Nel dibattito che riguarda l’innalzamento a 60 euro dell’importo degli acquisti che possono essere effettuati in contanti presso i commercianti al minuto, con contestuale esonero dell’obbligo di POS, si sono registrate posizioni allarmistiche.
I sostenitori della modifica affermano che l’introduzione della “franchigia” risponde a criteri di equità ed economicità, considerati gli elevati costi delle transazioni, mentre gli oppositori temono che questa misura possa contribuire all’aumento dell’evasione. Accoppiando poi questa misura con l’innalzamento del tetto per le transazioni in contanti a 5.000 euro si ricava un quadro che appare francamente un messaggio poco rassicurante per i cittadini onesti, e di apertura ed incentivo per la economia sommersa.
Le due novità sopra rappresentate a mio modesto avviso rappresentano fattispecie tra loro ben diverse, e la omogenizzazione mediatica, anche se ammissibile sotto un profilo squisitamente politico, non contribuisce alla corretta analisi del problema.
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Aumento tetto contante, perché è inopportuno
Non voglio analizzare il merito del provvedimento, ma è chiaro che sia una norma inutile per il sistema economico virtuoso ed onesto. E siccome il nostro sistema economico non è sempre e solo virtuoso ed onesto, si ricava immediatamente l’impressione che non sia stata una scelta felice.
Basti solo pensare che esiste una normativa che va in direzione diametralmente opposta. Infatti l’articolo 3 del Decreto legislativo 127/2015, prevede la riduzione di due anni del termine di decadenza per gli accertamenti ai soggetti passivi (imprenditori e professionisti) che garantiscono la tracciabilità dei pagamenti ricevuti ed effettuati relativi ad operazioni di ammontare superiore a euro 500. Considerato che le imprese e i professionisti effettuano abitualmente i pagamenti con mezzi tracciabili, anche per avere certezza e prova del pagamento effettuato, appare contraddittorio da un lato incoraggiare a non incassare in contanti importi superiori a 500 euro e dall’altro elevare la soglia dai 1.000 (importo già considerevole) e 5.000 euro.
Se a questo aggiungiamo anche la semplice considerazione che i comuni mortali difficilmente effettuano pagamenti in contanti per importi superiori a 50/100 euro, ci rendiamo conto di come la norma sia inopportuna.
Obbligo di Pos, cosa cambia per i commercianti
Diverso discorso deve essere fatto per l’innalzamento a 60 euro del limite al di sotto del quale i commercianti al minuto dovranno accettare pagamenti in contanti.
Imporre ad un bar (o una attività con scontrino di basso importo unitario) di essere costretto ad accettare il pagamento del caffè con un mezzo di pagamento elettronico vorrebbe dire costringerlo a rinunciare immediatamente ad una parte del suo guadagno, che andrebbe a vantaggio del sistema bancario e degli intermediari che gestiscono le transazioni. Così come simmetricamente, imporre al consumatore di essere costretto a pagare in contanti un caffè o una colazione, oltre che avere profili di illegittimità, potrebbe tradursi in una violazione della sua libertà di scegliere il mezzo di pagamento ritenuto opportuno.
Ecco quindi che il focus del problema deve essere trasferito su un altro versante: il costo delle transazioni bancarie.
I costi delle transazioni bancarie
I costi del passaggio dal contanti alle transazioni bancarie non possono essere posti a carico della collettività. Uno degli aspetti più rilevanti, la cui soluzione viene costantemente dribblata dalle disposizioni normative, è che il costo del passaggio dalla moneta cartacea a quella elettronica non può essere posto a carico della collettività e, simmetricamente, a vantaggio degli istituti di credito. Questa considerazione non è valida solo per motivi etico-sociali, ma anche per motivi economici che derivano dalla politica commerciale applicata alla remunerazione dei servizi di pagamento elettronici.
Infatti la applicazione di commissioni (quindi dei ricavi per gli istituti e i circuiti con cui si stipulano i contratti per le transazioni) calcolate in percentuale sugli importi delle transazioni effettuate genera una distorsione del meccanismo di remunerazione che è tanto più grave quanto più è maggiore il volume delle transazioni, dal momento che a tali maggiori ricavi non corrispondano costi proporzionalmente corrispondenti per chi eroga il servizio di pagamento. Infatti è notorio che i costi delle infrastrutture che gestiscono le transazioni siano in maggior parte fissi, e solo in minima parte variabili e che, soprattutto, non esiste una relazione tra l’importo del pagamento e il costo del servizio prestato: effettuare il pagamento di un caffè o di un orologio di marca con un pos ha lo stesso “costo tecnico” per il gestore del servizio, mentre il compenso è enormemente diverso.
Con questo non intendo fare i conti in tasca alle società di gestione dei pagamenti elettronici, anche perché l’analisi sarebbe molto più complessa ed articolata, ma solo porre in evidenza che l’attuale sistema di remunerazione non è equo e, in alcuni casi sostenibile.
L’intervento della BCE
Ecco quindi che viene a galla l’esigenza che la moneta elettronica debba essere gestita dalla Banca Centrale Europea e non lasciata alla iniziativa dei singoli stati. Ciò potrebbe avvenire con la nascita dell’Euro Digitale. Secondo la Banca Centrale Europea, l’Euro Digitale “… sarebbe un mezzo di pagamento digitale sicuro, facile da usare e a basso costo come oggi il contante. Potrebbe essere utilizzato gratuitamente per le operazioni di pagamento essenziali in tutta l’area dell’euro. In un mondo in cui i cittadini ricorrono sempre più ai pagamenti elettronici e in cui il mercato dei pagamenti digitali continua a crescere, un euro digitale offrirebbe a tutti – famiglie e imprese, piccole e grandi – un’ulteriore soluzione di pagamento in moneta di banca centrale. Agli esercizi commerciali e alle piccole imprese un euro digitale fornirebbe un’altra modalità per ricevere pagamenti dalla clientela. Inoltre un euro digitale potrebbe rendere disponibili funzionalità avanzate, come il pagamento automatizzato o l’applicazione di una qualche forma di identità digitale”.
Questo scenario non comporterebbe la estinzione degli intermediari finanziari: l’euro digitale “non deve avere conseguenze negative per il settore finanziario. A questo scopo terremo conto dei seguenti requisiti:
- un euro digitale deve essere soprattutto un mezzo di pagamento e non uno strumento di investimento e
- nella sua gestione vanno coinvolti intermediari sottoposti a vigilanza”.
Solo con la collaborazione tra gli intermediari finanziari e le istituzioni sarà possibile evitare la degenerazione di un sistema di pagamenti, nato e progettato pensando al “contante” e progressivamente trasformato con le declinazioni imposte dalla tecnologia e dal progresso, senza che però vi sia stato il necessario temperamento e regolamento della materia da parte del soggetto che, nella politica monetaria, dovrebbe essere il regista: la Banca Centrale Europea.