L'analisi

Riforma fiscale PNRR, obiettivi e punti chiave dall’Irpef all’Iva

La riforma fiscale del PNRR, il cui disegno di legge dovrebbe essere presentato entro il 31 luglio, prevede semplificazioni e modifiche alle imposte, per puntare a una ridefinizione del rapporto tra Fisco e contribuente

Pubblicato il 27 Lug 2021

Daniele Tumietto

Dottore commercialista

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La riforma fiscale del PNRR  è in arrivo: il Governo si è impegnato a presentare il disegno di legge delega entro il 31 luglio 2021, dopo l’approvazione del documento dell’indagine condotta dalle Commissioni parlamentari. Infatti, le Commissioni Finanze riunite di Senato e Camera, al termine di una lunga indagine conoscitiva, il 30 giugno hanno approvato congiuntamente il documento conclusivo sulla riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e degli altri aspetti del sistema tributario. Viene confermata l’architrave della bozza di proposta del Governo con alcune interessanti novità.

Riforma fiscale PNRR, gli obiettivi

La riforma fiscale, come è noto, rappresenta una delle riforme di accompagnamento al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il Governo, in ambito fiscale, evidenzia che gli interventi degli ultimi anni hanno causato un appesantimento con interventi operati d’urgenza che avrebbero dovuto avere uno sviluppo differente e più articolato, mentre si è ottenuta una fastidiosa frammentazione della legislazione tributaria, che ha causato un’ulteriore complessità determinando un sistema fiscale che ha ulteriormente allontanato gli investimenti, compresi quelli esteri.

Riforme PNRR, tutte le priorità da affrontare: dalla Giustizia al Codice appalti

Per ovviare a tutto questo il Governo nella legge di bilancio per il 2021 (legge n. 178 del 2020, commi 2-7) ha istituito un Fondo, con una dotazione di 8.000 milioni di euro per l’anno 2022 e 7.000 milioni a decorrere dal 2023, per interventi di riforma del sistema fiscale, a cui sono destinate le maggiori entrate permanenti derivanti dal miglioramento dell’adempimento spontaneo. Il Governo ha indicato come obiettivi dell’intervento di riforma fiscale, tra gli altri, di volere:

  • effettuare un’opera di raccolta e razionalizzazione della legislazione fiscale in un testo unico, integrato e coordinato con le disposizioni normative speciali, da far a sua volta confluire in un unico Codice tributario;
  • garantire che le nuove regole abbiano stabilità nel tempo, per evitare che gli operatori del settore (ivi compresa l’Amministrazione finanziaria) debbano continuamente adattarsi a mutate cornici normative;
  • attuare una revisione dell’Irpef, con il duplice obiettivo di semplificare e razionalizzare la struttura del prelievo e di ridurre gradualmente il carico fiscale, preservando la progressività e l’equilibrio dei conti pubblici;
  • incentivare la tax compliance;
  • incrementare la partecipazione al lavoro delle donne e dei giovani.

Per questo in Parlamento è arrivata la bozza della proposta di riforma dell’Irpef della commissione bilaterale all’uopo costituita, che ha alla base della proposta di riforma fiscale un nuovo patto fiscale fra Stato e cittadini, che elimina gli storici pregiudizi nei confronti della controparte e lontano dai luoghi comuni che identificano il contribuente come evasore e l’Amministrazione Finanziaria come cinico tiranno. La proposta di riforma fiscale prevede di creare una discontinuità rispetto al passato e pone al centro della proposta l’obiettivo di favorire la crescita economica mediante la riduzione dell’imposizione sui redditi da lavoro, la riduzione dell’aliquota media effettiva e la riduzione della complessità normativa.

La VI Commissione Finanze della Camera e la sesto Commissione Finanze e Tesoro del Senato hanno avviato un’indagine conoscitiva sulla riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario. I Presidenti di Senato e Camera hanno quindi promosso le opportune intese al fine di consentire che le due Commissioni potessero procedere congiuntamente, e il lavoro dell’indagine si è articolata tra gennaio e giugno 2021 mediante lo svolgimento di 61 audizioni.

