L’Italia ha enorme bisogno di una strategia per l’innovazione, che sia condivisa, promossa e supportata convintamente e senza divisioni dal Governo e dalle Istituzioni, altrimenti rischia di essere travolta dall’innovazione stessa; l’innovazione infatti, non si arresta per la mancanza di un “piano” o “strategia”. Ciò che viene a mancare è, semmai, la possibilità di governarla e metterla alla base di politiche pubbliche: senza una strategia governativa nota, precisa e convintamente perseguita l’innovazione “avviene” in maniera frammentata e non potrà mai divenire fattore politico di semplificazione e trasformazione della società e della Pubblica Amministrazione.
Partiamo, quindi, da un dato che è ormai assodato: se il Governo non adotta ora una chiara e convinta strategia, non rimessa in discussione ad ogni cambio di Governo, sarà inevitabile che alcune infrastrutture digitali che potevano (e dovevano) essere costruite in base a policy pubbliche, vengano progressivamente erose e sostituite da servizi privati, che si sovrappongono all’agire pubblico ed erodono le competenze della Pubblica Amministrazione, con una sorta di “perdita di sovranità” digitale del Governo e dello Stato che potrebbe non essere più recuperabile.
Strategia per l’Innovazione 2025, meriti e limiti
Ecco perché ho letto attentamente la Strategia per l’Innovazione 2025 presentata sul finire del 2019 dal Ministro Pisano e riflettuto su come essa si collochi nel complessivo riassetto della strategia per l’innovazione governativa, che vede ora terminare la fase del “commissariamento” con l’entrata in funzione del Dipartimento e il conseguente nuovo riparto di competenze tra Presidenza del Consiglio ed Agid.
Iniziamo proprio dal documento presentato dal Ministro per l’Innovazione.
È interessante analizzare nel merito il piano strategico, come meritoriamente già Agenda Digitale sta facendo da vari giorni lasciando da parte le poco comprensibili polemiche che ne hanno accompagnato il lancio, con il solo effetto di oscurare il dibattito sui contenuti e deviare l’attenzione del pubblico dai problemi da risolvere.
Ciò premesso, passiamo all’esame degli intenti e modalità d’azione attualmente sul tavolo.
Se una critica generale si può fare al documento presentato è che esso non sembra un documento di strategia quinquennale. Le misure che contiene sono, per la maggior parte, “reboot” di misure attuali, già in normativa e che devono trovare urgente attuazione. Viene difficile credere che il termine che si da il Governo per attuarle è il 2025.
Infatti, il tentativo di accelerare l’innovazione nelle politiche pubbliche viene perseguito, a fasi alterne, almeno dal 2008, anno in cui è stato introdotto il Codice dell’Amministrazione Digitale.
A partire dal 2012 (Governo Monti) c’è stata una prima impostazione strategica, con l’introduzione di alcune importanti infrastrutture e politiche poi – nella sostanza – perseguite anche dai Governi successivi: ANPR, fascicolo sanitario elettronico, domicilio digitale sono state introdotte in quegli anni e vederle incluse nella Strategia 2025 è l’ennesima riconferma di queste misure, ma anche la testimonianza che sinora nessun Governo è riuscito ad attuarle pienamente.
I Governi Letta, Renzi e Gentiloni cercarono infatti di evolvere e portare a compimento tali fondamentali infrastrutture digitali migliorando e potenziando l’originaria impostazione ed introducendo altresì – quale vera novità – l’identità digitale quale infrastruttura centrale della trasformazione della PA, da affiancare alla piattaforma PagoPA per i pagamenti elettronici della PA; essa avrebbero dovuto convergere attraverso le API di ciascuna Pubblica Amministrazione verso un’interfaccia unica del cittadino verso i servizi della PA – puntualmente normata nella riforma del CAD – allora denominata “Italia Login” ma mai effettivamente partita.
