La relazione tra criptovalute, come bitcoin, e attività di riciclaggio di denaro è al centro di un acceso dibattito. Utile a tal proposito approfondire come funzionano le monete virtuali, il ruolo nell’agevolazione di condotte illecite e le possibili misure per contrastare il fenomeno.
Funzionamento delle criptovalute
La cryptocurrency o criptovaluta viene definita quale moneta generata e scambiata esclusivamente in via telematica ed informatica e caratterizzata da crittografia (da qui il termine), non centralità dell’emissione (in quanto avviene mediante scambio p2p c.d. distributed ledger) e non ha valore legale, ma rappresenta un mezzo di pagamento “volontario” fra gli utenti. Le caratteristiche della criptovaluta sono le seguenti:
- L’assenza di un’autorità monetaria centrale in quanto l’esistenza e la validità della stessa sono provate dal sistema distribuito (opposto del principio della fidefacenza nummaria);
- Il sistema distribuito controlla sia le criptovalute che le loro proprietà;
- Il sistema stabilisce se possono essere create nuove unità di criptovaluta e, in caso affermativo, definisce la loro origine e come determinare il loro possessore;
- Le proprietà della criptovaluta possono essere provate esclusivamente a mezzo di crittografia;
- È ammesso lo scambio di unità crittografiche e la conferma della transazione può essere rilasciata solo da chi può provare la proprietà delle criptovalute oggetto della transazione;
- Sempre in ordine allo scambio di criptovalute, il sistema se riceve contemporaneamente due richieste di scambio di una singola unità, da precedenza alla prima.
Le criptovalute si dividono in tre categorie ossia:
- Chiuse, cioè non possono essere convertite in moneta avente corso legale e possono essere utilizzate esclusivamente per l’acquisto di beni e sevizi virtuali;
- Unidirezionali, ossia una volta emesse possono essere utilizzate per l’acquisto di beni e servizi anche reali, ma non possono essere riconvertite in moneta avente corso legale;
- Bidirezionali (es. bitcoin, la più famosa) che permettono qualunque acquisto e possono essere scambiate con moneta avente corso legale.
La criptovaluta, secondo la Consob è caratterizzata da:
- un insieme di regole (detto “protocollo”), cioè un codice informatico che specifica il modo in cui i partecipanti possono effettuare le transazioni;
- una sorta di “libro mastro” (distributed ledger o blockchain) che conserva immodificabilmente la storia delle transazioni;
- una rete decentralizzata di partecipanti che aggiornano, conservano e consultano la distributed ledger delle transazioni, secondo le regole del protocollo.
Dal punto di vista pratico l’utente crea un proprio account di moneta virtuale, molto simile ad un indirizzo email (es. BTC o ETH address) ma crittografato e totalmente anonimo, attraverso le principali piattaforme di blockchain. Grazie alla creazione di questo “portafoglio” virtuale, l’utente potrà utilizzare la criptovaluta per acquistare beni, servizi, ovvero rivenderla a fini speculativi. Il procedimento per l’utente in realtà è molto semplice e prevede la generazione di una passphrase da parte dei numerosi siti che gestiscono il portafoglio virtuale che potrà essere utilizzato anche tramite app mobile; va precisato che se l’utente perde o dimenticata le credenziali di accesso il portafoglio virtuale diviene inutilizzabile.
L’agevolazione delle condotte di riciclaggio
La condotta del riciclaggio di denaro si configura quando:
- Nel caso classico di “lavaggio” del danaro, ossia l’eliminazione di ogni possibile collegamento con il precedente reato (condotta di sostituzione);
- Nel movimento, attraverso strumenti negoziale, dei beni di provenienza illecita (condotta di trasferimento);
- Nel compiere altre operazioni mirate ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni, considerata quale clausola di chiusura finalizzata a perseguire condotte non preventivamente individuabili dal legislatore e che sono il frutto della “creatività” con cui i gruppi criminali si industriano per riciclare il danaro sporco.
