la riflessione

Smart contract, ecco perché è importante conoscerne natura e forma

Il dibattito sull’utilizzo degli smart contract è acceso e ci si domanda quali siano pregi e limiti del loro impiego. Risulta quindi necessario analizzarne le caratteristiche più profonde, la loro vera natura

Pubblicato il 04 Feb 2020

Nicolino Gentile

avvocato - partner BLB Studio Legale - Ambassador Italia ELTA European Legal Technology Association

Silvano Lorusso

avvocato - partner BLB Studio Legale - Ambassador Italia ELTA European Legal Technology Association

Rodolfo Vacca

BLB Studio Legale

smart contract blockchain criptovalute

È la tecnologia a stimolare i nuovi bisogni o l’incedere di questi a chiedere soluzioni alla tecnologia? Parlando di smart contract (argomento d’attualità anche in relazione al loro legame con la blockchain), bisogna chiedersi quale sia la risposta alla domanda e domandarsi perché confrontarci con la possibilità che una macchina possa far qualcosa che il nostro pensiero associa all’agire umano, alle persone, al dialogo, allo scritto.

La macchina in questione è il computer: ne abbiamo tutti più di uno, nel mondo dell’internet of things, e con decine di essi al giorno ci relazioniamo continuamente, anche in modo inconsapevole, o meglio – con senso calzante rispetto al tema che ci occupa – automatico. Bene: se i computer sono ovunque e se – come è – gli smart contract sono programmi per elaboratore, allora questi, se non altro, potenzialmente, sono quanto di più attuale e prossimo. Non è quindi da trascurare la conoscenza di tale innovazione.

Le caratteristiche dello smart contract

Gli smart contract sono programmi per elaboratore che consentono, al ricorrere di determinati presupposti, l’ottenimento di determinati risultati; presupposti e risultati sono presi in considerazione dallo smart contract, ossia dall’automatismo che ontologicamente lo costituisce, alla pari, senza distinzione nell’importanza, e per il ciclo di vita che il compilatore dello smart contract e le parti che decidono di farne uso hanno ritenuto di voler disciplinare, tenere sotto controllo, seguire e conoscere. Lo smart contract va letto, usato e preso in esame esattamente come prenderemmo in esame un foglio di carta ed una penna, o una tastiera ed un file di videoscrittura blank o con un template precedentemente scritto e da completare; di più: così come prenderemmo in esame, per ciò che più semplicemente essa costituisce, la parola parlata, pronunciata ed ascoltata.

Questo, almeno a voler ragionare della natura più intima ed essenziale dello smart contract. Dopo aver acquisito tale consapevolezza, si dovrà passare a prendere nella debita considerazione il contenuto che lo smart contract dovrà avere, e per far ciò, così come per il foglio e la penna, il file di videoscrittura, il dialogo orale, chi ne farà uso dovrà conoscere, di esso, natura, forma e sostanza.

  • Natura: un elemento informatico, reattivo all’introduzione di dati.
  • Forma: un programma con le proprie automaticità, le proprie regole di funzionamento, adattabili all’uso ed allo scopo.
  • Sostanza: le informazioni da inserire nel modo previsto (in modo tale che possano essere comprese ed elaborate) al ricorrere delle quali il risultato che si ottiene è predeterminato.

Ed è su questi due ultimi aspetti che occorre soffermarsi: le regole di funzionamento e l’inserimento, in esse, nel modo previsto, del relativo contenuto.

Tre piani di analisi

La pratica della conclusione degli accordi, nel corso dei secoli, si è adattata alle prassi ed agli usi e si è modificata con l’introduzione dei nuovi strumenti, nonché parametrata sulle esigenze: se in uno o più contesti (storico, sociale, tecnologico, contenutistico) risulta normale pensare a – ed effettuare un – contratto esplicandone oralmente il contenuto degli accordi e sancendone con una stretta di mano la conclusione, ciò evidentemente non può valere per tutti i contesti.

