Sulla governance e sulle procedure di gestione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, con il ritiro della task force, al momento non c’è ancora una proposta chiara e definitiva. Ed è forse proprio questo, secondo molti osservatori, il vero grande tallone d’Achille del piano, come in effetti sembra sottintendere la Commissione europea, la quale ieri ha chiesto all’Italia di chiarire chi decide sui progetti e sui fondi. La governance appunto. L’ufficio del Commissario europeo Paolo Gentiloni ha chiesto all’Italia a dotarsi al più presto di una struttura decisionale nazionale qualificata e dedicata al Piano.
Ma al posto della Cabina di regia, il Governo si è riservato di presentare al Parlamento un modello di governance. Nel discorso al Senato per ottenere la fiducia, il premier Conte ha fatto esplicito riferimento alle norme contenute nel Decreto Semplificazioni quale architrave normativa per consentire snellimento di procedure e certezza dei tempi. Staremo a vedere, anche perché il coordinamento delle politiche, insieme al monitoraggio costante dei risultati, saranno le questioni chiave sulle quali la Commissione europea si attende indicazioni precise.
C’è ancora tempo per intervenire sul Piano, per modificarlo e migliorarlo ancora, soprattutto sul fronte del come, con quali strumenti e con quali procedure attuarlo. Per molte proposte (meno regole, meno enti cui chiedere permessi) e sull’efficientamento della macchina amministrativa mancano i risultati attesi, che metterebbero le PA nelle condizioni di raggiungere autonomamente gli obiettivi. Sono ancora da individuare le amministrazioni pubbliche, dai ministeri fino ai piccoli comuni, che collaboreranno all’attuazione dei progetti.
PNRR, quali sono le risorse disponibili
Dalla prima bozza di dicembre a quella approvata dal Consiglio dei ministri di gennaio inviata al Parlamento, non mancano certo le note positive. Prima tra tutte quelle di essere riusciti a concentrare un maggiore dotazione finanziaria, grazie al reperimento di risorse dal bilancio dello Stato, da altri programmi europei e da altri fondi comunitari ancora da spendere. Circostanza che ha portato il totale complessivo di NEXT Generation EU a 222,9 miliardi a cui vanno aggiunti le risorse del Bilancio 2021 e di altri fondi europei per un totale generale di 310 miliardi.
Risorse del dispositivo Next Generation EU per missione
PNNR Versione 6 dicembre 2020 | PNNR Versione 12 gennaio 2021 | |||
Risorse (€/mld) | Quota sul totale delle risorse | Risorse (€/mld) | Quota sul totale delle risorse | |
DIGITALIZZAZIONE, INNOVAZIONE, COMPETITIVITA’ E CULTURA | 48,7 | 24,9% | 46,18 | 20,7% |
RIVOLUZIONE VERDE E TRANSIZIONE ECOLOGICA | 74,3 | 37,9% | 68,9 | 31% |
INFRASTRUTTURE PER UNA MOBILITÀ SOSTENIBILE | 27,7 | 14,1% | 31,98 | 14,3% |
ISTRUZIONE E RICERCA | 19,2 | 9,8% | 28,49 | 12,8% |
INCLUSIONE E COESIONE | 17,1 | 8,7% | 27,62 | 12,4% |
SALUTE | 9 | 4,6% | 19,72 | 8,8% |
TOTALE | 196 | 100% | 222,9 | 100% |
Fonte: PNNR
Quest’azione che il MEF ha svolto per far sì che i finanziamenti del Recovery Fund, quelli dei Fondi strutturali europei e quelli di InvestEU, siano impegnati secondo una logica unitaria e con l’obiettivo di mobilitare capitali a cofinanziamento, è sicuramente un segnale positivo. Con una dotazione finanziaria maggiore, la suddivisione delle risorse tra le sei missioni si è modificata, ma ciò nonostante tutte e sei le missioni e gli obiettivi strategici guardano agli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) dell’Agenda 2030 dell’ONU. L’aver fissato questo orizzonte programmatico, volendone accelerare il loro perseguimento, è anch’esso un dato positivo. Dal 2018 l’Italia ha fatto degli indicatori di Benessere Equo e Sostenibile (BES) uno strumento strategico della programmazione economico-finanziaria. L’esperienza maturata in questi anni dovrebbe consentire di valutare come i risultati attesi dalle numerose linee di intervento del Piano potranno contribuire al perseguimento dei singoli obiettivi SDGs e al miglioramento degli indicatori BES.
La mancanza di coerenza tra le politiche
Ma come farlo, e quali metodologie utilizzare per valutarne gli impatti? Di certo non sarà un’operazione facile. Nel Piano stesso, consapevolmente, è riportato che “una valutazione dell’impatto complessivo di investimenti, trasferimenti, incentivi e riforme, nonché dell’effetto moltiplicativo che potrebbe realizzarsi grazie all’effetto-leva di numerose linee progettuali del Piano, potrà essere effettuata quando tutti i dettagli dei progetti e delle relativamente riforme saranno pienamente definiti”.