Il lavoro reso possibile dalla istituzione del Commissario Governativo e del Team Digitale ha consentito di aumentare e sistematizzare lo sforzo governativo verso l’attuazione delle politiche, creando una task force dedicata di coordinamento molto efficace, che è divenuta l’embrione del nuovo Dipartimento istituito presso la Presidenza del Consiglio.
In attesa dello switch-off
Con la Strategia 2025, mi sarei dunque aspettato il completamento di tale processo con una forte accelerazione verso l’attuazione delle politiche pubbliche del digitale, lo switch-off, che invece non ravviso.
La Strategia 2025 sembra infatti volere, ancora una volta, riprendere le fila delle politiche precedenti, senza una radicale “innovazione”. Essa in molti casi sembra voler portare a compimento con una pianificazione quinquennale i dossier aperti, rimanendo però generica rispetto ad obiettivi di switch off. Mi sarei atteso traguardi molto più ambiziosi.
Si tratta probabilmente di un eccessivo formalismo interpretativo di chi scrive. Probabilmente i fatti smentiranno questa iniziale perplessità. Basterebbe anche, sin dalla prima revisione, introdurre elementi di dettaglio circa le tempistiche attese per lo switch-off e elementi maggiori circa le misure di dettaglio previste nei vari ambiti.
Mi sarei però atteso anche segnali di un rinnovato clima nella manovra, con misure ambiziose e scadenze ravvicinate per raggiungere i traguardi della digitalizzazione, invece assenti.
Non depone bene in tal senso il rinvio della obbligatorietà dei pagamenti PagoPA contenuto nella manovra economica appena approvata dal Parlamento. Uno degli elementi fondanti (e dei segnali di “decisione”) del Governo sul punto della digitalizzazione, sembra venire progressivamente rinviato fornendo – indipendentemente dai motivi del rinvio – un alibi alle PA che non sono sinora riuscite ad aderire al sistema o non hanno portato in PagoPA tutti i servizi.
Poiché una grande parte della Strategia riguarda misure che – in linea teorica – avrebbero dovuto già essere in vigore al giorno d’oggi essa non si dovrebbe infatti transigere su un convinto e prossimo switch-off. L’Italia sembra sempre rimanere il Paese in cui, a differenza degli altri, si conserva la strada alternativa, al pagamento elettronico, al domicilio digitale, alle istanze telematiche, a qualsiasi forma di switch off (che non sia il digitale terrestre televisivo).
Vediamo nel dettaglio.
La Strategia è suddivisa in tre aree tematiche (denominate sfide).
La prima area è denominata “Sfida Società Digitale”, la seconda “Sfida Un Paese Innovativo” e la terza “Sfida Sviluppo Inclusivo e Sostenibile”.
Le sfide per la PA digitale
Le considerazioni che seguono, data l’ampiezza del documento e le dettagliate analisi già svolte, non saranno esaustive ma si concentreranno soprattutto sulla prima “sfida”, che è quella più attinente alle politiche della Pubblica Amministrazione Digitale sinora da me esaminate su queste pagine.
La prima sfida è infatti quella che si occupa dei temi di e-government propriamente detti, mentre le altre due riguardano condizioni di contesto e infrastrutturali per accelerare, facilitare e rendere sostenibile ed etica l’innovazione.
Essa annovera tra i suoi obiettivi appunto quello di “accelerare lo switch-off al digitale e il ridisegno dei processi di gestione ed erogazione dei servizi pubblici”.
Si apre con la re-istituzione (non è dato capire quando, come e dove, dato che quella esistente è stata abolita dalle ultime riforme CAD) di una “cabina di regia” per l’innovazione composta da “tutti” i Ministri e da enti e amministrazioni pubbliche (questi ultimi in qualità di osservatori) e da un Comitato per la Digitalizzazione del Paese (anche questo da capire con che forme e modi) al quale saranno invitati i rappresentati delle associazioni di categoria degli stakeholder privati.
Lo schema proposto sembra si verrà ad affiancare all’attuale governance (Ministro – Dipartimento) come era già avvenuto prima delle ultime riforme del CAD quando erano operative la “cabina di regia” istituita dal Governo Monti e il Tavolo permanente per l’Innovazione e l’Agenda Digitale della Presidenza del Consiglio, che aveva tra i suoi compiti quello di dialogare con gli stakeholders.
