L’ambizioso progetto di riforme previste con il PNRR (PA, giustizia, semplificazione degli appalti e promozione della concorrenza) rientra in una più ampia strategia che il Governo ha impostato per l’ammodernamento del Paese. Un asse portante di questa strategia riguarda la diffusione di modelli innovativi per la ricerca di base e applicata condotta in sinergia tra università e imprese, il sostegno ai processi di innovazione e trasferimento tecnologico.
Nel Piano sembrano prevalere le misure in favore della ricerca applicata, quella che confeziona prodotti per l’impresa, a discapito della ricerca di base e scientifica, vero unico serbatoio in grado di garantire l’avanzamento delle conoscenze, alla quale non è stato riconosciuto alcun aumento dei finanziamenti. Le risorse destinate alla componente “Dalla Ricerca all’impresa” ammontano a 11,77 miliardi, la stessa cifra prevista dal Governo Conte. E così l’Italia rimane uno dei Paesi, tra i big mondiali, che investe meno in ricerca scientifica. Investiamo in ricerca e sviluppo meno dell’1,5% del Pil (Israele il 5%); il numero di dottorati di ricerca l’anno (9.000 in Italia contro i 15.000 in Francia e i 28.000 in Germania) e quello sul numero di ricercatori pubblici (appena 75.000 in Italia contro 110.000 in Francia e 160.000 in Germania) ci vedono indietro da diversi anni.
Il Piano Amaldi con cui si chiedevano investimenti per ripartire dopo la pandemia sembra già evaporato. Per questo sono trapelate rabbia e delusione dalla comunità dei ricercatori per le mancate risorse aggiuntive. Peraltro si prevede di creare nuovi enti di ricerca, senza aver messo ordine in quelli esistenti e senza un’analisi preventiva che ne dimostri la necessità e l’integrazione organizzativa con le eccellenze già presenti nel paese. Innovare non significa per forza costruire da zero. L’innovazione più coraggiosa risiede spesso in un cambio di paradigma nella gestione delle risorse, in una riforma che serve a valorizzare ricchezze ed eccellenze sconosciute o sottovalutate. Per pensare davvero alle prossime generazioni e offrire nuove opportunità ai nostri giovani ricercatori, il governo Draghi deve porsi l’obiettivo di colmare questi divari e lavorare per valorizzare le eccellenze diffuse nel Paese.
Le fragilità del sistema R&S in Italia
I ritardi da colmare, in termini di sistema della ricerca, sono parecchi e la pandemia ha colpito duramente un tessuto sociale ed economico già molto fragile. Tra le tante fragilità registrate dal nostro paese, dal punto di vista economico, spicca quella del basso livello di spesa in ricerca e sviluppo. L’Italia rimane ancora distante dalle performance di altri Paesi, facendo registrare una intensità delle spese in R&S rispetto al PIL (nel 2018 pari all’1,4%) decisamente più bassa della media OCSE (2,4%), tanto nel settore pubblico quanto nel privato (0,9% contro una media OCSE dell’1,7%).
Una barriera importante allo sviluppo e alla competitività del sistema economico è rappresentata dalla limitata disponibilità di competenze, con un numero di ricercatori pubblici e privati più basso rispetto alla media degli altri Paesi avanzati (il numero di ricercatori per persone attive occupate dalle imprese è pari solo alla metà della media UE: 2,3 % contro 4,3% nel 2017). In aggiunta si registra il fenomeno, consistente e duraturo, della perdita di talento scientifico tecnico, soprattutto dei giovani. Un esodo di capitale umano altamente qualificato dovuto anche a una ridotta domanda di innovazione da parte del mondo delle imprese.
