Il decreto n. 90 del 2014 interviene su un percorso normativo progettato due governi fa con il d.l. 179 del 2012, che fissava per il 30 giugno 2014 l’inizio della obbigatorietà dello strumento telematico in alcuni momenti del processo civile. Una contaminazione del processo cartaceo classico che si presentava già nel 2012 problematica per la lentezza, incertezza e discontinuità che avevano caratterizzato i primi 11 anni (dal dpr 123 del 2001) del PCT.
In un anno e mezzo si è assistito ad un taglio rilevante delle spese per la informatica giudiziaria – pari ad almeno il 20% – e, sorprendentemente, ad un veloce sviluppo, con inserimento dei registri civili e dell’utilizzo del documento informatico per le comunicazioni e redazione dei provvedimenti generalizzato in tutti, o pressochè tutti, i Tribunali italiani, in misura sicuramente variabile territorialmente. A complicare le cose è intervenuta la riforma delle circoscrizioni e delle sezioni distaccate, che ha ridisegnato la geografia giudiziaria, ma anche buttato all’aria basi dati faticosamente costruite per anni.
Il lavoro da fare era tanto, le forze poche, inevitabile un certo grado di impreparazione, anche questo variabile settorialmente e territorialmente.
Il decreto legge 90 opportunamente, dunque, usa prudenza e gradualizza l’entrata in vigore delle precedenti disposizioni, limitandola ai procedimenti nati dopo il 30 giugno, almeno sino al 31 dicembre 2014, senza tuttavia rinunciare alla innovazione. In un certo senso la prudenza è tutela di una innovazione tanto preziosa da non poter essere messa a repentaglio da scelte azzardate.
La novità di maggior pregio di questa normativa è il modo in cui è maturata, con una rapida consultazione di associazioni dei dirigenti di Cancelleria, degli avvocati, magistrati e rappresentanze istituzionali, in appositi tavoli, convocati per giungere a legiferazione ed organizzazione condivise, che tengan conto delle esigenze degli utenti: il testo è forse perfettibile e risente della urgenza, ma interviene con misure assolutamente opportune nella attuale contingenza. Se si rinvia l’obbligatorietà, di pochi mesi per altro, dall’altra si consente a chi lo voglia, in tutta Italia, l’uso del deposito telematico per memorie di parti costituite ed inoltre nel processo esecutivo e fallimentare e nella volontaria giurisdizione: si pone fine a quella pelle di leopardo del regime precedente che comportava nell’utenza, per capire quali fossero i comportamenti consentiti, la conoscenza di provvedimenti amministrativi, non sempre facilmente recuperabili.
Finalmente, poi, il processo telematico, almeno in parte, si “smarca dalla marca”, riconoscendo che gli atti comunicati per via telematica non sono soggetti a imposizione, eliminando una delle più forti resistenze alla comunicazione telematica degli atti, anche se ciò passa attraverso un aumento del 15% del contributo unificato per le spese processuali; resta tuttavia l’equivoco del pagamento di questi diritti con marca da bollo negli atti depositati telematicamente, che potrebbe dare molti problemi per la fisicità del mezzo di pagamento. Il sistema per il pagamento telematico, un bonifico o pagamento a banche o alle Poste che rende un identificativo xml, è ancora poco usato e macchinoso, mentre nulla si è fatto per l’utilizzo di sistemi diffusi nell’e-commerce come carta di credito o pay-pal.
Ma in ogni caso fra poco si inizia, una parziale impreparazione era scontata, ma forse è minore di quanto ci si poteva aspettare. L’epoca della vera contaminazione telematica generale, su tutta Italia e su tutte le procedure civili inizia dal primo luglio e la normativa ora approvata progetta un simile sviluppo anche nella fase di appello, estranea alla normativa del 2012 e nel processo amministrativo e tributario.