Tale schema fu superato dalla riforma 2016 del CAD in quanto farraginoso e poco efficace e ci si augura che l’idea del Ministro dell’Innovazione sia diversa dal mero “ritorno al passato”.
La Strategia al riguardo è molto sintetica e non ci sono elementi per comprenderlo. Sarà necessario che i neo-istituititi organi vengano dotati di specifici ed incisivi poteri (non solo consultivi) e si creino regole precise di coordinamento tra essi ed il Dipartimento (e l’Agid) per non ripetere gli insuccessi del passato ed evitare che si tratti, specie per quanto riguarda il Comitato, dell’ennesimo “tavolo” senza poteri e senza possibilità di incidere nella governance. Diversamente, si verrebbero a creare sovrapposizioni di competenze (specialmente tra Dipartimento e Cabina di Regia) e incertezze operative per gli stakeholders che non saprebbero sino a che punto un loro contributo al neoistituito tavolo sarebbe considerato nel complesso della governance.
Il “nodo” dell’identità digitale
Il secondo punto della prima sfida riguarda una riproposizione dell’identità digitale.
Il presupposto sembra essere che l’identità digitale SPID, così come ora, non ha funzionato per come è congegnata dal punto di vista normativo-economico.
Il modello attuale di SPID verrebbe così rivoluzionato e “statalizzato” (per così dire) affidandone la gestione e il rilascio allo Stato, tramite “una rete di soggetti pubblici e privati” e prevedendone la gratuità “come ogni altro documento”.
A questa affermazione si potrebbe obiettare che, per quel che consta, al momento, nessun documento è rilasciato gratuitamente dallo Stato perché vi sono costi per il rilascio della CIE, del passaporto, del duplicato codice fiscale, della patente, ecc., da sempre pagati e considerati normali e dunque non si vede perché il problema dello SPID sia nella sua “non gratuità”. Inoltre, i servizi documentali dello Stato raramente sono gratuiti, ad esempio la notifica si paga e qualsiasi istanza o certificazione, sconta “almeno” la marca da bollo.
La seconda è che il problema di SPID, come ho scritto più volte, non mi pare sia il fatto che viene rilasciato da privati (lo sarebbe anche nella nuova impostazione, forse sarebbero anche i medesimi che già lo rilasciano), quanto piuttosto la sostanziale inerzia dello Stato nell’adozione e promozione di tale sistema che viene adottato solo da alcune macro-amministrazioni e non diventa pervasivo perché non vi è nessuna sanzione per le Amministrazioni che non lo adottano.
Non diventando pervasivo per le PA, il cittadino non trova utile (anche per cattiva informazione) attivarlo: alla Pubblica Amministrazione online si accede infatti ancora con il buon vecchio “PIN” o “password” o con la CNS e si affaccia in questi mesi la possibilità di accesso tramite CIE (con una pericolosa confusione e concorrenza tra sistemi di identità statali). Quale sarebbe dunque l’utilità percepita di avere SPID? E quale la differenza se lo rilasciasse lo Stato?
Il vero problema di Spid
Vorrei fare un esempio del motivo per cui SPID non è diffuso e di dove si dovrebbe cambiare per diffonderlo rapidamente. Si tratta di un caso personale.
In questi giorni è arrivata a una mia parente una micro-cartella esattoriale di 30 euro per una vecchia questione. Le è stata recapitata una raccomandata contenente l’avviso di notifica il giorno della Vigila di Natale.
La parente suddetta si lamentava con me di dover andare a ritirare la raccomandata presso la casa comunale, aspettandosi poi di trovare un bollettino, che avrebbe dovuto pagare alle Poste.