Riforma fiscale PNRR, i quattro punti per la semplificazione

Le Commissioni parlamentari individua su quattro punti su cui l’azione di semplificazione possa concretamente esplicitarsi.

La codificazione delle norme fiscali

L’obiettivo di semplificazione e di chiara formulazione della normativa fiscale non può essere realizzato fintanto che innumerevoli disposizioni, modificate a più riprese e spesso in modo sostanziale, rimangono sparse, costringendo chi le voglia consultare a ricercarle sia nell’atto originario sia negli atti di modifica. L’individuazione delle norme vigenti richiede, infatti, al cittadino un notevole impegno di ricerca e di comparazione di diversi atti.

Appare quindi fondamentale semplificare e razionalizzare il quadro normativo, per garantire certezza nell’applicazione delle norme e coerenza dell’impianto impositivo, nonché per assicurare che il sistema tributario sia percepito come equo, affidabile e trasparente e, infine, per ridurre l’elevato contenzioso. Appare pertanto fondamentale codificare le disposizioni, per ottenere che la normativa fiscale di un Paese sia chiara e trasparente. La necessità di un intervento di riordino e razionalizzazione appare oggi ancora più auspicabile alla luce del moltiplicarsi delle misure introdotte in materia di regimi speciali nonché di agevolazioni fiscali per ottenere tra gli altri obiettivi quello raggiungere la compliance dei contribuenti.

Per questo racchiudere i Testi unici esistenti, e le altre norme tributarie, dopo averli opportunamente trasformati da compilativi in innovativi nelle semplificazioni che introducono, in un Codice Tributario strutturato nelle tre seguenti parti:

  1. Principi generali di diritto tributario, anche con riferimento al diritto dell’Unione Europea
  2. Procedura tributaria e sanzioni:
  • Testo unico degli adempimenti e accertamento
  • Testo unico delle sanzioni amministrative
  • Testo unico della giustizia tributaria
  • Testo unico della riscossione coattiva
  1. Parte speciale, con titoli distinti per le singole imposte e tasse, contenenti eventualmente norme procedurali specifiche per i singoli prelievi:
  • Testo unico delle imposte sui redditi
  • Testo unico dell’IVA
  • Testo unico delle imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni, donazioni e bollo
  • Testo unico dei tributi erariali minori
  • Testo unico in materia doganale, di accise e di giochi
  • Testo unico dei tributi regionali e locali
  • Testo unico delle agevolazioni.

Elevazione al rango costituzionale di alcune parti dello Statuto del contribuente

La maggior parte dei vigenti principi normativi in materia tributaria è raccolta nello Statuto del Contribuente, legge (ordinaria) del 7 luglio 2000 n. 212, nata da un disegno di legge governativo approvato dal Consiglio dei Ministri in data 8 agosto 1996. Nelle intenzioni del legislatore, tale norma avrebbe dovuto rendere più trasparente il rapporto tra fisco e contribuente, a garanzia di quest’ultimo, ed è purtroppo un fatto largamente accertato che lo Statuto del Contribuente sia la norma meno rispettata del nostro ordinamento giuridico!

Pertanto, l’unica soluzione per renderlo realmente cogente è attuare l’opzione di elevare a rango costituzionale alcune sue parti, e nella fattispecie quelle relative ai principi di chiarezza, semplicità e irretroattività delle disposizioni tributarie.

Cancellazione di tributi minori

Accanto alle questioni più generali relative alle imposte sui redditi, nell’ottica di semplificazione e razionalizzazione del sistema tributario, la Commissione ha condotto una specifica riflessione sui cosiddetti micro prelievi (imposte, tasse, diritti), erariali e territoriali, introdotti nel tempo.

Il gettito di tali prelievi, singolarmente, è stato quantificato come inferiore allo 0,01% del totale delle entrate tributarie per lo Stato e allo 0,1% per le regioni e i comuni. Tali forme di imposizione indubbiamente contribuiscono alla complessità del sistema anche per i molteplici adempimenti che implicano e, per altro verso, presentano costi gestionali elevati

Si propone pertanto un’opera di sfoltimento sistematico che includa la soppressione di prelievi quali quelli citati, garantendo – qualora fossero di competenza di enti territoriali – l’invarianza di risorse per quei livelli di governo.

