralizzazione che invece eliminerebbe tale necessità.
Analogo pericolo si è presentato anche in riferimento ai marketplace degli NFT ed alla gestione dei diritti associati agli stessi. La centralizzazione della conservazione dei contenuti a cui gli NFT sono associati e la modificabilità delle licenze (ove presenti) non forniscono certezze agli acquirenti dei Non Fungible Token che devono “fidarsi” del fatto che gli autori o i precedenti acquirenti (o i marketplace) non decidano di cambiare i termini e le condizioni o, nel caso dei marketplace, continuino a mantenere conservati i contenuti a cui gli NFT sono associati.
Il set di licenze “Can’t be evil” è quindi dotato di una componente strettamente giuridica, il vero e proprio testo delle licenze, e una componente tecnica che ne assicura la immodificabilità. I testi contrattuali sono conservati in modo permanente ed immutabile su Arweave ed è stato creato un apposito smart contract che può essere incorporato negli smart contract utilizzati per la creazione degli NFT. In questa maniera, quando un autore decide di creare e rendere disponibile al pubblico un NFT, può richiamare lo smart contract, selezionare la licenze che intende applicare al Non Fungible Token (tra le sei disponibili) e renderla così permanentemente collegata all’opera distribuita dal momento che sia il richiamo sia il testo della licenza sono conservati on-chain.
Le sei tipologie di licenze
Riprendendo le impostazioni già adottate da Creative Commons, sono quindi proposte sei licenze, sulla base di un progressivo restringimento dei diritti di proprietà intellettuale concessi all’acquirente del NFT.
Le sei tipologie sono:
- CBE-ECR (Exclusive Commercial Rights with No Creator Retention ): tramite la quale vengono concessi in via esclusiva tutti i diritti di sfruttamento commerciale dell’opera. In tale ipotesi, l’autore cede interamente tali diritti e non mantiene alcuna facoltà di esercitarli ulteriormente;
- CBE-NECR (Non-Exclusive Commercial Rights): analoga alla precedente quanto all’ampiezza dei diritti di sfruttamento concessi, ma con la specificazione che essi non sono trasferiti in via esclusiva. Ciò significa che l’autore mantiene la facoltà di concedere anche a terzi tutti o parte di tali diritti.
- CBE-NECRHS (Non-Exclusive Commercial Rights with Creator Retention & Hate Speech Termination): in questo caso alle clausole previste dalla CBE-NECR si aggiungono quelle relative alla possibilità per l’autore di risolvere la licenza qualora l’opera venga sfruttata contrariamente ad alcuni standard (violenza, incitamento all’odio, pornografia, etc.); la decisione circa la sussistenza della violazione potrebbe essere anche definita tramite una DAO (Decentralized Autonomous Organization) o altro comitato;
- CBE-PR (Personal License): si tratta della licenza di sfruttamento dei diritti per il solo uso personale dell’acquirente;
- CBE-PR-HS (Personal License with Hate Speech Termination): con contenuto analogo alla precedente ed aggiunta della clausola di risoluzione in caso di violazione degli standard;
- CC0 (“CBE-CC0”): con questa licenza si ha un doppio richiamo, dato che le previsioni applicabili saranno quelle della Creative Commons 0, ossia il noto “No right reserved” che rendono l’opera di pubblico dominio.
Tutte le licenze “Can’t be evil” hanno in comune alcune previsioni, pensate specificamente per il mondo degli NFT. Innanzitutto, esse sono irrevocabili (salvo quanto sopra specificato nel caso di licenze con clausola “no hate speech”); ciò impedisce che gli autori possano sostituire le condizioni contrattuali applicate ad un NFT una volta che il medesimo è in circolazione. In secondo luogo, tutte le licenze contengono clausole contrattuali che le rendono applicabili anche in caso di successivi acquisti del NFT (tenuto conto della sua infungibilità). Quando un acquirente di un Non Fungible Token decide di cederlo a un terzo, automaticamente termina la licenza originariamente concessa a tale originario acquirente ed essa è trasferita al suo avente causa. È importante notare che tale meccanismo consente anche di gestire la “catena di diritti” collegati al NFT (facilmente ricostruibile tramite l’esame delle registrazioni su blockchain) che seguiranno il token in tutti i suoi vari passaggi.
Il set di licenze comprende anche clausole a tutela degli acquirenti nel caso in cui l’autore abbia violato, nella creazione dell’opera, diritti di terzi e, considerata la loro tracciabilità su blockchain, aiutano anche a prevenire utilizzi illegittimi dei token consentendo di ricostruire, anche giuridicamente, i vari passaggi di titolarità degli stessi (elemento di sicuro rilievo anche in considerazione delle truffe che hanno coinvolto alcuni dei progetti più famosi di NFT).
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Come scegliere ed applicare le licenze
Abbiamo evidenziato che le licenze sono pensate ed organizzate a seconda dei livelli di diritti che esse concedono. Per selezionare quella che più si adatta al progetto NFT, un autore deve quindi valutare l’ampiezza dei diritti che vuole far esercitare all’acquirente del Non Fungible Token. Per far ciò, e sempre che la decisione non sia quella di concedere l’opera in pubblico dominio (consentendo a chiunque di utilizzarla liberamente), potrà valutare la tipologia di licenza “Can’t be evil” partendo da quella con cui vengono concessi tutti i diritti di sfruttamento economico (la CBE-ECR) sino a quella che consente un utilizzo solo personale con facoltà di risoluzione in caso di violazione degli standard (la CBE-PR-HS).
Come già anticipato, l’applicazione della licenza richiede che venga richiamato lo smart contract CantBeEvil.sol (creato con il linguaggio Solidity) all’interno dello smart contract che genera l’NFT, per poi selezionare la tipologia di licenza prescelta che sarà così permanentemente collegata al Non Fungible Token.
Conclusioni
La rapida crescita e diffusione dei Non Fungible Token, soprattutto negli ultimi due anni, ha fatto emergere sempre di più la necessità di poter far riferimento a standard contrattuali che conferiscano certezza ai rapporti giuridici nel mondo del web3. Dal punto di vista del diritto, non ci si trova in uno scenario del tutto nuovo ma si può fare riferimento a quelle soluzioni e metodologie che già erano state individuate nella costruzione del web2.0, adattandole alle specificità e peculiarità di questo nuovo settore.
Il set di licenze “Can’t be evil” prende spunto dal lavoro – ormai ventennale – svolto tramite l’iniziativa Creative Commons cogliendone gli spunti positivi e cercando di adeguarlo alle nuove soluzioni che la blockchain offre. Tutto ciò anche valorizzando le potenzialità e le caratteristiche della stessa così da non stravolgerne la natura decentralizzata e favorendo la costruzione della fiducia che ne costituisce il portato principale.
In relazione a tali aspetti, quindi, i tentativi di standardizzazione e di conferimento di una maggiore certezza giuridica alle transazioni svolte tramite tecnologia blockchain devono essere accolti con favore e con la consapevolezza che, solo accompagnando la diffusione di queste nuove tecnologie – preservandone la natura originaria – con la certezza del diritto, è possibile costruire un nuovo modo di relazionarsi online e superare gli attuali modelli che ripongono la fiducia delle transazioni su pochi soggetti centralizzati.