Il numero di dottorati di ricerca conseguiti in Italia è attualmente tra i più bassi nella UE, con una costante riduzione negli ultimi anni (circa 40% in dieci anni tra il 2008 e il 2019). Secondo le statistiche armonizzate di Eurostat, in Italia solo 1 persona su 1.000 nella fascia di età da 25 a 34 anni completa ogni anno un corso di dottorato, rispetto a una media UE di 1,5 (2,1 in Germania). L’ISTAT rileva, inoltre, che quasi il 20% delle persone che completano ogni anno un dottorato di ricerca si trasferisce all’estero, mentre chi rimane in Italia soffre di un profondo disallineamento tra l’alto livello di competenze avanzate che possiede e il basso contenuto professionale che trova sul lavoro.
Imprese e ricerca, i limiti
Una preminente specializzazione delle imprese nei settori tradizionali (che rappresentano, peraltro, un vasto e inesplorato mercato potenziale per le innovazioni) e un tessuto industriale fatto in prevalenza di PMI, da cui deriva una maggiore propensione a contenere i costi e una limitata cultura dell’innovazione, di fatto limitano il potenziale di utilizzo (e la relativa valorizzazione) della base scientifica e tecnologica già disponibile: il volume della ricerca condotta nel sistema di ricerca e innovazione pubblico e finanziata dalle imprese (in percentuale del Pil) resta ancora distante dalla media UE e ben lontano dalle performance dell’industria europea ed in particolare tedesca.
Dietro le difficoltà della nostra economia di tenere il passo con gli altri paesi avanzati europei e di correggere i suoi squilibri scientifici e tecnologici, c’è anche la limitata integrazione dei risultati della ricerca nel sistema produttivo. Il sistema di trasferimento tecnologico soffre di numerosi problemi strutturali e organizzativi che impediscono il trasferimento della ricerca, anche nelle numerose aree di eccellenza, e la sua valorizzazione in termini di brevetti, accordi commerciali e creazione di nuove imprese. Sono questi alcuni dei problemi messi in evidenza nel PNRR che, secondo il premier Draghi “rischiano di condannare l’Italia a un futuro di bassa crescita da cui sarà sempre più difficile uscire”. Al tempo stesso, il governo non ha aumentato le risorse per la ricerca di base.
Una delle critiche che la comunità scientifica aveva rivolto alla scorsa versione del PNRR, quella del governo Conte, riguardava proprio la ricerca: troppo pochi i fondi destinati al settore. Alcuni tra i più prestigiosi ricercatori italiani avevano presentato un progetto di investimenti, il cosiddetto Piano Amaldi, in cui si chiedeva di investire 15 miliardi solo nella ricerca scientifica in cinque anni. Ma nel nuovo Piano del governo Draghi, di questi soldi non c’è traccia. Insomma, per la ricerca di base e quella applicata i fondi non sono stati aumentati in modo netto e, per di più, non sono stati resi strutturali.
Peraltro nel PNRR vi è l’intenzione di introdurre nel già diffuso, complesso e sottofinanziato sistema della ricerca pubblica del paese, altri “centri di ricerca nazionali” e 12 “campioni territoriali di R&S” (esistenti o nuovi) che verranno selezionati sulla base di apposite procedure competitive: “Non se ne capisce la necessità – è stato il commento della senatrice Elena Cattaneo durante la seduta del 31 marzo 2021 – o, meglio, non possiamo creare nuovi enti senza aver proceduto prima ad una approfondita analisi che dimostri la necessità di questi nuovi centri fisici che siano 20, 27 o solo sette nuove strutture, per capire anche come dovranno essere organizzati rispetto agli enti esistenti e ai tanti gruppi di ricerca teorica e applicata che nel Paese già svolgono esattamente le funzioni che verrebbero assegnate a questi nuovi enti. È un’analisi necessaria, anche a comprendere e spiegare ai cittadini in che modo i centri ipotizzati possano essere sostenibili, compatibili e complementari con gli enti (ben 135) che già si occupano di ricerca nei vari settori”.