Avvicinamento tra bilancio fiscale e bilancio civilistico

La divaricazione tra criteri di redazione del bilancio d’esercizio a fini civilistici e quella a fini fiscali è un fattore di confusione e complessità del sistema, e comporta rilevanti oneri di gestione a carico delle realtà produttive, in particolare quelle medio-piccole.

Le Commissioni ritengono necessario proseguire con decisione il percorso di razionalizzazione del sistema e di avvicinamento tra i due criteri, al fine di ridurre la complessità e favorire la stabilità delle regole.

Il modello di imposta sui redditi

I modelli prevalenti per quanto concerne la determinazione della base imponibile dell’imposta sui redditi personali sono essenzialmente due:

  1. Comprehensive Income Taxation (CIT): prevede l’inclusione di tutti i redditi nella base imponibile sottoposta a tassazione progressiva;
  2. Dual Income Taxation (DIT): prevede l’applicazione di un’imposta proporzionale su tutti i redditi da capitale, di solito coincidente con la prima aliquota di quella progressiva sui redditi da lavoro.

La situazione italiana ad oggi è riconducibile ad un modello PIT: Plural Income Taxation, per elevata frammentazione delle tipologie di reddito che sono sottoposte a diversi regimi sostitutivi quasi mai tra di loro correlati, con una molteplicità di trattamenti fiscali soggetti ad aliquota proporzionale, tutti differenti tra loro, accanto ad un’imposta progressiva sui redditi di lavoro e sulle pensioni.

Questa situazione è una delle principali fonti di incertezza e complessità del nostro sistema tributario, realizzando una natura sostanzialmente ibrida rispetto ai modelli teorici di imposizione sul reddito e alimentando asistematicità e precarietà del quadro complessivo, disuguaglianza, inefficienza, disincentivi al lavoro e ostacoli alla produzione.

La crescente estensione dei regimi di tassazione sostitutiva determina un carico fiscale diseguale tra le varie fonti di reddito, generando una violazione del principio di equità orizzontale e incidendo negativamente sulla capacità redistributiva dell’imposta, anche in considerazione della mancata applicazione a tali redditi delle addizionali comunali e regionali. Le deroghe ai principi di generalità e progressività dell’imposizione, dunque, non sono state “limitate nella maggior possibile misura”, come raccomandava la legge delega per la riforma tributaria del 1971, bensì estese in ogni direzione, inseguendo di volta in volta ragioni di tecnica impositiva, finalità di contrasto all’evasione, intendimenti agevolativi o di anticipazione del gettito, politiche di attrattività, obiettivi di canalizzazione del risparmio e altri ancora.

Le Commissioni concordano che il sistema di imposizione sul reddito dovrebbe evolvere verso un modello tendenzialmente duale, in cui il livello delle aliquote sui redditi da capitale (nonché degli regimi sostitutivi cedolari) sia sufficientemente prossimo all’aliquota applicata al primo scaglione Irpef. Tale impostazione non pregiudica ex-ante i regimi cedolari esistenti la cui aliquota sia attualmente inferiore al livello della prima aliquota Irpef nel nuovo regime, in quanto sono possibili interventi perequativi in relazione alla determinazione della base imponibile tali per cui l’imposta netta rimane costante.

Tax Re-design Irpef

La Commissione concorda che la struttura dell’Irpef vada sostanzialmente ridefinita, in accordo con i richiamati obiettivi generali di semplificazione e stimolo alla crescita, adottando in particolare i seguenti obiettivi specifici:

  1. l’abbassamento dell’aliquota media effettiva con particolare riferimento ai contribuenti nella fascia di reddito 28.000-55.000;
  2. la modifica della dinamica delle aliquote marginali effettive, eliminando le discontinuità più brusche.

Per quanto concerne le spese fiscali relative al consumo di particolari beni o servizi, la Commissione ritiene indispensabile che il disegno di legge delega contenga le necessarie premesse per una azione volta al raggiungimento dei seguenti obiettivi:

  1. una riduzione della loro numerosità;
  2. una semplificazione del sistema.

