Dichiarazione IVA precompilata: una frase dal sapore mistico che richiama alla mente futuristici scenari di un Fisco amico, semplice e rapido e divenuto accessibile a tutti i contribuenti. Argomento assolutamente affascinante che però si scontra con una realizzazione pratica davvero problematica vista la normativa articolata e le complessità applicative di tutti i giorni della normale contabilità IVA. Va detto che fatturazione elettronica obbligatoria e corrispettivi telematici costituiscono una eccezionale base dati di partenza, comprendendo il 99% delle operazioni rilevanti ai fini IVA, ma è il restante 1% però che porta le complessità ben note agli operatori.
Dichiarazione IVA precompilata, i nuovi obblighi per il 2022
Con l’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica il legislatore aveva già previsto che ogni contribuente fosse obbligato a trasmettere periodicamente i principali dati relativi alle operazioni con l’estero, utilizzando un formato XML derivato da quello della fattura elettronica ma con un singolo invio periodico; con l’obiettivo, a regime, di una comunicazione trimestrale entro l’ultimo giorno del mese successivo. Tale periodicità prevista originariamente dalla norma permette senza alcun dubbio le operazioni di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria ma è poco compatibile con la precompilazione dei registri e delle liquidazioni IVA e soprattutto con il versamento dell’imposta. Ecco quindi che, con la legge di bilancio per il 2021 (Legge 178/2020), il legislatore ha previsto delle modifiche alla normativa sulla fatturazione elettronica ed obblighi connessi (il DLgs. 127/2015) innovando la disciplina dell’esterometro che viene resa compatibile in termini di tempi con la precompilazione di registri e liquidazioni, ma con una applicazione davvero problematica per i contribuenti ed i professionisti che li assistono.
La trasmissione dei dati delle operazioni con l’estero
A partire dall’annualità 2022, i contribuenti dovranno trasmettere i dati relativi alle operazioni con l’estero (fatture estere emesse e ricevute) utilizzando il formato XML della fattura elettronica obbligatoria. Si tratta di una modalità di comunicazione che in effetti è utilizzabile, in via facoltativa, sin dal 2019 per quanto riguarda le fatture emesse verso soggetti esteri (mediante l’invio di FE al codice destinatario convenzionale XXXXXXX) e da un anno circa anche per le fatture ricevute utilizzando le cosiddette autofatture estere (identificate dal tipo documento TD17, TD18 e TD19).
Precompilata IVA, bene digitalizzare ma non ci si aspetti miracoli: ecco perché
La facoltà prevista a tutto il 2021 è stata una interessante possibilità, in particolare per le fatture emesse in cui il singolo contribuente poteva semplificare i propri obblighi di comunicazione compilando la fattura estera con il proprio software e inviandola simultaneamente in formato pdf via mail al proprio cliente e fattura elettronica al fisco italiano, evitando così la successiva compilazione dell’esterometro. Facoltà in effetti utilizzata da un numero non irrilevante di contribuenti, certamente un poco più evoluti e attenti della media, ma non necessariamente espertissimi in materia fiscale.
Il discorso invece cambia drasticamente affrontando l’aspetto delle fatture estere ricevute. Qui ci troviamo con una serie di tipi documento distinti a seconda della tipologia di operazione da comunicare, con scadenze di trasmissione molto anticipate (il 15 del mese successivo) in qualche caso non del tutto coerenti con i termini di contabilizzazione ai fini IVA.
Ci troviamo quindi con:
- Operazioni relative all’acquisto di servizi extracomunitari, che andranno singolarmente trasmesse con documento tipo TD17;
- Acquisti di beni intracomunitari, per cui è previsto il tipo documento TD18;
- Acquisti, da non residenti, di beni già presenti in Italia o di servizi territorialmente rilevanti, con tipo documento TD19.
Come si capisce, l’uso di questi nuovi strumenti non è banale e chiaramente riservato a chi si occupa di fisco con assiduità e preparazione specifica.
Precompilata Iva, perché è un obbligo ingestibile ma un’opzione interessante
Come spesso accade, il diavolo è nei dettagli: si è voluto trasformare un obbligo periodico (un unico esterometro trimestrale che riporti tutti i dati delle operazioni emesse e ricevute) in molteplici, distinti obblighi da trasmettere con scadenza mensile solitamente molto ravvicinata alla ricezione della fattura estera. Ogni documento telematico per essere inviato prevede una propria procedura di trasmissione, con ricezione, verifica ed archiviazione di 2 separate ricevute (notifica di trasmissione e notifica di esito) senza dimenticare la necessità di gestirne gli eventuali scarti. I dati di un esterometro trimestrale per un’azienda che riceve 10 fatture al mese sono gli stessi contenuti in 30 documenti TD17/18/19, ma è molto diversa la necessità di un singolo invio telematico di un esterometro trimestrale rispetto ai 30 invii distinti, peraltro con tempistiche molto più rigide, in molti casi estremamente difficili da rispettare (si pensi al piccolo imprenditore che ricorda di una fattura di un e-commerce solo grazie all’estratto conto della carta di credito, disponibile però contestualmente alla scadenza dell’obbligo).
Insomma, se l’obiettivo del nuovo obbligo per il 2022 è quello di complicare drasticamente la vita a qualunque titolare di partita IVA osi acquistare beni o servizi dall’estero, la missione è certamente compiuta. Se invece l’intenzione era semplicemente abilitare i registri e dichiarazione IVA precompilata allora l’obbligo di utilizzare il formato XML di fatturazione elettronica per trasmettere queste operazioni è un colpevole eccesso di zelo che rischia di venir pagato a caro prezzo dai contribuenti. Questo è uno strumento gestibile soltanto con adeguate procedure software che predispongano automaticamente il documento TD17/18/19 e ne gestiscano la trasmissione; però, a quanto ci risulta, non esistono al momento soluzioni di questo tipo sul mercato; quantomeno non per commercialisti e professionisti del fisco. Insomma, oggi probabilmente costerebbe meno la sanzione per l’omissione (2 euro a documento non ravvedibili) che l’adempimento, che dovrebbe necessariamente essere gestito manualmente, con un costo probabilmente di un ordine di grandezza superiore alla sanzione.
Conclusione
Il pasticcio è sicuramente brutto, va detto però che il legislatore ha a disposizione una soluzione facile che accontenterebbe tutti, fisco e contribuenti: lasciare la facoltà, e non l’obbligo, di utilizzare i nuovi tipi documento riportando in vita il preesistente esterometro. Chi utilizza i nuovi strumenti, presumibilmente grosse realtà strutturate con importanti reparti amministrativi, avrà a disposizione registri e dichiarazione IVA precompilati più attendibili (ma comunque mancanti quanto meno dell’informazione sulla eventuale indetraibilità); viceversa, chi opta per l’utilizzo del vecchio esterometro trimestrale continuerà a fornire piena e completa informazione al fisco a condizioni e termini temporali più consoni a piccole realtà che incaricano professionisti esterni degli adempimenti contabili e fiscali.