La Missione istruzione e ricerca del PNRR
Per affrontare e risolvere le criticità evidenziate, la Missione “istruzione e ricerca” del PNRR intende agire su due assi portanti: “Potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione: dagli asili nido all’Università”; “Dalla ricerca all’impresa”. A questa Missione sono destinati quasi 32 miliardi, di cui uno finanziato con risorse nazionali tramite il Fondo complementare, e 31 con il Dispositivo europeo. Per quanto attiene nello specifico alla ricerca, le linee di intervento previste vanno a coprire l’intera filiera del processo di ricerca e innovazione: dalla ricerca di base al trasferimento tecnologico. Alcune prevedono capacità di networking tra Università, centri/enti di ricerca e imprese; altre hanno un grado di maturità tecnologica già pronto per l’operatività, altre ancora in fase embrionale e di studio.
Non sono ancora chiare le modalità procedurali con le quali saranno selezionate le misure; il PNRR si limita a prevedere “procedure di selezione su base competitiva”. Vengono definiti, invece, i criteri per la selezione dei progetti, che saranno espirati a:
- garanzia della massa critica in capo ai proponenti, con attenzione alla valorizzazione dell’esistente;
- garanzia dell’impatto di lungo termine (presenza di cofinanziamento anche con capitale privato);
- ricadute nazionali sul sistema economico e produttivo;
- cantierabilità del progetto in relazione alle scadenze del Piano.
Per il coordinamento delle misure del Ministero dell’Università e della Ricerca è prevista la creazione di un apposito supervisory board.
Missione “Dalla ricerca all’impresa”
Quadro delle risorse complessivo (miliardi di euro)
Ambiti di intervento/Misure | Totale |
1. Rafforzamento della ricerca e diffusione di modelli innovativi per la ricerca di base e applicata, condotta in sinergia tra università e imprese | 6,91 |
Investimento 1.1: Fondo per il Programma Nazionale Ricerca (PNR) e progetti di Ricerca di Significativo Interesse Nazionale (PRIN) – L’investimento finanzierà, fino al 2026, 5.350 progetti | 1,80 |
Investimento 1.2: Finanziamento di progetti presentati da giovani ricercatori | 0,60 |
Investimento 1.3: Partenariati allargati estesi a Università, centri di ricerca, imprese e finanziamento progetti di ricerca di base | 1,61 |
Investimento 1.4: Potenziamento strutture di ricerca e creazione di campioni nazionali di R&S su Key Enabling Technologies | 1,60 |
Investimento 1.5: Creazione e rafforzamento di “ecosistemi dell’innovazione”, costruzione di “leader territoriali di R&S” | 1,30 |
2. Sostegno ai processi di innovazione e trasferimento tecnologico | 2,05 |
Investimento 2.1: IPCEI | 1,50 |
Investimento 2.2: Partnership – Horizon Europe | 0,20 |
Investimento 2.3: Potenziamento ed estensione tematica e territoriale dei centri di trasferimento tecnologico per segmenti di industria | 0,35 |
3. Potenziamento delle condizioni di supporto alla ricerca e all’innovazione | 2,48 |
Investimento 3.1: Fondo per la realizzazione di un sistema integrato di infrastrutture di ricerca e innovazione | 1,58 |
Investimento 3.2: Finanziamento di start-up | 0,30 |
Investimento 3.3: Introduzione di dottorati innovativi che rispondono ai fabbisogni di innovazione delle imprese e promuovono l’assunzione dei ricercatori dalle imprese | 0,60 |
Totale Componente | 11,44 |
Propedeutica a queste misure sarà la riforma a supporto della ricerca e sviluppo, caratterizzata da un modello basato su poche missioni orizzontali, con interventi aggregati e integrati per sostenere l’intera filiera della creazione della conoscenza (poli tecnologici e infrastrutture di ricerca, competenze scientifiche e tecnologiche, imprese). Queste missioni saranno conformi alle priorità del Piano Nazionale della Ricerca (PNR) 2021-2027[1] e ai pilastri di Horizon Europe.