Le modalità attraverso cui raggiungere i sopra citati obiettivi sono così individuate:

  1. l’eliminazione di quelle spese fiscali il cui beneficio pro-capite medio (ovvero il numero di beneficiari) sia inferiore ad una soglia appositamente determinata;
  2. il passaggio (completo o parziale) del complesso delle agevolazioni sul lato delle uscite pubbliche, istituendo un meccanismo volontario di erogazione diretta del beneficio – a fronte del pagamento con strumenti tracciabili – con l’ausilio degli strumenti tecnologici a disposizione.

Addizionali locali

Oggi esiste la possibilità per le regioni e i comuni di applicare addizionali alla base imponibile dell’Irpef, scegliendo tra l’applicazione di un’aliquota proporzionale e l’utilizzo degli stessi scaglioni dell’imposta erariale, e tutto questo determina un’alterazione della struttura della progressività prevista a livello nazionale.

È raccomandato nel documento una trasformazione di entrambi gli strumenti tributari locali in sovraimposte – aventi quindi come base imponibile il debito di imposta erariale, e non la stessa base imponibile Irpef.

Regime forfettario per il lavoro autonomo

Il sistema fiscale italiano deve conservare un regime agevolato e semplificato per le piccolissime imprese ed i lavoratori autonomi a un livello di fatturato di 65.000 euro all’anno e aliquota proporzionale al 15%, tranne per i primi cinque anni ad aliquota al 5%.

L’attuale regime forfettario presenta, tuttavia, alcune criticità. In caso di superamento della soglia massima dei ricavi e compensi annuali per l’accesso e il mantenimento del regime agevolato il contribuente transita bruscamente, per l’anno successivo, al regime ordinario Irpef, con aggravio significativo in termini, sia di tassazione, sia di maggiori adempimenti. In conseguenza di ciò, l’attuale assetto del regime forfettario finisce con l’inibire la crescita dimensionale delle piccole imprese, il che contrasta con l’obiettivo fondamentale della riforma, vale a dire la promozione della crescita economica.

La Commissione, pertanto, ritiene utile l’introduzione di un meccanismo che non ostacoli la crescita di fatturato delle microimprese, dei professionisti, dei lavoratori autonomi, mediante l’introduzione di un regime transitorio che accompagni il contribuente verso la transizione al regime ordinario di tassazione IRPEF. Tale proposta deve essere accompagnata da una limitazione dei poteri di accertamento dell’Agenzia delle Entrate (ex articolo 39, 2° comma, del DPR n.600/1973) per il periodo di vigenza dell’opzione. Al termine del biennio agevolato, i contribuenti che hanno esercitato l’opzione, fuoriuscirebbero definitivamente dal regime forfettario.

Versamento delle imposte dirette nel lavoro autonomo

L’attuale sistema di versamento delle imposte dirette da parte dei lavoratori autonomi prevede il 30 giugno il versamento del saldo dell’anno precedente insieme al primo acconto dell’anno in corso e il 30 novembre il versamento del secondo acconto. La Commissione pensa che sia necessario istituire un meccanismo di rateizzazione opzionale, destinato alle persone fisiche, società di persone o di capitali ovvero associazioni tenute al versamento di saldo e acconto con riferimento alla dichiarazione dei redditi e alla dichiarazione dell’Imposta regionale sulle attività produttive.

La rateizzazione prevede il versamento del saldo e del primo acconto in sei rate mensili di uguale importo da luglio a dicembre dello stesso anno; inoltre, il versamento del secondo acconto o in un’unica soluzione entro il 31 gennaio dell’anno seguente o in sei rate mensili di pari importo da gennaio a giugno dell’anno seguente, ed i versamenti avverrebbero ovviamente senza l’applicazione di alcuna sanzione e/o interesse. La misura non ha impatti sulla finanza pubblica, in base alle prime indicazioni ricevute da Istat, in termini di indebitamento netto, inoltre tale misura sarebbe poi accompagnata dalla contestuale eliminazione o sostanziale riduzione della ritenuta d’acconto.

