Lo scenario

Nuove regole fiscali 2020, per rispettarle bisogna digitalizzarsi: ecco perché

Nuove disposizioni fiscali in partenza dal primo gennaio 2020 richiedono alle aziende di ricorrere a soluzioni digitali per essere compliant. Senza strumenti tecnologici e automatizzati infatti, sarebbe impossibile garantire il rispetto di tempi e comunicazioni

Pubblicato il 31 Ott 2019

Benedetto Santacroce

Studio Legale Tributario Santacroce & Associati

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La digitalizzazione è l’unica scelta che consente una risposta pronta, completa e efficace alla necessità di adeguarsi alle stringenti regole di compliance imposte dalla legge, nonché per rispondere alle richieste di stakeholders pubblici e privati.

A questa conclusione si arriva esaminando gli ultimi provvedimenti fiscali che dal primo gennaio 2020 entreranno di prepotenza nella ordinaria attività dell’impresa, anche in seguito alle disposizioni del decreto fiscale e della Legge di bilancio 2020. Nuove regole che però rischiano di trovare impreparate molte aziende: per adeguarsi, è necessario adottare soluzioni digitali.

Le spinte per digitalizzarsi

In particolare, la necessità di digitalizzare i processi nasce:

  • dal progressivo adeguamento al nuovo fisco digitale, quale ad esempio, dopo la fattura elettronica, l’arrivo dello scontrino telematico, degli ISA (gli indicatori di affidabilità che sono appena entrati in vigore con grande fragore) e dal primo debutto dell’ordine elettronico (NSO che diventerà operativo dal mese di febbraio, ma che poi progressivamente interesserà tutta la PA e poi forse anche il mondo del B2B);
  • dalle nuove regole che arrivano imperativamente da Bruxelles: quali la regolamentazione delle prove che dovranno fornire le imprese per ottenere la non imponibilità per le cessioni intra UE ovvero per gestire in modo adeguato le vendite a catena, i contratti di call of stock e il commercio elettronico;
  • dal Decreto fiscale di fine anno (oggi in itinere) che richiede per la lotta all’evasione un nuovo obbligo e un utilizzo multiplo del POS; una tracciabilità della circolazione e gestione del gasolio e della benzina di autotrazione (la telematizzazione del DAS e l’estensione del sistema INFOIL ai depositi; una corretta gestione delle ritenute degli appalti e subappalti da parte del committente/appaltatore e la gestione della lotteria degli scontrini.

A questi input che derivano dal fisco si aggiungono tutte le nuove regole in materia di Privacy, modelli 231/2001 ovvero gestione della tesoreria d’impresa. Quello che mi preoccupa è che, secondo la mia esperienza, il sistema imprenditoriale e professionale nazionale non è pronto a tutto questo. L’impegno nel digitale, come testimonia la ricerca condotta sui CIO di grandi imprese da NetConsulting cube è un impegno che ad oggi è stato rivolto più al mercato, alla gestione del cliente, che alla creazione di sistemi digitali interni di gestione dell’informazione d’impresa. Per me, che mi occupo prevalentemente di fisco e di processi connessi, è emblematico verificare con mano ogni giorno che l’impresa ha pochi presidi di controllo e di gestione dell’informazione: si pensi ai modi arcaici di gestire la semplice nota spesa del dipendente, per non dire la logistica dei beni ovvero il ciclo dell’ordine.

Il caso: cessione intracomunitaria, le novità e i problemi

Ritornando proprio agli input del fisco mi sembra importante segnalare la situazione che si sta verificando, ad esempio, per rispondere alla nuova normativa sulla prova Iva del trasferimento delle merci in un altro Stato membro allo scopo di poter continuare ad emettere una fattura non imponibile per le cessioni intracomunitarie. Il regolamento 1912/2018/UE introduce dal primo gennaio 2020 una nuova presunzione nel nostro ordinamento Iva e definisce in modo puntuale quale sia la documentazione sufficiente e necessaria per provare che le merci, cedute ad un cliente unionale, hanno lasciato il territorio del cedente per arrivare nello Stato membro del cliente/destinatario. In effetti, la regolamentazione europea nasce dalla contestuale volontà di combattere le frodi Iva e di dare certezza al cedente circa la non imponibilità dell’operazione. In termini di presunzioni, la disposizione fissa un principio che se il contribuente dispone dei documenti indicati dalla norma si determina una vera e propria inversione dell’onere probatorio tra il cedente e l’amministrazione finanziaria.

Come si ricorda una cessione intracomunitaria è priva di imposta a condizione che si verifichino tre condizioni: i due contraenti siano identificati in due Stati membri diversi (condizione soggettiva), nella transazione vi sia, a titolo oneroso, il passaggio della proprietà o di altro diritto reale di godimento tra il cedente e il cessionario (condizione oggettiva) il bene si trasferisca da uno Stato membro ad un altro Stato membro (condizione territoriale).

Proprio sulla condizione territoriale la norma stabilisce la nuova regola presuntiva e l’obbligo di acquisire una serie di documenti che attestino direttamente l’effettuazione del singolo trasporto. I documenti richiesti sono, a titolo d’esempio, la CMR firmata dal cessionario (vale a dire il documento di trasporto internazionale), la polizza di carico, l’assicurazione del singolo trasporto, il pagamento del vettore/spedizioniere, l’entrata delle merci nel deposito del destinatario. Inoltre, in caso di trasporto a cura del cessionario (clausola di resa EWX – tipica della maggior parte dei trasporti) viene richiesta al cedente l’ottenimento, entro 10 giorni dall’inizio del trasporto, una dichiarazione del cessionario con indicazione di puntuali informazioni sul trasporto e sull’arrivo delle merci.

Dall’analisi condotta su numerose imprese con specifiche due diligence ho potuto riscontrare che nessuna impresa è perfettamente in grado di rispondere, nella tempistica richiesta all’esigenza fissata dalla norma, specialmente con riferimento ai trasporti eseguiti dal cessionario o per suo conto. In effetti, per rispondere a questo vincolo normativo è necessario: rivoluzionare i meccanismi di trasporto, rivedere la contrattualistica, riorganizzare la gestione dell’informazione parcellizzando l’informazione su ogni singolo trasporto e conservare a norma tali informazioni per esibirle prontamente alle autorità fiscali che dovessero chiederle. Per ovviare a tutto ciò l’unica risposta possibile è automatizzare il processo attraverso l’adozione di una piattaforma condivisa tra il cedente, il trasportatore, il cessionario e la struttura ricevente (un deposito ovvero il magazzino del cessionario.

Conclusione

Se non si fa questa scelta la soluzione al problema, o meglio la corretta risposta al vincolo di legge non è possibile ottenerla dagli attuali sistemi che rispondono a logiche di mercato o che seguono i ritmi della logistica, in cui i dati richiesti, ad esempio non sono gestiti trasporto per trasporto, ma partita per partita.

Questo esempio è chiaro per ribadire che l’esigenza di digitalizzazione dell’impresa è presente e cogente e che è l’unica risposta possibile per raggiungere un livello di compliance accettabile.

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