Chi può progettare la domanda di acquisti di innovazione della PA? Prima ancora di addentrarmi nel merito, provo ad inquadrare la cornice nella quale ci stiamo muovendo, evitando, così, di far risultare l’espressione “progettare la domanda” priva di significato, con la conseguenza di lasciare troppo spazio a critiche avventate.
Il “Piano Triennale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione 2017-2019”, punto di partenza e non sicuramente di arrivo della digitalizzazione della PA, pur perseguendo anche l’obiettivo di riqualificazione della spesa in ICT quale veicolo per il raggiungimento del risparmio del 50% previsto dalla Legge di stabilità 2016, rappresenta il modello di riferimento per lo sviluppo dell’informatica pubblica italiana.
L’approvazione del Piano, avvenuta grazie anche al superamento di alcuni schemi del passato da parte della “ritrovata” AgID, che ha potuto contare sull’innesto illuminato del Team Digitale, insieme al Piano per la Banda Ultra Larga, ci consente di dire, senza ulteriori indugi, che siamo riusciti, finalmente, a definire una prospettiva strategica, benché articolata e complessa, capace di indirizzare l’implementazione della cosiddetta “Trasformazione Digitale” della PA.
E, forse, abbiamo fatto di più! Abbiamo, di fatto, indirizzato la “domanda” pubblica in ICT per il triennio. Domanda che passa, come evidenzia il Piano, proprio dalla “progettazione”.
Dunque, che cosa manca? A mio avviso, quel “trait d’union” tra la linea strategica definita a livello nazionale e le iniziative che, a vario titolo e a valere, in alcuni casi, proprio su quei fondi che il Piano ipotizza di incanalare verso il raggiungimento dei propri obiettivi, sono in corso a livello territoriale. Non possiamo ignorare, infatti, che già molti Piani Operativi Regionali, così come altre linee di programmazione pubblica, hanno già indirizzato i loro fondi nelle linee di sviluppo digitale locale.
Il Piano, quindi, si incardina in un sistema dinamico, in movimento e, cosa ancora più importante, in un sistema che ha già operato delle scelte. A ciò si aggiunge la necessità di intercettare quelle scelte che ancora non intaccano in concreto la disponibilità di quei fondi, sui quali il Piano conta, e farle convergere verso le linee strategiche nazionali.
È evidente che lo sforzo di armonizzare le scelte circa il “cosa” e l’identificazione del “come” operare tale armonizzazione, siano di fondamentale importanza e lasciano molti spunti di attenzione, peraltro da qualcuno già sollevati.
Ritengo, viceversa, che la corretta identificazione di “chi” possa supportare, in diversi ambiti, tempi e modi, la concreta declinazione della strategia nazionale a livello di “sistema paese”, e possa rappresentare, di fatto, la sostanziale risoluzione di molti interrogativi relativi al “cosa” e al “come”.
L’identificazione del “chi” non può non passare dalla individuazione delle eccellenze che il sistema pubblico, nel suo complesso, è stato già in grado di esprimere attraverso soluzioni implementate con successo in alcuni territori e che possono essere replicabili nell’intero Paese. Se intercettiamo qualcosa che funziona e lo ha dimostrato, benché debba o possa essere perfezionato, abbiamo l’obbligo, se non vogliamo perdere il treno della digitalizzazione e soprattutto se vogliamo veramente costruire un paese migliore e attraente per i nostri figli, di adottarlo nel minor tempo possibile (riducendo, così, quello che chiameremmo, se stessimo parlando a un’impresa, il time-to-market). E per farlo non possiamo rinunciare al bagaglio di esperienza di chi è stato già in grado di progettarlo e realizzarlo.
E se, nel far questo, dovessimo riscontrare più eccellenze sugli stessi temi, non dovremo aver timore della reciproca cannibalizzazione, ma trovare il coraggio di identificare il meglio di entrambe e metterle a fattor comune, ovvero avere l’umiltà di riconoscere il meglio nell’altro e promuoverne l’adozione, superando anche gli eventuali orgogli di appartenenza o di paternità.
Dovremmo, in definitiva, avere il coraggio di identificare tutti quei soggetti che potranno essere in grado, su uno o più ambiti specifici, di creare valore passando per una progettazione organica e sistemica nonché integrata o integrabile con il livello nazionale della domanda pubblica di innovazione, superando, se necessario, anche le logiche di mera competenza territoriale.
Percorso sicuramente non semplice ma che, in questo preciso momento storico, e visto il gap digitale che siamo chiamati a colmare nel confronto europeo e globale, a mio avviso può rappresentare una grande opportunità che, accompagnata ad una coraggiosa revisione di alcune regole dell’attuale sistema di governance e da specifiche deroghe al vigente modello di procurement pubblico, non possiamo, e non potremo, non cogliere.