Appare evidente che le caratteristiche delle criptovalute in totale anonimato e senza il controllo di un’autorità centralizzata rappresenta una formidabile occasione di riciclaggio e, in genere, di reinvestimento di capitali di provenienza illecita. A tal proposito, il Procuratore generale degli Stati Uniti ha citato in giudizio due cittadini cinesi accusati di avere riciclato, per mezzo di numerosi address (portafogli virtuali), circa 234 milioni di dollari in moneta virtuale rubati ad una società di investimenti: la frode è stata possibile grazie ad un trojan inviato ad un inconsapevole impiegato. L’attacco è partito nel 2018 e gli americani sospettano che fosse stato organizzato dalla Corea del Nord per finanziare il programma nucleare. Ed ancora secondo due inchieste rispettivamente delle autorità polacche e USA la società Crypto Capital avrebbe riciclato 350 milioni di dollari del narcotraffico, costituendo, altresì, un sistema bancario ombra.
L’azione della criminalità organizzata in Italia
A parte gli scenari di internazionali, anche in Italia la criminalità organizzata è arrivata a capire le potenzialità delle monete virtuali, soprattutto per pagare le partite di stupefacenti da fornitori sudamericani. Appare emblematico il caso di un broker dei clan della ‘ndrangheta che non ha potuto pagare lo stupefacente in bitcoin perché i narcos brasiliani non sapevano usarli, come accertato nell’ambito dell’operazione “European ‘ndrangheta connection” del 2018 a opera della DDA di Reggio Calabria.
D’altro canto gli stessi servizi segreti, nella relazione annuale sulla sicurezza del Paese, hanno lanciato l’allarme dell’utilizzo da parte delle consorterie della criptovaluta per riciclare i proventi delle attività criminali nella misura in cui “in un quadro che ha visto le cosche continuare a fare ricorso, per le esigenze di gestione e riallocazione delle proprie disponibilità, a schemi sofisticati realizzati anche grazie al supporto assicurato da studi professionali compiacenti e largamente utilizzati pure per finalità di evasione fiscale – che fanno perno su: fatturazione per operazioni inesistenti; costituzione di veicoli societari fittiziamente basati all’estero (incluso in Paesi non cooperativi e/o con giurisdizioni carenti sul piano della normativa antiriciclaggio); intestazione di società a soggetti fittizi; cessione di crediti di imposta (funzionale alla realizzazione di indebite compensazioni tributarie), costituiti attraverso articolati meccanismi finanziari illeciti; contrabbando internazionale di prodotti petroliferi, successivamente immessi nei circuiti distributivi nazionali attraverso l’utilizzo di documentazione fiscale falsa”. Non manca neppure la criminalità comune, stante una recente operazione del novembre 2019 della polizia locale di Milano che, indagando su di un presunto caso di truffe immobiliari, ha scoperto che i proventi venivano investiti in bitcoin.
I mezzi di contrasto
L’utilizzo ormai sistemati di questi “spalloni digitali” indebolisce non solo gli sforzi di contrasto al crimine organizzato, ma sottrae importanti risorse all’Erario nonostante la normativa penale sia sufficientemente chiara e completa in ordine alla punibilità delle condotte sopra elencate. È essenziale, invece, l’implementazione e l’aggiornamento dei sistemi di indagine delle Forze di Polizia specializzate anche mediante condivisione di banche dell’Ufficio Italiano Cambi, Consob e Banca d’Italia (quali organi cui spetta a vigilanza di operazioni sospette) in un’ottica di circolarità di notizie di carattere economico / finanziario; è utile, altresì, la previsione di protocolli investigativi unificati a livello europeo.
Va menzionato, in ultimo, il programma Eu-Of2Cen (European Union Online Fraud Cyber Centre Expert Network) che ha l’obiettivo di facilitare lo scambio in tempo reale di informazioni su transazioni fraudolente tra i diversi partner aderenti per un efficace contrasto del cyber crime; il programma, infatti, potrebbe essere implementato con un dipartimento specializzato nel riciclaggio di danaro sporco a mezzo di criptovaluta sfruttando l’esperienza delle varie autorità nazionali, anche non europee.