La misura

Sostegni bis, le insidie del Contributo perequativo: ecco le zone d’ombra da chiarire

Il contributo a fondo perduto perequativo ha lo scopo di indennizzare le perdite subite in base al confronto tra gli esercizi 2019 e 2020: una novità utile alle imprese, ma con alcuni fronti critici rilevanti tra cui il requisito della presentazione anticipata dell’Unico

Pubblicato il 07 Set 2021

Barbara Maria Barreca

Dottore commercialista e Valutatore di impatto Sociale

Luca Benotto

Dottore Commercialista

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Il decreto Sostegni bis prevede un contributo a fondo perduto, denominato “perequativo”, finalizzato a indennizzare le perdite subite dai soggetti economici determinandole sulla base del raffronto tra gli esercizi 2020 e 2019. Si tratta certamente di una novità importante e benvenuta, che si pone l’obiettivo di superare il concetto di calo di fatturato su cui si sono concentrati, con effetti non sempre equi, la gran parte degli indennizzi sinora previsti dalla normativa emergenziale. Tuttavia, non possiamo non rilevare come il nuovo contributo presenti svariate zone d’ombra che ne limitano l’efficacia.

Il prerequisito: anticipata presentazione di Unico 2021

Il primo problema da segnalare è sicuramente l’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi entro l’anticipata scadenza del 10/9. Si tratta di una scadenza che per la maggioranza dei soggetti sarebbe impossibile da rispettare: non va dimenticato che la dichiarazione dei redditi non si limita a contenere le informazioni e i dati necessari a quantificare le imposte, ma anche tutta una serie di dati aggiuntivi richiesti dall’Amministrazione Finanziaria per gli obblighi di trasparenza in tema di contributi pubblici (inclusi i contributi Covid) e la determinazione delle posizioni da assoggettare a verifica o comunque per una serie di obblighi di legge di cui non sempre è chiara la finalità.

Questo rende frequentemente le dichiarazioni dei redditi autentici mostri da decine di pagine di dati magari non rilevanti dal punto di vista impositivo ma certamente da quello sanzionatorio. Sicuramente in quest’anno di straordinaria complessità compilativa, l’idea di anticipare la presentazione delle dichiarazioni al 10/9 non pare azzeccata.

Decreto Sostegni, come funziona il contributo a fondo perduto per imprese e professionisti

Negli ultimi giorni indiscrezioni riportano la possibilità che tale scadenza venga spostata al 30 settembre. A parte la non difficile previsione che tale notizia possa in effetti venir ufficializzata in una data compresa tra l’8 e il 15 settembre (sembra incredibile, ma in materia fiscale le proroghe postume sono la prassi e non l’eccezione), tale proroga sarebbe certamente la benvenuta e risolverebbe le difficoltà di alcuni operatori (ma sicuramente non di tutti). Certo che, visto che l’anticipo delle dichiarazioni 2021 serve esclusivamente per fornire al MEF il dato del risultato economico 2020, sarebbe probabilmente stato saggio prevedere che, in alternativa all’invio anticipato di un elefantiaco Unico 2021, si prevedesse la specifica comunicazione di un unico dato che invece è ragionevolmente per tutti già stato determinato.

I problemi per le società con esercizio non coincidente con l’anno solare

La norma prevede che il contributo sia determinato sulla base del “peggioramento del risultato economico d’esercizio relativo al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2020, rispetto a quello relativo al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019”. Le società con esercizio non coincidente con l’anno solare, nel caso più frequente quelle che chiudono l’esercizio il 30 giugno in quanto caratterizzate da attività stagionali, si trovano colpite da 2 distinti problemi che inficiano l’effettività del ristoro e rendono davvero arduo, se non impossibile, rispettare i requisiti della richiesta.

Le società che approvano il bilancio al 30 giugno, scelta non infrequente e spesso effettuata nel caso di attività stagionali, dovrebbero raffrontare il risultato economico derivante dal bilancio al 30 giugno 2021 (periodo in corso al 31/12/2020) con quello derivante dal bilancio al 30 giugno 2020. E’ evidente quindi che mentre i soggetti con periodo coincidente con l’anno solare raffrontano un anno normale (il 2019) con il primo anno di pandemia (il 2020), i soggetti con esercizio al 30 giugno raffrontano periodi entrambi colpiti dalla pandemia (luglio 2019 – giugno 2020 rispetto a luglio 2020 -giugno 2021); così facendo il raffronto tra i 2 risultati è chiaramente inadatto a quantificare il danno patito dalla pandemia, avendo come periodo di riferimento un esercizio che è stato duramente impattato dal primo lockdown di marzo 2020.

