Gli Smart Contract, pur essendo ancora in una fase di sviluppo e consolidamento, rappresentano senza dubbio uno degli aspetti più innovativi e promettenti della tecnologia blockchain.
Dagli ambiti assicurativi alla proprietà intellettuale, gli smart contracts stanno entrando sempre più nel quotidiano, ma la sfida futura è quella di evolvere in “smart legal contracts”, integrando aspetti legali e tecnologici per una maggiore efficacia ed efficienza.
Cosa sono gli smart contract
I distributori automatici, in cui le monete vengono inserite nella macchinetta e, mediante un semplice meccanismo, quest’ultima eroga il resto e i prodotti, sono ritenuti dai più, prendendo in prestito sempre le parole di Szabo, “the primitive ancestor of smart contract”.
Oggi, tuttavia, gli smart contract vanno oltre i semplici distributori automatici. Sono infatti dei software che vengono utilizzati per automatizzare l’esecuzione di obbligazioni contrattuali e sono sviluppati con un apposito linguaggio di programmazione che ne permette il funzionamento.
Gli smart contract sono anche definiti event-driven software. Infatti, per poter essere eseguiti, necessitano di uno stimolo (c.d. trigger). Lo stimolo è rappresentato da un’informazione o da un evento, che può essere già “scritto” e quindi compreso nel codice oppure provenire dal mondo esterno.
Nel secondo caso, per poter essere eseguiti, gli smart contract hanno bisogno di dati provenienti da una realtà a loro estranea. Poiché questi software non possono interagire con una realtà che sta al di fuori e ottenere così le informazioni di cui hanno bisogno, è necessario l’intervento di un elemento esterno, il c.d. oracolo.
Gli oracoli sono dunque delle fonti di dati che forniscono sostegno per l’esecuzione dello smart contract.Possono essere basati su software (oracoli che estraggono informazioni da fonti online come database, server ecc.), hardware (oracoli che ottengono le informazioni dal mondo fisico, come scanner di codici a barre, sensori ecc.) o intermediari umani.
L’avvento della blockchain ha rappresentato un punto di svolta per gli smart contract. In particolare, la creazione della blockchain Ethereum nel 2015, progettata espressamente per sviluppare ed eseguire smart contract decentralizzati, ha dato origine ad un legame indissolubile tra queste due tecnologie.
La logica if-then
Gli smart contract operano sulla base di un codice informatico, che è ideato in modo tale da essere eseguito nel momento in cui si verifica una determinata condizione.
Alla base di questi strumenti vi è quindi la logica “if-then”, traducibile nella seguente istruzione: “se si verifica la condizone X, allora deve essere eseguita l’istruzione Y”. Detto in altro parole, secondo questo meccanismo, nel momento in cui si realizza/verifica una determinata condizione, che può essere automaticamente verificata mediante un codice oppure per il tramite di un oracolo, lo smart contract esegue l’obbligazione.
Affinché lo smart contract funzioni, la condizione che deve essere realizzata/soddisfatta così come l’obbligazione che viene poi eseguita successivamente al verificarsi della condizione devono essere predeterminate dalle parti. In altre parole, devono essere inserite in modo preciso e puntuale nel codice informatico alla base dello smart contract.
La “vita” degli smart contract
La “vita” degli smart contract può essere suddivisa in quattro fasi: i) redazione del codice, ii) trascrizione del codice, iii) attivazione dello smart contract e iv) disattivazione dello smart contract.
La prima fase consiste nella redazione del codice necessario per il funzionamento dello smart contract. Il codice non viene redatto in linguaggio “umano”, bensì in linguaggio informatico. Per questo motivo è spesso necessario l’intervento di un soggetto esperto, il c.d. redattore.
Il codice viene quindi trascritto in un blocco della blockchain. La c.d. “catena di blocchi”, ricordiamo, è per l’appunto un insieme di “blocchi” collegati tra loro in modo sicuro attraverso la crittografia. In ogni blocco viene infatti inserita un’impronta digitale crittografata (“hash”) del blocco precedente. Così facendo, per modificare un’informazione contenuta in un blocco è necessario modificare anche i blocchi precedenti.
Una volta trascritto nella blockchain, il codice diventa immutabile. Non è infatti più possibile modificarlo o alterarlo.
La terza fase consiste nell’attivazione dello smart contract. Nel momento in cui si verifica la condizione X (o una delle condizioni che erano state predeterminate dalle parti) il software si attiva ed esegue l’obbligazione per cui è stato progettato. Ovviamente, il verificarsi della condizione X può essere comunicato automaticamente dal codice oppure dall’oracolo.
Successivamente, lo smart contract si “disattiva” (quarta e ultima fase). Tuttavia, salvo il caso in cui sia stata prevista la funzione “kill”, lo smart contract non sparisce dalla blockchain, ma rimane nel blocco in cui era stato trascritto.