IRI – Imposta sul reddito di impresa

La non-neutralità tra società di persone e imprese individuali in contabilità ordinaria da una parte e società di capitali dall’altra, per quanto riguarda il trattamento fiscale degli utili non distribuiti è una delle criticità del sistema fiscale attuale. Infatti, per le società di capitali e le persone fisiche esercenti attività di impresa in contabilità ordinaria il rendimento ordinario del capitale investito, sotto forma di incrementi netti di capitale proprio, viene dedotto dalla base imponibile.

Il reddito di impresa che eccede il rendimento ordinario del capitale investito riceve invece un trattamento differente a seconda della forma giuridica scelta. Il prelievo fiscale sull’imprenditore individuale (o socio di una società di persone) dipende dall’aliquota marginale e quindi dal reddito complessivo Irpef. Sulla società di capitale, invece, insiste un prelievo proporzionale attualmente fissato al 24%. Tale trattamento differenziato è contrario alla crescita dimensionale delle realtà produttive più piccole e pertanto all’obiettivo di incremento del tasso di crescita dell’economia italiana.

Il documento raccomanda, quindi, la re-introduzione del regime opzionale IRI (imposta sul reddito di impresa, che comporta per le imprese individuali e le società di persone in contabilità ordinaria, la possibilità di optare per l’applicazione di un’aliquota proporzionale a condizione che l’utile prodotto sia re-investito in azienda, ferma restando la possibilità di dedurre dal reddito di impresa le somme prelevate dai soci per la distribuzione, a sua volta tassata ordinariamente in Irpef.

Tassazione dei redditi finanziari

Le decisioni relative alla tassazione dei redditi di natura finanziaria sono cruciali per la crescita economica di lungo periodo in quanto influiscono sulla combinazione rischio-rendimento di un investimento finanziario e sulle scelte di allocazione del risparmio – e quindi di formazione del capitale – da parte degli agenti economici. Queste tipologie di reddito sono – nella maggioranza dei casi – sottoposte ad un’aliquota sostitutiva proporzionale attualmente fissata al 26%.

Vi sono due fronti su cui è utile impostare una possibile linea di azione al fine di riordinare e razionalizzare il sistema e fornire un maggior stimolo alla crescita:

  • la creazione di un’unica categoria “redditi finanziari”;
  • l’unificazione del criterio e la modifica della tassazione della previdenza complementare.

La creazione di un’unica categoria “redditi finanziari”

Nel nostro ordinamento vige una distinzione – quella tra “redditi da capitale” e “redditi diversi di natura finanziaria” che non ha sostanziali motivazioni economiche legate alla diversa natura o funzione dei redditi. I redditi da capitale ricomprendono la remunerazione dell’impiego del risparmio, vale a dire interessi e dividendi. I redditi diversi di natura finanziaria ricomprendono le plusvalenze derivate dalla negoziazione delle attività finanziarie, nonché i prodotti derivati.

Mentre i redditi da capitale sono tassati al lordo (sia delle spese sia delle minusvalenze), i redditi diversi di natura finanziaria sono tassati al netto di entrambe le componenti (le minusvalenze eccedenti sono deducibili dalle plusvalenze entro i quattro periodi di imposta successivi a quello di realizzo). Questa situazione genera notevoli distorsioni che pregiudicano l’efficienza del mercato dei capitali e non sono coerenti con un’impostazione pro-crescita.

Inoltre, si corre il rischio di incentivare comportamenti elusivi, come l’utilizzo di derivati, per trasformare i redditi da capitale in plusvalenze, a cui il contribuente può applicare minusvalenze, pagando così meno tasse di quanto avrebbe altrimenti fatto. Infine, la situazione vigente incentiva implicitamente gli investimenti privi di rischio (quelli che proteggono il capitale da possibili minusvalenze ma che lo remunerano con un interesse modesto ma ragionevolmente sicuro), quando invece un’impostazione pro-crescita dovrebbe quantomeno essere neutrale rispetto a investimenti maggiormente in grado di convogliare il risparmio privato nell’economia reale.