I PRIN – Progetti di Ricerca di rilevante Interesse Nazionale
Saranno anche finanziati Progetti di Ricerca di rilevante Interesse Nazionale (PRIN), di durata triennale che, per la loro complessità e natura, richiedono la collaborazione di unità di ricerca appartenenti ad università ed enti di ricerca (come il Consiglio Nazionale delle Ricerche). I progetti finanziati – che intendono promuovere attività di ricerca curiosity driven – sono selezionati dal MUR sulla base della qualità del profilo scientifico dei responsabili, nonché dell’originalità, dell’adeguatezza metodologica, dell’impatto e della fattibilità del progetto di ricerca.
Fonte: PNRR Italia
La riforma sarà implementata dal MUR e dal MiSE attraverso la creazione di una cabina di regia interministeriale e l’emanazione di due decreti ministeriali: uno in ambito mobilità, per aumentare e sostenere la mobilità reciproca (attraverso incentivi) di figure di alto profilo (es. ricercatori e manager) tra Università, infrastrutture di ricerca e aziende, l’altro in ambito semplificazione della gestione dei fondi per la ricerca.
La riforma supererà l’attuale logica di ridistribuzione delle risorse favorendo un approccio di condivisione e sarà orientata alla semplificazione della burocrazia nella gestione dei fondi dedicati alle attività di ricerca pubblico-privata. Gli Enti pubblici di ricerca (EPR) – a differenza di quanto era riportano nel testo del precedente governo – avranno un ruolo fondamentale sia come possibili leader progettuali per i Partenariati, per i Campioni nazionali e per gli Ecosistemi territoriali sia come potenziali partecipanti ai bandi sul Fondo PNR e sul Fondo per le infrastrutture.
Gli interventi per ricerca e innovazione
Per quanto attiene alle misure previste, per lo più del MUR e del MISE, si segnalano le seguenti.
Riforma dei dottorati di ricerca e potenziamento dei dottorati innovativi
Nelle intenzioni del governo c’è quella di riformare, attraverso un Decreto Ministeriale entro il 2021, la disciplina dei dottorati di ricerca, semplificando le procedure per il coinvolgimento di imprese e centri di ricerca (aprendo i percorsi al coinvolgimento di soggetti esterni all’università), nonché di finanziare l’ampliamento del numero delle borse per i dottorati di ricerca e per i dottorati collegati alla qualificazione dell’azione della pubblica amministrazione e nel campo dei beni culturali.
La riforma mira, infatti, a rafforzare le misure dedicate alla costruzione di percorsi di dottorato innovativo, non finalizzati alla carriera accademica, che serviranno ad aumentare l’efficacia delle azioni delle Amministrazioni pubbliche.
In collaborazione con il Dipartimento della Funzione Pubblica, sono previsti 3.000 dottorati in più, attivando tre cicli dal 2021, ciascuno dotato di 1.000 borse di studio. La misura prevede anche, in collaborazione con il Ministero della Cultura, il finanziamento di cicli di dottorato destinati all’efficientamento della gestione e dello sviluppo dell’enorme patrimonio culturale del Paese, cogliendo le nuove opportunità offerte dalla transizione digitale. Per contribuire al raggiungimento di tale obiettivo sono previste 600 borse di dottorato.
Finanziamento di progetti presentati da giovani ricercatori
L’investimento ha l’obiettivo di offrire nuove opportunità dedicate ai giovani ricercatori, al fine di trattenerli all’interno del sistema economico italiano. La misura, implementata dal MUR, prevede di sostenere le attività di ricerca di un massimo di 2.100 giovani ricercatori – sul modello dei bandi European Research Council – ERC – e Marie Skłodowska-Curie Individual Fellowships – MSCA-IF – e Seal of Excellence, al fine di consentire loro di maturare una prima esperienza di responsabilità di ricerca. Una parte 252 del contributo sarà vincolata all’assunzione di almeno un ricercatore “non-tenure-track” e parte del contributo dedicato a brevi periodi di mobilità per attività di ricerca o didattica in altre località in Italia o all’estero.
