Nonostante i proclami favorevoli ad un rientro al “lavoro ordinario in presenza” per porre fine allo smart working, l’esperienza di quasi due anni è servita a spingere definitivamente la digitalizzazione, dalla quale il lavoro agile e comunque un diverso modo di organizzare il lavoro non potrà non essere conseguenza continua ed inarrestabile.
La differenza vera tra quel che accadeva prima della pandemia e di questo post pandemia, della quale tuttavia non ci siamo ancora liberati de tutto, sta in due elementi fondamentali: da una parte l’avvio e la parziale messa a regime della digitalizzazione, dall’altra la consapevolezza che determinati lavori o fasi dei lavori possano essere organizzati senza uno stretto legame tra mansioni e compiti svolti e luogo e orario di resa. Questo processo appare del tutto irreversibile e connaturato agli effetti della digitalizzazione, specie se si capisca una volta e per sempre che il suo scopo non è metaforizzare su piattaforme telematiche e sulla rete la medesima organizzazione operativa “analogica”, ma concepire il lavoro con modalità del tutto differenti.
Procurement digitale, gli impatti
Fermiamoci un attimo ad esaminare quel che è accaduto con la definitiva digitalizzazione delle procedure di gara, imposte dalle direttive Ue. Abbiamo appreso che sono possibili (e doverose) forme di scambio di comunicazioni di documenti attraverso la loro collocazione in una piattaforma ad accesso condiviso, ovviamente preceduto da autenticazione degli utenti; abbiamo visto che è possibile scandire i tempi, fissare scadenze, controllarne l’andamento, gestirle mediante avvisi, nella medesima piattaforma; che, soprattutto, è possibile interagire a distanza, meglio dire in un non-luogo fisico, bensì un luogo virtuale tra più soggetti, che permette anche la gestione della stessa fase di gara.
Manca solo ancora un aspetto, in questa telematizzazione delle gare: la sottoscrizione dei contratti in forma pubblica amministrativa da remoto. E se ancora per siglare contratti in forma pubblica amministrativa alla “presenza” dell’ufficiale rogante tale “presenza” viene tuttora concepita come fisica condivisione di un medesimo spazio nel medesimo tempo, è perché ancora non è maturata la consapevolezza che la digitalizzazione, quella vera, dematerializza lo spazio e, dunque le distanze.
Gli obiettivi e le norme
Gli scopi principali della digitalizzazione sono tutti descritti dal d.lgs 82/2005, norma che è rimasta dormiente per lunghissimo tempo e rilanciata appunto nel 2020 in occasione della pandemia, ma i principali sono riassunti in due norme semplici e brevi:
- tre commi dell’articolo 1 della legge 190/2012, nota come legge anticorruzione, che riportiamo di seguito:
“28. Le amministrazioni provvedono altresì al monitoraggio periodico del rispetto dei tempi procedimentali attraverso la tempestiva eliminazione delle anomalie. I risultati del monitoraggio sono consultabili nel sito web istituzionale di ciascuna amministrazione.
29. Ogni amministrazione pubblica rende noto, tramite il proprio sito web istituzionale, almeno un indirizzo di posta elettronica certificata cui il cittadino possa rivolgersi per trasmettere istanze ai sensi dell’articolo 38 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e successive modificazioni, e ricevere informazioni circa i provvedimenti e i procedimenti amministrativi che lo riguardano.
