Se non fosse per la polemica largamente simbolica sull’aumento del tetto al contante e sulla soglia per l’obbligo del POS, sarebbe difficile giustificare a una prima lettura un articolo intero sulla base dei (pochi) contenuti digitali del disegno di legge di bilancio 2023. Più facile citare quello che manca. Innanzitutto, non dico una visione ma quantomeno un insieme di interventi più o meno organici in un settore, il digitale, che è fattore essenziale per un Paese che reclami un futuro.
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Lo scenario
D’altronde basta guardare i titoli dei capitoli della legge di bilancio per rendersi conto che trovano il proprio posto quelli su energia elettrica, gas e carburanti, lavoro, famiglia e politiche sociali, agricoltura e sovranità alimentare, infrastrutture e trasporti, sanità, scuola, università e ricerca, turismo, sport, cultura e informazione, difesa e sicurezza nazionale, ambiente, regioni e enti locali, e giustizia. Di fatto, tenendo conto dei ministeri “tematici” di peso non sembra mancarne nessuno. Ma d’altronde, si dirà, il digitale e l’innovazione sono stati ritenuti così secondari dall’attuale esecutivo da non meritare neppure un ministero ad hoc, dopo le esperienze dei Governi Conte Bis e Draghi.
Vero, anche se a mitigare la delusione di molti, tra i quali chi scrive, il sottosegretario con delega, Alessio Butti, è a stretto contatto con la Presidente del Consiglio, sia funzionalmente che politicamente. Senza dimenticare il ruolo cruciale che gioca il Ministero dello Sviluppo economico, sia rispetto alle telecomunicazioni che alla digitalizzazione delle imprese, anch’esso andato a un autorevole rappresentante di Fratelli d’Italia. Mettendo dunque in campo una potenziale triangolazione con la premier Meloni all’insegna del digitale. Così almeno negli auspici delle ultime settimane. D’altronde, è il caso di sottolineare che la legge di bilancio è il primo di una serie di banchi di prova del Governo e dunque non sarà di certo l’ultima occasione per assumere provvedimenti significativi sull’innovazione digitale nel nostro Paese.
Certo, se il buon giorno si vede dal mattino, l’assenza di un titolo ad hoc su innovazione e digitale non può che bruciare. Anche se, come sappiamo, la legge di bilancio è stata fatta in tutta fretta e per gran parte, almeno in termini finanziari, si concentra sulla doverosa mitigazione dei costi energetici. Limitandosi a lanciare qualche segnale poco più che simbolico sul resto. In questa logica, potrebbe essere prevalsa l’idea che il PNRR dedichi già molte risorse alla transizione digitale e dunque non ci fosse bisogno di aggiungerne altre nell’immediato. Il che è solo parzialmente vero. Transizione ecologica, infrastrutture e sanità, ad esempio, ricevono anch’esse molte risorse dal PNRR ma questo non ha impedito che abbiano trovato spazio in altrettanti capitoli del testo del disegno di legge trasmesso alla Camera dal Governo.
La questione del contante
In ogni caso, passando a osservare i pochi articoli che qua e là riguardano il digitale, alcuni interventi non sembrano andare neppure nella giusta direzione, che non può che essere quella della modernizzazione del Paese. Su tutti l’art. 69, che prevede l’innalzamento dell’obbligo del contante per transazioni superiori a 5.000 euro (dalle precedenti 1.000) e l’obbligo del POS per gli esercenti solo per importi superiore a 60 euro (che per inciso rappresentano neppure il 20% delle transazioni, secondo i dati dell’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano). È vero che i commercianti che hanno applicato la misura nella stragrande maggioranza continueranno a farlo, così come quelli che la osteggiavano, fingendo improbabili guasti, potranno farlo alla luce del sole.
Tuttavia, a fronte di una domanda di digitale che continua ad essere decisamente più bassa che altrove, come ha riportato recentemente l’I-Com ultrabroadband index 2022 (addirittura in calo di una posizione al ventitreesimo posto in Europa, a fronte delle quindici posizioni guadagnate sull’offerta fino all’ottavo posto), di tutto c’era bisogno fuorché di un segnale in direzione opposta rispetto a quella auspicata. I mezzi di pagamento, al pari dei video, del gaming e di altri servizi digitali, rappresentano una delle killer application della domanda digitale nel nostro Paese. Indebolirla non serve a nulla, se non a mandare un segnale a chi evade.
