Nella prassi di questi ultimi mesi, in cui lo smart working si è particolarmente diffuso a causa della pandemia da coronavirus, la gran parte delle aziende ha fornito i principali strumenti in comodato d’uso e in alcuni casi ha ristorato i lavoratori che hanno dovuto sfruttare la propria linea telefonica privata per la necessaria connessione ad Internet.
Sono conseguentemente nati dubbi in merito alla rilevanza di tali rimborsi ai fini della determinazione del reddito di lavoro dipendente e in merito al relativo regime di deducibilità ai fini del reddito d’impresa.
Con le risposte ad istanze di interpello n. 328 dell’11 maggio 2021 e n. 371 del 24 maggio 2021 l’Agenzia Entrate ha fornito alcuni chiarimenti.
Smart working, la normativa di riferimento
Lo smart working è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro. È una modalità nata per aiutare il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività ma che negli ultimi tempi ha assunto un significato ben diverso a seguito delle limitazioni agli spostamenti ed agli assembramenti imposti dalla pandemia Covid-19.
Smart working e transizione ecologica: cos’è e come funziona “l’opzione smart”
La definizione di smart working, contenuta nella Legge n. 81/2017, pone l’accento sulla flessibilità organizzativa, sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto e sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale. La legge assicura parità di trattamento economico e normativo rispetto alle prestazioni di lavoro rese con modalità ordinarie, nonché la tutela in caso di infortuni e malattie professionali, secondo le modalità illustrate dall’INAIL nella Circolare n. 48/2017.
Non obbliga però il datore di lavoro a fornire ai dipendenti gli strumenti (computer, tablet, smartphone, stampanti, scanner e altri strumenti di lavoro) e i servizi (accesso ad Internet in primis) necessari per espletare le mansioni in smart working. Tutto viene rimesso ad una scelta discrezionale e ad un accordo individuale tra i soggetti coinvolti.
Rimborso connessione smart working, cosa dice l’Agenzia delle entrate
La prima risposta riguardava l’istanza di una società che intendeva pattuire, tramite appositi accordi individuali con il personale che svolge in via esclusiva da remoto l’attività lavorativa, un rimborso determinato forfettariamente in misura pari al 30% dei consumi effettivi addebitati al dipendente nelle fatture periodiche emesse a suo nome o a nome del coniuge convivente, delle spese documentate per il costo della connessione ad internet e per l’utilizzo della corrente elettrica, dell’aria condizionata o del riscaldamento.
L’Agenzia Entrate ha risposto precisando che un rimborso determinato sulla base di un criterio forfetario, non supportato da elementi e parametri oggettivi, non possa essere escluso, in assenza di una precisa disposizione di legge al riguardo, dalla determinazione del reddito di lavoro dipendente. Conseguentemente gli importi rimborsati dovranno concorrere alla formazione del reddito di lavoro dipendente ai sensi dell’articolo 51, comma 1, del TUIR (da assoggettare, quindi, a ritenute fiscali, previdenziali ed assistenziali).
A lezione di trasformazione digitale dai monasteri benedettini
La seconda risposta riguardava l’istanza di una società che intendeva avviare un programma sperimentale di lavoro agile, rimborsando a ciascun lavoratore dipendente il costo della connessione internet con dispositivo mobile (c.d. “chiavetta internet”) o dell’abbonamento al servizio dati domestico.
Anche in questo caso, l’Agenzia Entrate ha evidenziato che in questa fattispecie il rimborso da parte del datore di lavoro non sarebbe relativo al solo costo riferibile all’esclusivo interesse del datore di lavoro, dal momento che rimborserebbe tutte le spese sostenute dal lavoratore per l’attivazione e per i canoni di abbonamento al servizio di connessione dati internet. L’Agenzia rileva inoltre che la relazione tra l’utilizzo della connessione internet e l’interesse del datore di lavoro sarebbe “dubbio” in quanto il contratto relativo al traffico dati non sarebbe scelto e stipulato dal datore di lavoro che, limitandosi a rimborsarne i costi, rimarrebbe estraneo al rapporto negoziale instaurato con il gestore.
Rimborso connessione smart working e reddito di lavoro dipendente
Ne deriva che, secondo l’Agenzia Entrate, il costo relativo al traffico dati che la società intende rimborsare al dipendente, non essendo supportato da elementi e parametri oggettivi e documentati, non sembra poter essere escluso dalla determinazione del reddito di lavoro dipendente e, conseguentemente, rileverà fiscalmente nei confronti dei dipendenti ai sensi dell’articolo 51, comma 1, del TUIR.
Infine, con riferimento ai profili IRES, e quindi alla deduzione dal reddito del datore di lavoro delle somme rimborsate ai lavoratori in smart working, la risposta 371 del 24 maggio 2021 conferma che il rimborso spese sostenuto per soddisfare un’esigenza del dipendente, legata però alle modalità di prestazione dell’attività in lavoro agile, è da considerarsi deducibile, ai sensi dell’articolo 95, comma 1, del TUIR in quanto assimilabili alle Spese per prestazioni di lavoro.
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Si ringrazia Meli e associati.