Ho chiesto alla mia parente se avesse seguito il mio consiglio di attivare una SPID. La risposta è stata affermativa: attivato ma “mai usato”. Le ho allora mostrato come poteva andare sul sito dell’agente per la riscossione, entrare con SPID, accedere alla raccomandata e vederne il contenuto. Bene mi ha chiesto: “ma ora devo stampare e pagare alla Posta?”. “No – le ho detto – si paga online, si chiama PagoPA”, e mi ha chiesto ancora: “poi questa ricevuta la devo spedire all’Agenzia Entrate?” “No, è tutto automatico.” Sono seguite esclamazioni di meraviglia e, soprattutto, una domanda fondamentale: “Ma se hanno fatto questo bellissimo sistema, perché non avvisano quando notificano la cartella che si può usare la SPID e pagare online? Nella lettera che ho ricevuto c’è scritto solo di ritirare la raccomandata presso la casa comunale e pagare presso gli Banche e Uffici Postali, ma possibile che non avvisano che con questo SPID si può fare tutto da casa”, e ancora: “sicuro che come ho fatto va bene? Se non lo dicono nella lettera dell’Agenzia Entrate, probabilmente è una procedura strana”.
Secondo me questo episodio descrive il problema di SPID.
Pochi ne conoscono il funzionamento e le potenzialità attuali ed attive, men che meno quelle future e lo Stato non aggiorna i regolamenti amministrativi che riguardano gli avvisi che riceve il cittadino sulle procedure per consultare/pagare i documenti ricevuti dalle Amministrazioni.
Il risultato è ignoranza/sfiducia dell’esistenza e uso di SPID.
Il mero rilascio da parte dello Stato non cambierà le cose.
Cambierebbero se si conoscessero e divulgassero queste potenzialità, magari facendo una campagna a tappeto sulla Rai, con i principali anchormen intenti a mostrarne l’uso nei programmi mainstream e youtubers di grido attivi sui social media nello stesso modo, si farebbe molto di più che con l’operazione descritta nella strategia.
Aggiungo che il mancato “decollo” di SPID (che comunque ha numeri del tutto comparabili con le identità di altri Paesi UE) dipende anche dall’incertezza governativa circa l’avvio e le prospettive dell’utilizzo SPID per servizi privati.
Agid ha deliberato un tariffario per l’uso di identificazioni/autenticazioni SPID da parte di privati che sembra, tuttavia, non adeguato alla complessità del mercato e carente di meccanismi che lo rendano in grado di adeguarsi e aggiornarsi nel tempo, tanto che, ad oggi, solo un servizio privato utilizza SPID.
Vi sono inoltre incertezze su come (e se) i service provider privati possano avviare servizi di firma tramite SPID. Tali servizi sarebbero importanti per l’utilizzo presso i CAF, essi potrebbero fare la differenza la possibilità per il cittadino, di “firmare” utilizzando la SPID, così rendendo il CAF l’interfaccia umana di una PA digitale e la SPID il tramite per digitalizzare il proprio rapporto con la PA ma, appunto, l’incertezza in tema di SPID e in tema di uso privato di SPID, non giova affatto a tale evoluzione.
Insomma, il mondo SPID ha una serie di problematiche aperte che richiedono attenzione, a norme vigenti, mentre il Piano ne ripropone un reset, dagli esiti incerti, ma che, almeno sulla carta, sembra suscettibile di allontanare i tempi di effettiva adozione del sistema.
Vi sono poi ulteriori considerazioni che potrebbero venire in gioco con la statalizzazione del sistema SPID, nei termini in cui lo conosciamo.
Una recente sentenza della Corte di Giustizia UE (C-171/17) condanna l’Ungheria per aver affidato a una impresa controllata dallo Stato in via esclusiva servizi di interesse economico generale, in violazione delle regole UE (nella specie il sistema di pagamento elettronico dei parcheggi).
Non dimentichiamo che lo SPID italiano è un servizio per Pubbliche Amministrazioni ma anche per privati ed è dunque soggetto alle regole della concorrenza ed appalti pubblici. L’operazione descritta andrà dunque attentamente valutata anche sotto questo profilo per non incorrere in violazioni UE che, per essere risolte, rallenterebbero ulteriormente la definitiva adozione.