Unificazione del criterio e la modifica della tassazione della previdenza complementare

Al momento il nostro ordinamento prevede tre diversi regimi per il trattamento fiscale dei redditi diversi di natura finanziaria:

  • il regime della dichiarazione: il contribuente applica direttamente l’imposta sostitutiva nella dichiarazione relativa al periodo di imposta in cui si è verificato il realizzo della plusvalenza;
  • il regime del risparmio amministrato: l’intermediario con cui il contribuente ha un rapporto stabile applica alla fonte l’imposta sostitutiva nel momento del realizzo delle plusvalenze;
  • il regime del risparmio gestito, destinato agli intermediari che prestano il servizio di gestione individuale di portafogli. Questo regime ha due particolarità:
  1. permette, a differenza degli altri, la compensazione con i redditi da capitale realizzati;
  2. determina la base imponibile sulla base del risultato maturato (e non realizzato), vale a dire la differenza tra il valore del patrimonio gestito al termine di ciascun anno solare e il valore dello stesso patrimonio all’inizio del medesimo anno.

È evidente, dunque, che tale situazione costituisce una disomogeneità piuttosto rilevante che rende più opaco il trattamento fiscale e rischia di distorcere le scelte di investimento, con potenziali conseguenze sull’allocazione del capitale, un fattore cruciale ai fini della crescita di lungo periodo.

Il passaggio dal criterio del maturato a quello del realizzato è un percorso che il legislatore ha condotto con estrema lentezza ma con costanza negli ultimi vent’anni. Dapprima il decreto legge n. 350 del 2001 e poi il decreto legge n. 225 del 2010 hanno gradualmente uniformato il sistema, che tuttavia presenta ancora elementi significativi valutati “per competenza” (maturato) anziché per cassa (realizzato). Oltre al risparmio gestito, ad esempio, vi è il regime previsto per la previdenza complementare. Al momento, infatti, i rendimenti degli investimenti finanziari relativi alle forme di previdenza complementare si uniformano al cosiddetto modello ETT:

  • esenti (parzialmente) nella fase di accumulazione (i contributi sono infatti deducibili entro il limite massimo annuale di 5.164,7 euro);
  • tassati nella fase di maturazione con una tassazione sostitutiva pari al 20%;
  • tassati nella fase di prestazione con un meccanismo molto complesso.

La Commissione concorda che, nel rispetto delle compatibilità finanziarie, sia importante considerare un pacchetto organico che includa i seguenti interventi:

  • l’accorpamento delle categorie “redditi da capitale” e “redditi diversi” in un’unica categoria denominata “redditi finanziari”, prevedendo contestualmente gli opportuni presidi per evitare elusioni attraverso la realizzazione strumentale di minusvalenze;
  • l’estensione al risparmio gestito del criterio di determinazione della base imponibile sulla base dei risultati realizzati;
  • l’applicazione alla previdenza complementare del modello che prevede l’esenzione dall’imposta sostitutiva sul risultato netto maturato, considerando al contempo la modifica del regime di tassazione per la fase di erogazione delle prestazioni.

Superamento dell’Irap

Nell’ottica di una semplificazione del sistema tributario, e all’interno di un complessivo quadro di riforma in cui valutare gli aspetti di redistribuzione del carico fiscale, la Commissione concorda sulla necessità di una riforma che porti al superamento dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive. Nel corso del tempo alcune scelte di politica economica o di natura macroeconomica hanno avvicinato notevolmente la base imponibile dell’Irap a quella di altre imposte (l’utile di bilancio per le imprese in contabilità ordinaria, il reddito da lavoro autonomo o d’impresa per le imprese in contabilità semplificata).

La Commissione raccomanda un riassorbimento del gettito Irap nei tributi attualmente esistenti, preservando la manovrabilità da parte degli enti territoriali e il livello di finanziamento del servizio sanitario nazionale, senza caricare di ulteriori oneri i redditi da lavoro dipendente e assimilati.

Semplificazione dell’Ires

La Commissione ha già espresso l’esigenza di avviare una complessiva opera di semplificazione dell’Imposta sul Reddito delle Società (IRES) al fine di avvicinare i criteri di redazione del bilancio ai fini fiscali a quelli del bilancio a fini civilistici. Nell’ambito della razionalizzazione della struttura del prelievo Ires, la Commissione ritiene sia importante concentrare tre tipologie di incentivi di particolare rilievo per la politica economica:

  1. gli incentivi a comportamenti in linea con la transizione ecologica;
  2. gli incentivi alle aggregazioni di realtà imprenditoriali di dimensioni minori;
  3. gli incentivi al re-investimento dell’utile in investimenti atti a migliorare la produttività a livello di azienda, nonché alle politiche aziendali tese alla creazione di posti di lavoro aggiuntivi.