La natura giuridica degli smart contract
Dopo aver illustrato il funzionamento e le fasi di vita degli smart contract, è opportuno interrogarsi sulla natura giuridica degli stessi.
L’orientamento prevalente ritiene che gli smart contract non possano essere considerati dei contratti veri e propri (per quanto il loro nome sia fuorviante e induca a pensare il contrario).Le ragioni su cui si fonda questo orientamento sono molteplici.
Ad esempio, gli smart contract una volta trascritti nella blockchain diventano immutabili. Questa circostanza non permetterebbe di apportare modifiche successive o di tenere conto di eventi sopravvenuti (cosa che invece accade spesso nel caso dei contratti tradizionali).
Inoltre, lo schema di formazione del contratto non rispecchia quello del tradizionale contratto concluso online, in cui due parti si scambiano delle dichiarazioni, che vengono tradotte prima in linguaggio informatico e poi nuovamente in linguaggio umano. Nel caso degli smart contract, un esperto deve infatti tradurre le dichiarazioni delle parti in un linguaggio che sia intellegibile dalla blockchain.
Lo smart contract sembra quindi essere più vicino ad uno strumento di implementazione di un contratto già concluso tra le parti piuttosto che ad un contratto ex art. 1321 e ss. c.c..
Un’ulteriore conferma di quanto sopra si rinviene nel “Decreto Semplificazioni” (D.L. n. 135/2018). L’Italia (seconda solo a Malta in Unione Europea e tra i primi paesi al mondo), pur riconoscendo lo stato giuridico degli smart contract, li ha definiti “un programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse”, e non un contratto.
Sebbene ad oggi la dottrina prevalente e la legge propendano per escludere la natura contrattuale degli smart contract, non manca chi, al contrario, non rinvenga ragioni per escludere tout court una tale natura contrattuale degli smart contract. Ovviamente, per poter essere ritenuti contratti ex art. 1321 c.c., dovrebbero superare i profili di problematicità sollevati dagli esperti.
Definizioni di smart contract
Il termine smart contract è stato coniato per la prima volta dall’informatico, giurista e crittografo Nick Szabo nel 1994. Nel paper “Smart Contracts”, Szabo definiva gli smart contract “a computerized transaction protocol that executes the terms of a contract”, con l’obiettivo di “satisfy common contractual conditions (such as payment terms, liens, confidentiality, and even enforcement), minimize exceptions both malicious and accidental, and minimize the need for trusted intermediaries”.
Nel 1995, invece, li definiva come “A set of promises, including protocols within which the parties perform on the other promises. The protocols are usually implemented with programs on a computer network, or in other forms of digital electronics, thus these contracts are “smarter” than their paper-based ancestors. No use of artificial intelligence is implied”.
E ancora, nel 1996, Szabo proponeva una nuova definizione di smart contract: “a set of promises, specified in digital form, including protocols within which the parties perform on these promises”.
Al di là delle numerose definizioni che si sono susseguite negli anni, gli smart contract stanno indiscutibilmente rivoluzionando il panorama contrattuale. Codificati e autoeseguibili, gli smart contract aumentano l’efficienza e garantiscono sicurezza nelle transazioni. Vediamo cosa sono e come funzionano.
Alcuni esempi di smart contract
Ad oggi, i principali campi di applicazione degli smart contract sono il settore assicurativo, immobiliare, della proprietà intellettuale e finanziario.
In campo assicurativo, è stata per esempio ammessa la possibilità di ottenere il rimborso del biglietto aereo nel caso di ritardo del volo superiore ad una determinata soglia. Grazie agli smart contract l’acquirente potrà essere rimborsato immediatamente e automaticamente (obbligazione Y) nel momento in cui si verificherà la condizione X predeterminata (ovvero ritardo del volo superiore ad una soglia stabilita).
Nel campo della proprietà intellettuale, invece, gli smart contract vengono utilizzati, ad esempio, per la concessione di licenze dei diritti di Proprietà Intellettuale. Il funzionamento di questi smart contract rispecchia anche in questo la logica if-then: il mancato pagamento delle royalties stabilite dalle parti (condizione X) attiva lo smart contract facendo quindi venire meno la licenza del diritto di Proprietà Intellettuale (obbligazione Y).
Conclusioni
Gli smart contract, basati sulla logica condizionale “if-then”, stanno introducendo una nuova prospettiva in ambito contrattuale. Come abbiamo brevemente visto, le applicazioni attuali sono già numerose, dimostrando il potenziale di questi strumenti nei settori tradizionali.
Diversi paesi, tra cui l’Italia, hanno infatti riconosciuto, o stanno riconoscendo, il loro stato giuridico, per quanto la loro natura giuridica sia per certi aspetti ancora oggetto di discussione.
Resta infatti questa la sfida principale per gli smart contract: superare le criticità legate alla loro natura e vedersi riconosciuto lo status di contratti veri e propri, introducendo così negli ordinamenti la nuova categoria di “smart legal contract”.