L’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito al trattamento fiscale e previdenziale del valore dei buoni pasto percepiti dai lavoratori in smart working. In particolare, l’autorità fiscale si è espressa favorevolmente circa la possibilità di applicare il regime di esenzione previsto per i buoni pasto anche nei confronti dei dipendenti che si trovino a lavorare da remoto. I chiarimenti sono stati espressi con la risposta ad interpello numero 123 del 22 febbraio 2021.
Il quesito oggetto dell’interpello
Un ente bilaterale ha presentato un’istanza di interpello nei confronti dell’Agenzia delle Entrate al fine di chiarire se, ai fini dell’applicazione delle imposte dirette, il servizio sostitutivo di mensa mediante buoni pasto erogato in favore dei propri lavoratori, che si trovano a lavorare in modalità agile, non concorra alla formazione del reddito di lavoro dipendente, ai sensi dell’articolo 51, comma 2, lettera c), del TUIR.
L’ente ha, infatti, fatto un ricorso generalizzato allo smart working in conseguenza della corrente situazione pandemica e alle nuove esigenze legate al contenimento dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 che hanno spinto il legislatore ad incentivare tale modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, nell’intento di arginare la diffusione del virus e limitare i contagi all’interno delle realtà lavorative ed aziendali.
Conseguentemente, l’ente ha chiesto all’Agenzia delle Entrate se, in qualità di sostituto di imposta, non sia tenuto “ad operare la ritenuta a titolo d’acconto IRPEF sul valore del servizio sostitutivo di mensa mediante buoni pasto che viene assicurato ai propri lavoratori dipendenti che svolgono la prestazione di lavoro in modalità smart working”, ai sensi dell’articolo 23 del D.P.R. n. 600/1973.
La soluzione interpretativa proposta dall’istante
L’istante, nella soluzione interpretativa prospettata nell’interpello, fa anzitutto presente che, ai fini contributivi, l’articolo 6, comma 3, del Decreto-legge n. 333/1992 “esclude che i buoni pasto rappresentino una parte della retribuzione del lavoratore, salvo che gli accordi ed i contratti collettivi, anche aziendali, dispongano diversamente”. In particolare, in mancanza di una specifica previsione contrattuale che inquadri i buoni pasto tra gli elementi della retribuzione, l’istante ritiene che, “indipendentemente dalle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa (in presenza o in smart working), ai fini delle imposte dirette, i buoni pasto rientrino tra i servizi sostitutivi di mensa, parzialmente esenti dalla formazione del reddito di lavoro dipendente ai sensi dell’articolo 51, comma 2, lettera c), del TUIR”.
In definitiva, l’istante prospetta come, per i periodi in cui è stato stabilito per i propri dipendenti il lavoro in smart working, “sui buoni pasto assegnati non debba operare la ritenuta a titolo d’acconto Irpef”.
Smart working e buoni pasto, cosa dice l’Agenzia delle Entrate
L’Agenzia delle Entrate, nella propria risposta, premette che, in deroga al principio di onnicomprensività che disciplina il reddito di lavoro dipendente, l’articolo 51, comma 2, lettera c), del TUIR prevede che non concorrono alla formazione del reddito del lavoratore dipendente “le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro nonché quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi; le prestazioni sostitutive delle somministrazioni di vitto fino all’importo complessivo giornaliero di euro 4, aumentato a euro 8 nel caso in cui le stesse siano rese in forma elettronica; le indennità sostitutive delle somministrazioni di vitto corrisposte agli addetti ai cantieri edili, ad altre strutture lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive ubicate in zone dove manchino strutture o servizi di ristorazione fino all’importo complessivo giornaliero di euro 5,29”.
La ratio sottesa a tale regime fiscale di favore è ispirata dalla volontà del legislatore di detassare le erogazioni ai dipendenti che si ricollegano alla necessità del datore di lavoro di “provvedere alle esigenze alimentari del personale che durante l’orario di lavoro deve consumare il pasto”. L’autorità fiscale prosegue nella disamina della norma e della relativa prassi, evidenziando come l’articolo 4 del decreto del Ministero dello Sviluppo Economico n. 122/2017 preveda, in merito ai buoni pasto, quanto segue:
- consentono al titolare di ricevere un servizio sostitutivo di mensa di importo pari al valore facciale del buono pasto;
- consentono all’esercizio convenzionato di provare documentalmente l’avvenuta prestazione nei confronti delle società di emissione;
- sono utilizzati esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato, a tempo pieno o parziale, anche qualora l’orario di lavoro non preveda una pausa per il pasto, nonché dai soggetti che hanno instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato; non sono cedibili, né cumulabili oltre il limite di otto buoni, né commercializzabili o convertibili in denaro e sono utilizzabili solo dal titolare;
- sono utilizzabili esclusivamente per l’intero valore facciale.
La previsione contenuta nel citato decreto ministeriale, di fatto, “tiene conto della circostanza che la realtà lavorativa è sempre più caratterizzata da forme di lavoro flessibili” e, in merito, viene rilevato come al contempo, la normativa fiscale non preveda “una definizione delle prestazioni sostitutive di mensa, limitandosi a prevederne la non concorrenza al reddito nei limiti descritti”.
Considerata, per di più, l’assenza di disposizioni che limitano l’erogazione, da parte del datore di lavoro, dei buoni pasto in favore dei propri dipendenti, l’Agenzia delle Entrate conferma come per tali prestazioni sostitutive del servizio di mensa trovi applicazione il regime di parziale imponibilità prevista dalla lettera c) del comma 2 dell’articolo 51 del TUIR, indipendentemente dall’articolazione dell’orario di lavoro e dalle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.
Conclusioni
Con riferimento al caso in esame, l’Agenzia delle Entrate ha pertanto ritenuto che i buoni pasto erogati ai dipendenti – a prescindere dalle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa – non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente, nei limiti e ai sensi dell’articolo 51, comma 2, lettera c), del TUIR. In conformità a tutto quanto precede, i datori di lavoro non saranno tenuti “ad operare anche nei confronti dei lavoratori in smart working, la ritenuta a titolo di acconto Irpef, prevista dall’articolo 23 del D.P.R. n. 60/1973, sul valore dei buoni pasto fino a euro 4, se cartacei, ovvero euro 8, se elettronici”.