Partenariati allargati
L’investimento, implementato dal MUR, mira a finanziare fino a un massimo di 15 programmi di ricerca e innovazione, realizzati da partenariati allargati a Università, centri di ricerca e imprese. I programmi verranno selezionati sulla base della rispondenza a tre criteri: adesione agli obiettivi e alle priorità del PNR, livello di TRL e di SRL (Society Readiness Level) e coerenza con i programmi europei.
L’investimento medio in ogni programma sarà circa di 100 milioni di euro, con un contributo per ogni progetto di importo compreso tra 5 e 20 milioni e un contributo per l’assunzione di ricercatori a tempo determinato di importo compreso tra 15 e 25 milioni per ogni programma e un numero medio di 100 ricercatori per programma. Tra i target significativi vi è la percentuale di ricercatrici a tempo determinato, che, per effetto dell’attuazione di questa misura, dovrebbe salire, dall’attuale 34%, al 40%.
Campioni nazionali di R&S
I campioni nazionali serviranno a raggiungere la soglia critica di capacità di ricerca e innovazione. Il finanziamento, infatti, servirà a creare centri di ricerca nazionali, selezionati con procedure competitive[2], da far nascere attraverso la collaborazione di Università, centri di ricerca e imprese. Ad oggi sono stati individuati un insieme di potenziali centri nazionali su alcune tematiche (simulazione avanzata e big data, ambiente ed energia, quantum computing, biofarma, agritech, fintech, tecnologie per la transizione digitale industriale, mobilità sostenibile, tecnologie applicate e patrimonio culturale, tecnologie per la biodiversità) ma la scelta effettiva avverrà sulla base di bandi competitivi a cui potranno partecipare consorzi nazionali guidati da un soggetto leader coordinatore. Insomma porte aperte anche ai consorzi e ai cluster tecnologici nazionali nati in questi anni sulla base della mappatura precedente.
Non sarà facile dare vita a questi nuovi soggetti, anche perché la struttura dei centri dovrà essere del tipo “hub and spoke”, con le funzioni amministrative centralizzate e quelle di ricerca parzialmente decentralizzate, secondo le competenze delle istituzioni di ricerca parti del consorzio. Il coinvolgimento degli “spokes” e delle imprese private avverrà attraverso accordi specifici di utilizzo delle infrastrutture di ricerca. Elementi essenziali di ogni centro nazionale saranno: la creazione e il rinnovamento di rilevanti strutture di ricerca; il coinvolgimento di soggetti privati nella realizzazione e attuazione dei progetti di ricerca; il supporto alle start up e alla generazione di spin off.
Ecosistemi dell’innovazione e costruzione di “leader territoriali di R&S”
La misura, attuata dal MUR, si concretizza attraverso il finanziamento entro il 2026 di 12 “campioni territoriali di R&S” (esistenti o nuovi) che verranno selezionati sulla base di apposite procedure competitive, con attenzione alla capacità di promuovere progetti di sostenibilità sociale. Ogni progetto dovrà presentare in misura significativa i seguenti elementi:
- attività formative innovative condotte in sinergia dalle Università e dalle imprese e finalizzate a ridurre il mismatch tra competenze richieste dalle imprese e competenze fornite dalle università, nonché dottorati industriali;
- attività di ricerca condotte e/o infrastrutture di ricerca realizzate congiuntamente dalle Università e dalle imprese, in particolare le PMI, operanti sul territorio;
- supporto alle startup;
- coinvolgimento delle comunità locale sulle tematiche dell’innovazione e della sostenibilità.
La selezione dei progetti da finanziare avverrà sulla base dei seguenti criteri: la qualità scientifica e tecnica e la sua coerenza con la vocazione territoriale; l’effettiva attitudine a stimolare le capacità innovative delle imprese, in particolare delle PMI; la capacità di generare relazioni nazionali ed internazionali con importanti istituzioni di ricerca e società leader; l’effettiva capacità di coinvolgimento delle comunità locali. La misura intende rafforzare quei luoghi di contaminazione e collaborazione tra Università, centri di ricerca, società e istituzioni locali che in questi anni sono nati nei territori e che rappresentano un modello di successo di innovazione economica e sociale.