30. Le amministrazioni, nel rispetto della disciplina del diritto di accesso ai documenti amministrativi di cui al capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, in materia di procedimento amministrativo, hanno l’obbligo di rendere accessibili in ogni momento agli interessati, tramite strumenti di identificazione informatica di cui all’articolo 65, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, le informazioni relative ai provvedimenti e ai procedimenti amministrativi che li riguardano, ivi comprese quelle relative allo stato della procedura, ai relativi tempi e allo specifico ufficio competente in ogni singola fase”;
Se il monitoraggio dei tempi va reso pubblico sul web, non si possono che attivare procedure digitali di gestione; se occorre permettere ai cittadini di rivolgere istanze mediante sistemi telematici, la pec è solo un ibrido, molto meglio piattaforme di notifica; se c’è l’obbligo di rendere in ogni momento accessibili i documenti agli interessati, occorre gestire i procedimenti su applicativi cui agganciarsi dalla rete, a loro volta da gestire in via digitale; - l’articolo 9, comma 2, del dPR 62/2013: “La tracciabilità dei processi decisionali adottati dai dipendenti deve essere, in tutti i casi, garantita attraverso un adeguato supporto documentale, che consenta in ogni momento la replicabilità”. Tracciare, controllare, risalire a chi ha trattato materialmente le fasi e svolto compiti nell’ambito di processi decisionali è realmente possibile solo con la vera digitalizzazione.
Ora, è evidente che la realizzazione di questi pochi e chiari obiettivi impone necessariamente un approccio operativo totalmente nuovo e diverso, la cui ricaduta finale non potrà che essere lo smart working. È già evidente: piattaforme di notifica, strumenti di gestione delle attività digitali, possibilità di tracciamento interno ed esterno di decisioni e processi operativi non richiedono né la loro lavorazione in un medesimo luogo fisico, né l’accesso a dati analogici conservati sempre in un unico deposito tangibile.
Perché bisogna rivoluzionare il sistema
La concezione delle attività come presentata dal Cad e dalle due norme ricordate prima sono necessariamente alla base di un sistema organizzativo da ripensare, se non già ripensato, in un’ottica di digitalizzazione e remotizzazione del lavoro e dei dati che, attenzione, attribuisce benefici in primis ai cittadini e solo in secondo luogo ed incidentalmente ai dipendenti della PA.
Per questo è sbagliato l’approccio che pare il Governo e l’Aran stessa intendano dare alla disciplina dello smart working, alla quale si sta mettendo mano in questi giorni, con un ritorno alla concezione di questa forma organizzativa come di uno strumento essenzialmente di welfare, un modo per conciliare vita lavorativa e vita familiare dei dipendenti: nulla di più lontano dalla vera e concreta utilità del lavoro agile.
Del resto, proprio le bozze del Ccnl del comparto Funzioni Locali svelano che in realtà il lavoro agile è causa ma anche effetto della riorganizzazione resa comunque necessaria dalla norme ricordate sopra. Infatti, si definisce il lavoro agile “una delle possibili modalità di effettuazione della prestazione lavorativa per processi e attività di lavoro”, posta in essere “con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro”.
Il salto di qualità vero lo si compirà quando, inevitabilmente, per le funzioni che davvero si prestano all’organizzazione per processi e attività e, dunque, mediante fasi e cicli, con obiettivi chiari, si capirà esattamente il significato della premessa maggiore: lavorare per processi. Se si considera il processo lavorativo equivalente o sinonimo del procedimento amministrativo non si va da nessuna parte e anche la digitalizzazione resterà solo metafora elettronica dell’analogico.
Digitalizzazione di processi amministrativi e produttivi
Il procedimento amministrativo è strutturato in modo che per ciascun singolo caso sia guidata in qualche misura una certa serie di attività, che lascino di volta in volta al decisore finale la discrezionalità di decidere, purché renda evidente la ragione della singola specifica decisione. Un processo produttivo è tutt’altra cosa: si basa sulla predeterminazione di modalità operative, tali da portare sempre e necessariamente ad un risultato già determinato. In questo caso, il ruolo del “decisore” cambia: non è il dirigente, ma colui che realizza in modo corretto il processo, che lo porta necessariamente a quella soluzione. Il dirigente non necessariamente deve essere più un decisore, bensì chi analizza in termini generali i “prodotti” realizzati dall’organizzazione ed organizza le varie modalità da seguire per giungere alle soluzioni predeterminate.