L’altro aspetto problematico è quello, in parte già visto, dell’anticipata presentazione di Unico 2021, qui però ulteriormente aggravato. La società che ha chiuso l’esercizio il 30 giugno 2021 approva tipicamente il bilancio tra ottobre e dicembre 2021 ed ha come termine di presentazione della relativa dichiarazione dei redditi entro il 31 maggio 2022. Ma se volesse richiedere il contributo essa sarebbe ugualmente tenuta a presentare tale dichiarazione entro il 10 (o forse 30) settembre, paradossalmente prima dell’approvazione del bilancio da parte dell’assemblea dei soci. Credo non si possa non considerare tale obbligo impossibile almeno da un punto di vista pratico.

Le considerazioni fatte si aggravano se pensiamo a società che chiudono l’esercizio il 30 settembre o anche più avanti: queste società sono letteralmente escluse dal contributo per espressa previsione normativa.

Contributo perequativo, la determinazione del ristoro

Oggi non è possibile sapere a quanto ammonterà il ristoro. La norma ci dice solo che il contributo sarà calcolato sulla base del “peggioramento del risultato economico d’esercizio”, ma la percentuale minima di peggioramento necessaria per averne titolo e la quota di calo che costituirà il contributo saranno comunicati da un successivo provvedimento del MEF che li determinerà sulla base dei dati ottenibili dalle dichiarazioni presentate entro i termini anticipati già illustrati. La stessa locuzione “risultato economico d’esercizio” non ha un chiaro riferimento alla normativa fiscale, sebbene appaia in quella civilistica (il secondo periodo dell’art. 2423 c.c. recita: “Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio.”).

Lo scorso 4 settembre l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato i campi delle dichiarazioni che, nella loro interpretazione, rappresentano suddetto risultato economico. Mentre per quanto riguarda i soggetti che redigono la contabilità ai soli fini fiscali (semplificati, forfettari, etc.) non vi sono state particolari sorprese, le prime ipotesi di molti operatori di settore erano che il dato avrebbe fatto riferimento al bilancio civilistico di esercizio, mentre l’Agenzia delle Entrate ha indicato che anche per i soggetti in contabilità ordinaria si dovrà fare riferimento al concetto di reddito fiscalmente rilevante.

Le implicazioni di tale scelta sono molteplici:

  1. Chi scrive ritiene che l’Agenzia delle Entrate abbia interpretato la norma in maniera a dir poco estensiva. Sostenere che il legislatore con la locuzione “risultato economico dell’esercizio” intendesse il reddito fiscalmente rilevante e non il risultato d’esercizio come previsto dal codice civile pare poco coerente con il dato letterale della norma e con il confronto di quanto previsto da codice civile e normativa fiscale.
  2. La determinazione fiscale del reddito segue regole diverse da quelle civilistiche previste per la determinazione del risultato dell’esercizio. I principi di prudenza e competenza enunciati dall’art. 2423-bis del codice civile spesso contrastano con le regole di determinazione dell’imponibile (si pensi, ad es. alla necessità di svalutare il magazzino per obsolescenza o alla valutazione dei crediti inesigibili). E’assai frequente che nel bilancio al 31 dicembre 2020 siano presenti costi di competenza che saranno fiscalmente deducibili in periodi successivi. È ragionevole stimare che per la maggioranza dei contribuenti l’utilizzo del calo dell’imponibile fiscale quale parametro per la determinazione del contributo ne sottostimi l’importo in maniera significativa, riducendo la capacità di indennizzare il danno effettivamente subito. Va anche detto che probabilmente l’utilizzo del risultato economico d’esercizio avrebbe lasciato aperta la porta a contestazioni in merito a poste valutative che, soprattutto nelle società più piccole, sono talvolta operate sulla base di stime degli amministratori non completamente oggettive ma basate anche su esperienza e conoscenza del mercato.
  3. L’ultima considerazione è quasi automatica: se il contributo sarà calcolato sulla base dell’imponibile fiscale delle annualità 2019 e 2020, i controlli futuri sull’effettiva spettanza del contributo non potranno che essere verifiche fiscali sulle annualità 2019 e 2020. Ne consegue che nelle verifiche che sicuramente verranno effettuate sulla effettiva spettanza del contributo, eventuali rilievi da parte del verificatore (Agenzia delle Entrate) saranno necessariamente rilevanti non solo ai fini della determinazione del contributo ma anche delle imposte sui redditi, dell’IRAP e dell’IVA per le 2 annualità esaminate.

Conclusioni

Come commercialisti, a stretto contatto con imprese e professionisti duramente impattati dalla pandemia, siamo fermamente convinti della necessità di un contributo che compensi le storture e le situazioni che i vari ristori non erano riusciti a compensare ragionevolmente. Il contributo perequativo nasce certamente con questo obiettivo ma in alcuni casi fallisce nel colpire nel segno, in particolare nelle attività stagionali. E’ però sicuramente possibile per il legislatore intervenire per assicurare maggiore equità nei sostegni ai settori più colpiti dallo stato di emergenza.

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