Estensione tematica e territoriale dei centri di trasferimento tecnologico per segmenti di industria
L’obiettivo della misura, implementata dal MiSE, consiste nel sostenere, anche attraverso un processo di riorganizzazione e razionalizzazione, una rete di 60 centri (Centri di Competenza, Digital Innovation Hub, Punti di Innovazione Digitale) incaricati dello sviluppo progettualità, dell’erogazione alle imprese di servizi tecnologici avanzati e servizi innovativi e qualificanti di trasferimento tecnologico[3]. L’obiettivo del processo di semplificazione e razionalizzazione dei centri auspicato dalla misura è quello di aumentare i servizi tecnologici avanzati a beneficio delle aziende focalizzandosi su tecnologie e specializzazioni produttive di punta. Il PNRR stima un aumento del valore del servizio di trasferimento tecnologico pari al 140% (circa 600 milioni) rispetto al valore base corrispondente a 250 milioni di euro.
Il finanziamento dei centri già esistenti si baserà sulla valutazione della performance e sulla valutazione di eventuali carenze di finanziamento. Il presupposto per finanziare i nuovi centri è l’abbinamento con fondi privati, condizione essenziale per garantire la sostenibilità dei centri.
Realizzazione di un sistema integrato di infrastrutture di ricerca
Viene previsto un fondo con l’obiettivo di facilitare l’osmosi tra la conoscenza scientifica generata in infrastrutture di ricerca di alta qualità e il settore economico. A tale scopo la misura, implementata dal MUR, sostiene la creazione di infrastrutture di ricerca e innovazione che colleghino il settore industriale con quello accademico.
Il Fondo per l’edilizia e le infrastrutture di ricerca finanzierà la creazione o il rafforzamento, su base competitiva, di infrastrutture di ricerca di rilevanza pan-europea e infrastrutture di innovazione dedicate, promuovendo la combinazione di investimenti pubblici e privati. In particolare, la misura finanzierà fino a 30 progetti infrastrutturali (esistenti o di nuovo finanziamento), con un research manager per ogni infrastruttura.
Finanziamento di start-up
La misura è finalizzata ad integrare le risorse del Fondo Nazionale per l’Innovazione, lo strumento gestito da Cassa Depositi e Prestiti per sostenere lo sviluppo del Venture Capital in Italia. Attraverso questa iniziativa, implementata dal MiSE, sarà possibile ampliare la platea di imprese innovative beneficiarie del Fondo, finanziando investimenti privati in grado di generare impatti positivi e valore aggiunto sia nel campo della ricerca sia sull’economia nazionale. L’investimento consentirà di sostenere 250 piccole e medie imprese innovative con investimenti per 700 milioni di euro (partecipazione media mari a 1,2 mln euro).
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Note
- Le principali aree di intervento del PNR riflettono i sei cluster del Programma quadro europeo di ricerca e innovazione 2021-2027: salute; cultura umanistica, creatività, trasformazioni sociali, una società dell’inclusione; sicurezza per i sistemi sociali; digitale, industria, aerospaziale; clima, energia, mobilità sostenibile; prodotti alimentari, bioeconomia, risorse naturali, agricoltura, ambiente. ↑
- La selezione dovrebbe avvenire con appositi bandi, il primo dei quali verrà emanato entro l’inizio del 2022. La scelta fra le proposte che parteciperanno ai bandi avverrà con modalità analoghe a quelle adottate dall’European Innovation Council. ↑
- Questi centri si differenziano da quelli di ricerca in cui sono coinvolte Università e imprese e che riguardano investimenti a basso TRL (come i Campioni nazionali di R&S e gli Ecosistemi dell’innovazione), in quanto si caratterizzano per il trasferimento dei risultati della ricerca attraverso servizi più prossimi al mercato. ↑