È noto che l’integrazione fra le politiche pubbliche (policy coherence[1]), nel riconoscimento dell’interdipendenza fra fenomeni di portata apparentemente solo settoriale, è l’architrave del percorso di avvicinamento agli obiettivi dell’Agenda 2030, come indicano le Raccomandazioni dell’OCSE. Lo stesso SDG #17 inserisce fra le “Questioni sistemiche” il Target 17.14 sulla coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile. Purtroppo il Piano difetta di questo tipo di analisi sulla coerenza tra le politiche. Da qui la critica di essere una raccolta di progetti ministeriali scoordinati tra loro, sebbene tutti orientati allo sviluppo sostenibile e con un’ideale fattore comune rappresentato dalla digitalizzazione.
Il PNRR e l’orizzonte dell’Agenda 2030
Come ha sottolineato Mochi Sismondi, “il Piano dovrebbe definire e focalizzarsi sui risultati attesi dai cittadini e dalle imprese nei termini di una disponibilità di servizi semplici, veloci e vicini, con un orientamento ai risultati che impattano positivamente sulla qualità della vita dei cittadini, i cosiddetti outcome”. Vista la crescente attenzione scientifica e istituzionale sull’opportunità di integrare i tradizionali parametri di misurazione dell’azione governativa (PIL) con misure di benessere, ad esempio il Benessere Equo e Sostenibile (BES) e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs), sarebbe auspicabile arricchire il Piano con un lavoro di analisi in grado di mettere a sistema le performance degli enti finalizzandole verso il miglioramento dei BES e/o degli SDGs.
Il modello di “Public Value Governance”, con il concetto di valore pubblico da conseguire, insieme a un’analisi sulle condizioni abilitanti che potrebbero favorire la funzionalizzazione delle performance di ente al miglioramento dei livelli di benessere dei cittadini di oggi e di domani (condizioni di salute organizzativa e digitale), rappresentano quel volano per mettere a sistema le performance di un ente, o di una filiera di enti, governandone il loro perseguimento in modo equilibrato e funzionale verso BES e/o SDGs (comuni e trasversali, in caso di filiera).
Digitalizzazione come fattore abilitante per tutte le politiche
Dall’assistenza sanitaria alla telemedicina, dalla mobilità sostenibile alla cultura 4.0, dalla giustizia all’efficientamento della pubblica amministrazione, quasi tutte le missioni del PNRR passano per la digitalizzazione. Un tema, quello del digitale, in cui però rimane ancora da decifrare l’argomento della reta unica e l’equilibrio tra interesse pubblico e privato. Se è senz’altro condivisibile il punto che recita “la realizzazione degli obiettivi di crescita digitale e di modernizzazione della PA costituisce il presupposto per l’attuazione dei progetti e allo stesso tempo una chiave di rilancio del sistema paese”, si tratta allora di capire come intervenire sulle condizioni di partenza di un’amministrazione, a partire dall’analisi dello stato di salute digitale di ciascun ente.
Pur ammettendo che l’auspicata transizione digitale avvenga, occorrono robuste operazioni sulle condizioni di salute digitale delle amministrazioni pubbliche e sull’adeguamento del suo capitale umano, rendendo esplicito che le competenze da costruire riguardano non solo il “come” utilizzare le nuove tecnologie ma anche gli “scopi” per cui farlo e i rischi insiti nel loro utilizzo.
Conclusioni
Riguardo l’esigenza che nel Piano siano presenti obiettivi chiari, con tempistiche certe e soggetti attuatori, si tratta di capire, nelle prossime versioni, quanto spingersi sui risultati attesi e come creare percorsi di “filiera” tra amministrazioni. È un passaggio ineludibile. Senza specificare bene le modalità di attuazione delle riforme e senza un ulteriore lavoro d’analisi per individuare le filiere tra enti per cogliere le interconnessioni tra le politiche pubbliche, il Piano non avrà vita facile. Nei prossimi mesi, una volta arrivato a Bruxelles, sarà la Commissione europea che ci solleciterà a migliorarlo.
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Note
- Su tutte valga l’esempio del ruolo dei trasporti nello sviluppo sostenibile. Nell’Agenda 2030 il trasporto sostenibile coinvolge diversi SDGs e taget: SDG 11 (città sostenibili), ma anche SDG 3 (salute e benessere), SDG 9 (imprese, innovazione e infrastrutture) e SDG 13 (clima e ambiente). Uno studio ha identificato ben 12 SDGs impattati dalla mobilità (si veda UNECE 2020) ↑