Il futuro degli studi professionali è sempre più orientato al supporto e allo sviluppo delle imprese. Uno sviluppo che passa necessariamente per le vie digitali e per la valorizzazione dei dati che diventano l’asset principale per aumentare la conoscenza e proporre servizi di valore.
Non a caso, l’importanza dei dati viene esaltata in ogni nuovo provvedimento – dalla fattura elettronica, al decreto legislativo numero 14 sulla crisi d’impresa e dell’insolvenza, per i corrispettivi telematici e per il tracciamento dei pagamenti, in un’economia sempre più cashless.
Le opportunità sono notevoli, ma solo per chi sa guardare tra le pieghe della compliance, spingendo lo sguardo oltre l’adempimento e per chi comprende che la tecnologia da sola non basta: per vincere servono ancora le persone (adeguatamente formate) e un progetto.
Ecco quindi quale significato assumono provvedimenti quali la fattura elettronica o il decreto legislativo sulla crisi d’impresa.
Le opportunità tra le pieghe della compliance
Nuovi servizi e nuove competenze per i professionisti, sempre più vicini a giocare il ruolo di consulenti per l’impresa, meglio, per lo sviluppo dell’impresa. Prevenire è meglio che curare, direbbe Cesare Beccaria, e su questa strada si sposta il futuro delle professioni giuridiche.
Il passaggio è importante: da (prevalente) cinghia di trasmissione tra ente pubblico e contribuente-cittadino nella cura degli adempimenti di legge, ad attore protagonista a supporto delle imprese, soprattutto per la gestione della loro attività caratteristica, da cui deve derivare la remunerazione del capitale di rischio aziendale.
La fattura elettronica, come ho già avuto modo di dichiarare più volte nel passato, non è un mero documento fiscale ma un momento organizzativo, Da qui nascono idee per digitalizzare non solo documenti ma processi lavorativi (il ciclo dell’ordine) – da rendere più snelli e meno costosi – per elaborare nuova conoscenza attraverso i dati elaborabili dai file XML, che permettono di rendere più analitiche le informazioni sugli acquisti, soprattutto se confrontate con i parametri (anonimi) dei competitor.
È abbastanza intuitivo capire che, ormai, i bilanci sono sempre meno per i soci e sempre più per le banche, costrette a effettuare crescenti e costosi accantonamenti a fronte della rischiosità delle operazioni in essere. La selezione creditizia inizia, allora, a monte dell’evento e chi, meglio dei professionisti, può fornire conoscenza, strumenti e metodologie per monitorare real time, o quasi, lo stato di salute delle imprese?
Il controllo di gestione, i cruscotti costruiti sulle attività del business aziendale, l’analisi dei rischi a tutto tondo (commerciali, finanziari, fiscali, contrattuali), privilegiando il ‘qui e ora’ e l’analisi prospettica, necessitano di competenze, in alcuni casi già presidiate, in altri da presidiare. I modelli che emergono per gli studi che vogliono girare armonicamente e alla stessa velocità dell’ecosistema di appartenenza, sono modelli integrati e collaborativi con il ventaglio dei soggetti con i quali intrattengono relazioni (clienti, istituzioni pubbliche, banche, software house, colleghi).
Formazione e alleanze le parole chiave
Le tecnologie confermano il loro ruolo abilitante. Ma non è sufficiente acquistare tecnologia per aumentare la redditività, la competitività e garantire la sopravvivenza nel tempo. Il pilota e la squadra sono ancora indispensabili, come pure un piano progettuale che sappia individuare i passi da compiere e che sia frutto di due consapevolezze: chi sono oggi e chi voglio/posso essere domani.
La ‘tuttologia’ non è una scienza e, quindi, bisogna attrezzarsi per poter affrontare i gap conoscitivi e di competenza: formazione e alleanze. Due elementi trascurati perché tipicamente ancorati a modelli nel tempo involuti e basati sull’opinione di dover costruire la crescita del proprio studio solamente sulle competenze tecniche e sulla visione egocentrica dello studio.
La formazione tecnica è un prerequisito per l’esercizio della professione, quindi va data per scontata. Diversa è quella orientata a sviluppare abilità nell’analisi del business dei clienti, a fornire previsioni sui loro andamenti futuri, a esaminare criticamente i dati funzionalmente al loro business, a capire le aree più efficienti in relazione anche all’impiego del personale, a comprendere come sta variando la qualità del portafoglio dei clienti in relazione alle insolvenze che maturano, a monitorare le prestazioni interne e quelle verso la clientela, a organizzare la visibilità dello studio con coerenti comunicazioni che esaltino gli elementi distintivi e non l’omologazione a un’offerta uniforme, a gestire un sistema di servizio che dev’essere preciso, puntuale, affidabile, empatico e rassicurante per il cliente.
La squadra comprende anche il personale, troppo spesso relegato a comparsa e destinatario di addestramento, non di formazione. L’elenco presentato cita solo alcuni esempi di novità da introdurre negli studi. Complicato? No, ma forse complesso, soprattutto se l’attuale modello è distante da ciò che la realtà sta chiedendo: più servizi, più aderenza alla gestione caratteristica dell’azienda, più efficienza e tempestività.
La domanda di servizi sta manifestando segni di cambiamento, che non si possono ignorare o, peggio, classificare come anomalie occasionali o di basso impatto (nuovi concorrenti, digitalizzazione della PA, cambiamento generazionale, piattaforme tecnologiche erogatrici di servizi a pagamento…).
Da soli è sempre più difficile camminare. Ma la sovranità esclusiva ha un prezzo che, oggi, può portare a lungo andare all’isolamento. Collaborare significa lavorare insieme e, quindi, condividere non solo idee ma attività e informazioni. La difficoltà non deve risiedere in questa scelta, semmai in quella di individuare il partner giusto con cui compiere insieme il viaggio.
Il momento è importante, epocale per la portata dei cambiamenti in essere e quelli in nuce. Come si diceva, nuovi occhi per guardare la realtà ed eventualmente anche nuovi occhiali per interpretarla.