Se l’esempio può risultare fin troppo semplicistico, esso serve tuttavia ad enucleare tre piani, tre elementi che, nell’esame del contratto in forma di smart contract vengono in rilievo. Il primo è la forma in cui avviene, tra le parti contraenti, lo scambio e la condivisione del merito del contratto: orale nell’esempio, cui si contrappone, nella maggior prassi economica, quella scritta. Il secondo è il modo in cui si conclude l’accordo: la stretta di mano nell’esempio, la sottoscrizione nei contratti scritti. Il terzo è il contenuto degli accordi presi. Ebbene, soffermandosi su tale aspetto, non può esser revocato in dubbio che il contenuto non possa essere correttamente recepito se non conforme alla forma attraverso cui viene veicolato: un contratto scritto richiede che si sappia adoperare la scrittura in modo adeguato, predisponendo il testo, ad esempio, per parti (si pensi alle premesse, alla parte dispositiva, alle firme, all’epigrafe con l’indicazione delle parti, all’uso delle definizioni), clausole (impostate secondo una successione logico-giuridica, composte, al loro interno, di dichiarazioni, sanzioni, conseguenze, declinando in ambito di scrittura giuridica ciò che attiene alla costruzione (e quindi all’analisi) del testo per il tramite delle analisi grammaticale, logica e del periodo.

L’importanza della conoscenza

Se quanto sopra scritto è vero, spostando il campo d’azione a quello degli smart contract, è parimenti vero che a chi ne faccia redazione ed uso debbano essere note le tecniche di predisposizione degli elementi che li compongono: gli elementi informatici (i comandi in codice) in luogo delle parole e le regole di relazione tra detti elementi, le quali, correttamente utilizzate, fanno sì che si giunga al significato atteso (in maniera analoga a quanto avviene per lo scritto ed il parlato realizzati per il tramite del linguaggio naturale umano). Vi è però una sostanziale differenza, tra il linguaggio naturale e quelli informatico: il secondo non consente l’interpretazione del senso per giungere al significato ma, diversamente, realizza un risultato univoco al predeterminarsi di univoche relazioni tra gli elementi che compongono i comandi. In altri termini, mentre in un contratto scritto o orale, ossia in quella congerie di elementi e sfumature data dalle parole che soggetti diversi, con una presunta unità di intenti, pronunciano, scrivono, leggono e si impegnano a perseguire, in un contratto automatico (dicevamo all’inizio di questo scritto che è sull’automatismo che va posto l’accento) tutto ciò non è possibile: si giunge direttamente alla fine del percorso, ossia all’avvenuto perseguimento di quanto previsto. Questo “salto” elimina ogni aspetto cui siamo abituati a pensare quando – forse più da pratici e tecnici della legge e del diritto che da utilizzatori dei contratti quali parti contraenti – ci troviamo dinanzi, appunto, ad un contratto: quali sono le vicende del contratto, quale l’interpretazione da operare sul suo contenuto e sulle sue circostanze, quali le intenzioni, quale lo scopo, la meritevolezza, i rimedi?

Ebbene, quanto è vero che il “salto” c’è, ed è proprio dell’automatismo che costituisce lo smart contract, è vero anche che l’automatismo è frutto della predisposizione di ciò che necessariamente deve sottendere ad esso, ossia esattamente lo scopo, l’oggetto, le intenzioni, le condizioni ed i termini cui le parti vogliono affidare la regolazione dei propri affari. La particolarità, però, sta nel fatto che, così come per scrivere un buon contratto scritto “tradizionale” che sia il più possibile lineare rispetto alle previsioni, ancor prima ai desiderata, delle parti, occorre padroneggiare, accanto ed insieme alle norme, il linguaggio e le tecniche redazionali, altrettanto è necessario possedere, come tecniche, quando ci si appresta a predisporre un contesto il cui specchio sia non solo e non più un documento testuale ma, ancora e definitivamente, in maniera determinante e prevalente, un eseguibile informatico.

Conclusione

Il lavoro più avvincente è quello di individuare parallelismi, relazioni e specularità tra scritto giuridico in linguaggio naturale e scritto giuridico in codice eseguibile. Questo, com’è evidente, porta con sé esigenze, di contorno e non, del tutto sue proprie: tecniche espressive, metodologie mutuabili da altre discipline, matematiche o linguistiche su tutte, conoscenza dei processi informatici sottesi al funzionamento della nuova forma da plasmare per affidare l’accordo di cui è scritto all’art. 1321 del codice civile.

È così che il giurista di oggi non può prescindere dal conoscere, e dall’usare, lo smart contract. Se non altro per non lasciare all’automatismo il ruolo che, invero, non gli appartiene affatto: effettuare scelte consapevoli. Nous e technè sono complementari, ma diverse. Il progresso della tecnologia ha spostato l’attenzione verso la technè, dotandola, in forza dei suoi grandi risultati e per comprensibile “infatuazione”, di caratteri che, per quanto ottimamente imitati dall’umano e senz’altro portati a livelli di calcolo immensi, non consentono – quantomeno ancora – altro se non l’elaborazione di dati, e non, invece, il ragionamento ozioso, che rimane il fulcro di ogni processo creativo e strategico, anche nel lavoro legale.

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