Un processo, di qualsiasi tipo e natura sia, è una sequenza di eventi tra loro interconnessi e diretti verso un obiettivo finale. Meno lunghe, costose e complesse sono le fasi di attraversamento che conducono da un evento rilevante a quello successivo, più un processo è efficiente.
Per questa ragione l’idea del processo civile o amministrativo telematico è, sulla carta, assolutamente vincente e potenzialmente in grado di efficientare in modo estremamente significativo il sistema della giustizia, proprio attraverso la semplificazione e la conseguente compressione – in termini di tempi, costi ed effort – degli adempimenti da svolgere per poter avanzare speditamente verso l’obiettivo finale della definizione del giudizio.
Immaginate la differenza che vi è, in termini di tempi e costi, tra un processo in cui, ad esempio, l’avvocato deve preparare un atto, stamparlo, collazionarlo, fare un numero variabile di copie, presentarlo fisicamente per la notificazione alle parti facendo la fila agli sportelli deputati, attendere il ritorno materiale dell’atto notificato, ritirarlo facendo una nuova fila ad altri sportelli, farne delle nuove copie, collazionare e fotocopiare i documenti ivi citati e portare il tutto fisicamente agli uffici dell’autorità giudiziale competente. Immaginate quantità enormi di carte che devono essere fisicamente esaminate dai giudici e poi archiviate occupando spazi via via crescenti, carte che possono deteriorarsi, smarrirsi, persino essere sottratte o sostituite e che possono essere consultate soltanto nel luogo fisico in cui si trovano e così via.
Il paragone con un sistema in cui, dematerializzando e digitalizzando il processo, lo stesso risultato può essere ottenuto con la formazione di un atto digitale, firmato digitalmente, notificato direttamente tramite PEC (se il destinatario è un professionista, una pubblica amministrazione, un’impresa con indirizzo PEC risultante da pubblici registri) e iscritto a ruolo telematicamente completo di tutti i documenti praticamente in tempo reale, che i giudici potranno consultare in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, con una compressione di tempi, costi ed effort incredibilmente rilevanti, è di chiaro impatto.
L’idea è indubbiamente geniale.
Tuttavia, se si passa dalla teoria alla pratica, bisogna purtroppo constatare che l’avvento del processo telematico rappresenta anche uno dei più fulgidi esempi di “semplificazione” complicata ed incompleta che solo molto parzialmente risponde alle esigenze per le quali è stata istituita.
Innanzitutto va osservato, in termini generali, che i sistemi informatici della giustizia amministrativa (PAT basato sul SIGA) e di quella civile (PCT) sono indipendenti, non hanno le stesse regole, non utilizzano i medesimi protocolli, non prevedono gli stessi adempimenti. Il che significa che un avvocato che si occupi sia di diritto amministrativo che di diritto civile deve dotarsi di interfacce diverse per i due processi, duplicare la formazione per la gestione delle stesse, seguire logiche differenti e svolgere adempimenti diversi, con conseguente moltiplicazione dei tempi, costi e degli sforzi necessari e con aumento esponenziale dei rischi di errore che, in questi ambiti, possono essere fatali.
Ma ciò che maggiormente pregiudica l’efficacia reale dell’innovazione – che, come detto, è potenzialmente epocale – è il mancato cambiamento dell’approccio al processo, che ha condotto di fatto ad un “doppio binario” nel quale, per gli avvocati, il processo telematico, con le sue inevitabili complessità, non sostituisce in toto quello tradizionale, ma per larga parte si affianca ad esso, obbligando alla duplicazione degli adempimenti, digitali e cartacei, generando maggiori costi.