La funzione dirigenziale non è più quella di concludere un procedimento, ma di analizzare i “prodotti” o le soluzioni, le dotazioni organizzative ed i mezzi, producendo manuali operativi, standard gestionali e metodi, che conducano alla decisione predeterminata, solo che il soggetto agente scelga la corretta modalità operativa. In effetti, nel sistema produttivo un “processo” altro non è che un insieme preordinato (non più necessariamente organizzato a catena di attività successive) di azioni svolte da una serie di soggetti, che porta alla realizzazione di un unico prodotto: un bene, ma anche un servizio, come una certa polizza assicurativa, un prestito, un’intermediazione.
Il caso Inps
Non è un caso che l’attuale Ministro della Funzione Pubblica critichi lo smart working diffuso in tutte le PA, evidenziando che esso in effetti ha funzionato bene in particolare in un ente come l’Inps. E non è un caso, semplicemente perché l’Inps ha quasi integralmente organizzato la propria attività per processi esattamente come descritto sopra. Infatti, nella sostanza l’Inps non eroga più la gran parte delle proprie prestazioni “allo sportello” da ben prima del Covid. Il portale dell’Istituto, con i suoi applicativi, e la rete degli intermediari, patronati, Caf e professionisti, consente di negoziare le prestazioni sempre e solo da remoto; gli uffici interni all’attivazione di un’istanza di prestazione attivano la corretta leva informatica, per gestire il processo che porta necessariamente alla decisione preordinata.
Verso la standardizzazione delle attività
L’organizzazione per processi consente davvero la standardizzazione delle attività, la definizione dei tempi intermedi e complessivi, la loro assegnazione quale compito preciso, obiettivi complessivi, anch’essi intermedi e finali, dati all’organizzazione nel suo complesso e a ciascun singolo soggetto che svolge le attività, in connessione con gli specifici compiti ai quali è abilitato. Perché abbiamo sopra specificato che tutto ciò è di per sé già smart working e la ricaduta benefica riguarda soprattutto i cittadini? Perché è il cittadino a poter navigare sul portale dell’Inps in ogni momento e, se dotato delle necessarie competenze informatiche, ottenere dal portale i servizi e le decisioni di competenza dell’ente e lo può fare quando è festa, la notte, il pomeriggio, in montagna o al mare. E laddove il cittadino non disponga delle necessarie competenze o del tempo, si può rivolgere ad una rete vastissima di soggetti intermediari, senza dover necessariamente raggiungere, quindi, la sede fisica dell’Inps, ma recandosi al Caf dietro casa o vicino l’ufficio.
Il cittadino, quindi, viene esentato dalla necessità di prendere e perdere il proprio tempo per recarsi “allo sportello” ed ivi fisicamente avviare una procedura che poi si concluda, come nel passato, col “ritiro” della carta. Quante sono le attività che la PA può rendere con questa logica, fatta propria comunque da molte amministrazioni e non certo solo dall’Inps? La risposta dipende dall’effettiva digitalizzazione. Questa non può che svelare l’idoneità delle attività ad essere riviste e ripensate secondo le logiche digitali indicate sopra. L’idea che la PA debba lavorare “allo sportello” e che quindi occorra la “presenza” è alla base degli errori di impostazione di quasi 15 anni e la prima barriera che ostacola smart working e digitalizzazione.
Conclusione
Se lo smart working, come è giusto che sia, potrà attivarsi solo per le attività che si prestino a tale forma organizzativa, la digitalizzazione non potrà che incrementare nel tempo, un tempo che potrebbe rivelarsi breve, proprio queste modalità organizzative. D’altra parte, l’incongruenza di un PNRR che prevede 50 miliardi di spesa per favorire la digitalizzazione e l’acquisizione di competenze digitali con una riforma dell’organizzazione della PA nuovamente fondata sul “lavoro allo sportello” è clamorosa. Investire ingentissime risorse nella digitalizzazione e pensare che la PA possa o addirittura debba ancora gestire le proprie competenze col contatto fisico dietro ad un bancone è fuori dal tempo. E proprio gli investimenti previsti, se andranno a buon fine, daranno allo smart working lo spazio che non potrà non avere.