Tra l’altro, come dimostrano i dati, le commissioni bancarie in Italia sono in linea con quelle di altri Paesi. Meno in linea sono appunto le abitudini di consumo degli italiani. Per questo, gli shock sulla domanda, che in principio possono non piacere a chi come il sottoscritto è di cultura liberale, sono necessari per far recuperare all’Italia posizioni rispetto agli altri Paesi (che nel frattempo non stanno fermi evidentemente). In assenza di silver bullet, cioè singole policy che da sole possono cambiare l’ordine delle cose, la spinta verso il digitale deve mettere diverse armi in campo. La lotta al contante è una di queste.
Le misure anti-evasione su cripto-attività e piattaforme online
Venendo alle altre misure previste che hanno impatto sul digitale, almeno per numero di articoli la parte del leone la fanno le cripto-attività, alle quali ne vengono dedicati ben 5 (dal 31 al 35). La finalità principale, come dimostra la collocazione all’interno del capo “Disposizioni in materia di entrate”, è quella di far emergere le criptoattività per poterle assoggettare a tassazione e dar quindi luogo a maggiori entrate per le casse dello Stato. Oltre a istituire un regime fiscale che si applichi esplicitamente al caso di specie, si prevede una norma ad hoc (art. 34) per regolarizzarle.
Simile intento ha l’art. 37, relativo alla vendita di beni tramite piattaforme digitali. Al posto della tanto annunciata imposta sull’e-commerce, subito ribattezzata Amazon tax, altra misura che al di là di come la si pensi sulla tassazione dei giganti tecnologici sarebbe andata in direzione chiaramente opposta rispetto alla digitalizzazione del Paese, si prevedono obblighi informativi relativi alle transazioni effettuate dagli utenti business che vendono tramite piattaforme.
I (pochi) fondi in più per accelerare la transizione digitale
Pochi e su due sole aree i fondi espressamente allocati al digitale dal disegno di legge bilancio (rispettivamente con gli articoli 77 e 154). In totale 157 milioni di euro per il 2023, 217 milioni di euro per il 2024 e 257 milioni di euro per il 2025. A beneficiarne l’agricoltura 4.0 e la cybersecurity. Alla prima viene dedicato un Fondo per l’innovazione in agricoltura con una dotazione di 75 milioni di euro l’anno per il prossimo triennio. Tra le attività finanziabili, la concessione, anche attraverso voucher, di agevolazioni alle imprese, inclusi contributi a fondo perduto e garanzie sui finanziamenti, nonché la sottoscrizione di quote o azioni di uno o più fondi per il venture capital. Alla seconda vengono assegnati più risorse, attraverso l’istituzione del Fondo per l’attuazione della Strategia nazionale di cybersicurezza (al quale vengono allocati 70 milioni di euro per il 2023, 90 per il 2024, 110 per il 2025 e 150 l’anno dal 2026 al 2037) e del Fondo per la gestione della cybersicurezza, che dovrà coprire le attività operative sviluppate nell’ambito del primo, con un budget di 10 milioni di euro per il 2023, 50 per il 2024 e 70 dal 2025 in avanti. In più, per far fronte ai maggiori compiti derivanti dai due fondi, viene incrementato di 2 milioni di euro l’anno il fondo previsto dalla legge 4 agosto 2021, n. 109, che istituì l’Agenzia nazionale per la cybersicurezza.
Al di là delle cifre, modeste anche in una legge di bilancio di emergenza come questa, colpisce come ancora una volta, accanto a quelli meritoriamente attivati, manchino fondi ad hoc per filoni tecnologici in passato trascurati, sia dalle precedenti manovre di bilancio che dallo stesso PNRR, pur in presenza di Strategie ad hoc. Viene alla mente soprattutto l’intelligenza artificiale, per la quale proprio un anno fa, dopo anni di stop and go, fu finalmente varato un Piano strategico triennale. Troppo tardi probabilmente per la scorsa manovra di bilancio (e anche per un’attuazione organica nel PNRR) ma sarebbe stato legittimo aspettarsi un ripescaggio per l’attuale.
Il nodo Transizione 4.0
La riforma del programma Transizione 4.0, annunciata dal Ministro Urso per l’inizio del prossimo anno, a fine 2022, sarà forse la prima occasione per rimettere il digitale al centro del programma di governo. Nel frattempo, a fine 2022 subiranno un taglio radicale le aliquote di incentivazione attualmente previste. Ci auguriamo dunque che, a controbilanciare questo trend, qualche segnale di attenzione al digitale possa già venire dagli emendamenti al disegno di legge bilancio presentati in questi giorni. In attesa di quelli che speriamo possano essere tempi migliori, anche per l’innovazione di cui l’Italia ha più che mai bisogno.