Di contro, sul lato dell’autorità giudiziaria, sotto vari profili il processo è rimasto esclusivamente cartaceo, tanto che anche ove non sia obbligatorio il deposito delle c.d. “copie d’obbligo” appunto in formato cartaceo, gli avvocati che non provvedono al deposito cartaceo delle c.d. “copie di cortesia” lo fanno a proprio rischio e pericolo, in quanto i documenti esclusivamente in formato digitale non di rado non vengono neppure aperti e dunque, restano totalmente ignorati al fine del decidere. Certo, ove ciò accada c’è sempre il successivo grado di appello, ma è evidente che si tratta della negazione dell’effetto di speditezza e semplificazione che si voleva ottenere.
In teoria, nel processo amministrativo telematico – nato successivamente rispetto al processo civile e dunque basato su un approccio più “spinto” verso il nativo digitale – il cartaceo dovrebbe rappresentare un ambito residuo minimale. Ma in effetti così non è, almeno fino al primo gennaio 2018. Difatti, l’art. 7 comma 4 del D.L. 168/2016, (convertito con modificazioni dalla L. 197/2016) ha stabilito che, sino al 1° gennaio 2018, per i giudizi introdotti con i ricorsi depositati, in primo o in secondo grado, con modalità telematiche deve essere depositata almeno una copia cartacea del ricorso e degli scritti difensivi, con l’attestazione di conformità al relativo deposito telematico. Gli uffici giudiziari in effetti ne chiedono almeno due, se non tre. Come detto, le copie ulteriori rispetto alla prima sono facoltative, ma non depositarle determina conseguenze sul piano pratico.
Recentemente il Consiglio di Stato, con l’ordinanza cautelare 3 marzo 2017, n. 880 ha osservato che il deposito della copia cartacea c.d. d’obbligo del ricorso e degli scritti difensivi, con l’attestazione di conformità al relativo deposito telematico“è finalizzato a consentire, in primo luogo al Collegio, una più agevole lettura degli atti processuali” e questo la dice lunga circa la comparazione dell’interesse all’efficientamento del processo e alla riduzione degli oneri e dei tempi imposti ai privati, con l’interesse ad evitare ai giudici il fastidio di una lettura a video o, in ultima analisi, di una stampa. La stessa ordinanza indica come “concretamente assai auspicabile, nella situazione data” il deposito di più copie di cortesia ulteriori.
La medesima ordinanza, poi, qualifica il deposito della copia cartacea come precondizione per il corretto esercizio della potestà presidenziale di fissazione dell’udienza.
Nell’ambito del processo civile telematico si era giunti persino al paradosso di condannare per responsabilità aggravata la parte che non avesse provveduto al deposito delle copie di cortesia (cfr. Tribunale Milano, 15/01/2015, Trib. Pesaro, Ord., 10-06-2015) perché avrebbe reso più gravoso al Collegio l’esame delle difese. E ciò a tacere del fatto che la copia di cortesia è, appunto, una mera copia di cortesia che non viene conservata, protocollata e trattata come un atto processuale – con tutte le intuibili conseguenze, anche in termini di sicurezza – ancorché di fatto costituisca spesso l’unica fonte del convincimento del giudice.
Oggi la copia di cortesia nell’ambito del processo civile resiste comunque, non tanto perché se ne sostenga l’obbligatorietà (purtroppo espressamente prevista per il processo amministrativo) ma, come sopra accennato, perché se non la si deposita si ha un’ottima probabilità che i documenti solo in formato digitale non vengano letti dai giudici.
Ogni cambiamento porta con sé delle inevitabili difficoltà. Occorre studiare nuovi approcci, abituarsi a nuove modalità di svolgimento di attività ormai consolidate e la resistenza al cambiamento è uno dei freni principali al diffondersi delle innovazioni. Una riforma ha veramente successo soltanto nel caso in cui i soggetti che devono affrontare il cambiamento siano motivati a superare le iniziali, inevitabili difficoltà, animati dal convincimento che, nel medio lungo periodo, i benefici che saranno prodotti dal cambiamento surclasseranno di gran lunga gli sforzi profusi.
Se non verrà radicalmente mutato l’approccio degli operatori al tema della riforma nessuna norma sul processo telematico, per quanto perfetta, potrà mai incidere efficacemente sul sistema.