Gli incentivi di cui sopra possono prendere la forma, alternativamente, di una riduzione dell’aliquota applicata o della base imponibile, e dovrebbero riassumere le altre tipologie di incentivo attualmente presenti, al fine di ottenere un quadro chiaro e semplificato dei comportamenti virtuosi che la politica economica intende incentivare. La Commissione raccomanda di estendere la platea dei contribuenti che possono accedere al regime di “adempimento cooperativo” (cooperative compliance), introdotto in Italia dal D.lgs. n. 128/2015, alle società con fatturato non inferiore ad un miliardo di euro.

Fisco per la transizione ecologica

La misura degli incentivi a comportamenti in linea con la transizione ecologica non può certamente esaurire gli interventi che la riforma fiscale prevede in merito alla promozione della transizione ecologica, essendo essa – assieme alla transizione digitale e al rafforzamento della competitività delle economie nazionali – al centro del programma Next Generation EU e, conseguentemente, del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. In particolare, la Commissione ritiene necessario considerare un pacchetto di misure che includa i seguenti interventi:

  1. il riordino, la semplificazione e la stabilizzazione delle misure per la riqualificazione energetica e antisismica degli edifici privati, al fine di fornire un quadro certo e chiaro alle famiglie e alle imprese, che comprenda la possibilità di cessione dei relativi crediti fiscali;
  2. il potenziamento degli incentivi per interventi di decarbonizzazione e riqualificazione ambientale e la progressiva riduzione dei sussidi dannosi per l’ambiente, evitando aggravi di costi per le imprese e vincolando le risorse risparmiate alla riduzione della pressione fiscale sulle famiglie e sulle imprese;
  3. un aumento del limite alla detraibilità dell’IVA (attualmente fissato al 40%) per tutti i veicoli a basse emissioni;
  4. la rimodulazione del regime di tassazione ambientale – a parità di gettito – in coerenza con le linee guida europee e gli obiettivi stabiliti dal Green Deal UE di progressiva riduzione fino all’azzeramento delle emissioni nette di CO2 prevedendo, al fine di evitare effetti regressivi per le persone fisiche e penalizzanti per le imprese, adeguati meccanismi di compensazione e premialità in grado di accompagnare famiglie e imprese nel processo di transizione ecologica.

Riforma fiscale PNRR e IVA

La Commissione ritiene opportuno che l’annunciato disegno di legge in materia fiscale contenga una specifica delega al Governo per la ridefinizione della disciplina Iva ai fini di una sua opportuna semplificazione e di possibile riduzione dell’aliquota ordinaria attualmente applicata.

Contrasto all’evasione 

La riforma fiscale deve cogliere l’occasione per innestare in modo deciso e irreversibile un cambio di paradigma nei rapporti tra amministrazione fiscale e contribuente. Lo Stato deve allontanare ogni tendenza a considerare il contribuente un “evasore che ancora non è stato scoperto” e al contempo rendere efficienti i propri comportamenti, non solo quelli relativi all’amministrazione finanziaria ma anche quelli inerenti l’utilizzo delle risorse pubbliche raccolte con la tassazione.

Questi, e non altri, possono essere i pilastri di un nuovo Patto Fiscale tra Stato e cittadini, che è stato a lungo evocato, a tratti accennato, ma non sempre perseguito come un obiettivo vero verso la cui realizzazione mobilitare tutte le energie disponibili. La Commissione ritiene che il perseguimento di tale strategia sia un processo di natura culturale ce travalica, e non di poco, i confini di un documento di indirizzo, e forse persino di ogni atto normativo. Tuttavia, vi sono alcuni elementi di merito di cui si raccomanda fortemente la considerazione, al fine di creare le condizioni per la costruzione – e mantenimento – del sopra citato Patto:

  • la “chiusura del perimetro” dell’obbligo di fatturazione elettronica, estendendolo a tutti i soggetti attualmente esentati e l’esclusione di possibili eccezioni all’obbligo di memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri (che sostituisce gli obblighi di registrazione dei corrispettivi). La Commissione ritiene infatti che la digitalizzazione del fisco sia stato lo strumento maggiormente efficace nel contrasto all’evasione fiscale, e supportano l’approccio strategico esplicitamente contenuto nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che vede nella digitalizzazione l’investimento più potenzialmente redditizio all’interno dell’Amministrazione Finanziaria, assieme a quello volto a dotarla delle competenze tecniche necessarie per metterlo adeguatamente a valore;
  • lo scambio tra digitalizzazione e riduzione degli adempimenti per i professionisti, imprese e intermediari deve essere un vincolo ineludibile e strutturale. A questo riguardo, andrebbe in particolare considerato attentamente il meccanismo del cosiddetto “reverse charge”, valutando attentamente il suo effettivo impatto sul recupero del gettito evaso;
  • ai fini del pieno dispiegamento dei benefici della digitalizzazione è necessario informatizzare e semplificare gli adempimenti fiscali, anche attraverso l’interoperabilità delle banche dati, nel rispetto del Regolamento (UE) n. 2016/679 (GDPR) sulla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonchè dell’art. 1 comma 683 della legge n.160/2019. Contestuale alla funzionale interoperabilità dei dati, come sopra delineata, è opportuno che, in sede di tutela del contribuente, sia comunque garantita allo stesso la conoscibilità di quelli in possesso dell’amministrazione finanziaria in un rapporto di parità e simmetria informativa, nonché la valorizzazione del contraddittorio in sede di accertamento quale presupposto indefettibile della validità dello stesso. In tale ottica si può valutare l’introduzione di una nuova norma di principio che imponga agli uffici dell’ente impositore l’obbligo di assolvere ad uno specifico onere motivazionale anche in relazione ai chiarimenti forniti dal contribuente, dando conto espressamente delle giustificazioni dallo stesso offerte e argomentando puntualmente sulla loro relativa fondatezza;
  • elemento fondamentale del nuovo Patto è un meccanismo strutturale di premialità per i contribuenti leali, che non ha avuto adeguata realizzazione, per citare solo un esempio, nel caso degli Indici Sintetici di Affidabilità Fiscale (ISA). La Commissione raccomanda meccanismi più cogenti, che includono la concessione di forme di certificazione del rispetto delle obbligazioni tributarie in base alle quali riconoscere in maniera automatica benefici quali, a titolo esemplificativo, riduzioni dei termini di controllo e accertamento e dei tempi di rimborso fiscale;
  • è auspicabile un intervento legislativo che punti a superare le residue forme ancora presenti di attività di controllo basate sulla ricostruzione presuntiva di reddito o ricavi (ad esempio: redditometro, indagini finanziarie su imprese, società non operative, accertamento analitico-induttivo) nei casi in cui l’utilizzo dei dati presenti nelle banche dati permettano una ricostruzione analitica dei ricavi o dei compensi e consentano di ricostruire puntualmente il reddito di imponibile delle persone fisiche e giuridiche. In tale ipotesi, va confermata la partecipazione del contribuente all’attività di controllo attraverso l’istituto del contraddittorio obbligatorio che oggi è previsto dall’art. 5-ter del d.lgs. 218 del 1997, disponendo che l’Ufficio motivi l’avviso di accertamento emesso con riferimento «ai chiarimenti forniti e ai documenti prodotti dal contribuente» e che fornisca la prova del maggior reddito ricostruito;
  • l’apparato sanzionatorio andrebbe opportunamente modulato distinguendo analiticamente i casi di omesso versamento per errore da quello di omesso versamento per comprovate condizioni di difficoltà economica e finanziaria;
  • l’attività di riscossione deve andare incontro ad una vera e propria “rivoluzione manageriale”, in grado di superare l’approccio meramente formale e virare verso una gestione del processo produttivo interamente concentrata su efficienza ed efficacia.

Molte novità sicuramente interessanti si affacciano alla discussione politica con l’auspicio che nel percorso legislativo i contenuti del disegno di legge di riforma fiscale possano essere migliorati e che, finalmente, il fisco italiano diventi più semplice sostenibile ed equo.

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