Il lancio del “Registro dei domicili digitali”
Ulteriore misura riguarda il lancio del “Registro dei domicili digitali”.
Il domicilio digitale, ancorché in sordina, è già attivo per tutti i professionisti che hanno una PEC registrata come da obbligo.
Ciò che lascia perplessi della misura prevista nella Strategia (ricordiamo quinquennale) è che, a fronte dell’attuale previsione di obbligo progressivo del domicilio digitale, il documento parla prima della possibilità di eleggere un domicilio digitale, per poi dire che verrà stabilita una data dalla quale disporre di un domicilio digitale diverrà obbligatorio. L’obbligo sarà dunque solo di “disporre” di un domicilio, ma non si dice però che diverrà veramente obbligatorio usarlo per l’Amministrazione con sanzioni per il mancato utilizzo. Attualmente l’obbligo di utilizzo esiste per l’Amministrazione per i professionisti che ne sono dotati ma viene eluso senza particolari conseguenze (si possono chiedere all’Amministrazione indietro le spese di notifica).
Sino a che non si arriva alla nullità della comunicazione cartacea, la norma rimane una sorta di indicazione di principio. Non viene invece citata – come mi sarei invece aspettato – la piena attuazione delle norme del CAD che prevedono l’esonero dal cittadino dal conservare e produrre alla P.A. i documenti della quale essa già dispone e la creazione di link univoci agli stessi per l’accesso. Probabilmente queste norme saranno sussunte nella app “IO”, l’app con la quale il cittadino utilizzerà i servizi pubblici”, che viene invece ampiamente citata nel piano. E che ora – parole della ministra – arriverà a febbraio, “si spera”. Ma per ora senza obblighi per le PA.
Il progetto ha origini ormai risalenti negli anni. Se ne iniziò a parlare come “Italia Login” e, successivamente, fu rilanciato dal Team Digitale come “Io”, completamente ristrutturato e ridisegnato.
App IO: bisogna accelerare
L’app Io è una sfida che deve essere vinta ma deve essere in funzione ben prima del 2025 perché su questo fronte l’Italia è già in ritardo e, più che una app, mi sarei atteso la creazione di una piattaforma dei servizi, con versione “app”, ma utilizzabile anche mediante browser semplice perché vi sono categorie di cittadini che non hanno ancora familiarità con lo smartphone e preferiscono (o dispongono) solo di accesso a postazione fissa, magari presso il proprio CAF.
Anche in questo caso la differenza la può fare una solida e convincente comunicazione e formazione da parte pubblica rispetto a cittadini e personale della PA e un certosino lavoro sulle procedure amministrative per adattarle all’App, anche solo per comunicare, nella modulistica standard, che è possibile avvalersi dell’App.
La particolare attenzione al contesto concorrenziale, già menzionata per SPID, dovrà essere tenuta anche per Io perché si parla, anche per questo sistema, di apertura ai servizi dei privati.
Interessanti poi le misure che riguardano il procurement semplificato (deroghe al Codice Appalti per i servizi digitali) che vengono annunciate però in maniera generica e senza alcuna indicazione specifica: si auspica che venga introdotta al più presto questa indicazione che sarebbe uno dei maggiori valori aggiunti del Piano perché, lato PA, una delle maggiori difficoltà nel “trasformare” i propri servizi, è adottare modalità di procurement veloci e flessibili rispetto alle soluzioni software e cloud che vengono proposte, le cui specifiche sono molto complesse da determinare “a priori” e richiedono una progettazione congiunta, fianco a fianco, tra chi fornisce la soluzione e la PA.
Se tale misura, per ora solamente di principio, verrà riempita di effettività, la Strategia assumerà una dimensione di vera innovazione.
Come ultima misura mi vorrei brevemente soffermare sulle politiche riguardano l’intelligenza artificiale.
In questo caso merita un plauso il proposito di voler accompagnare l’adozione di sistemi di AI nell’azione amministrativa nel rispetto di principi etici e giuridici e di continuare il lavoro (già intrapreso su più tavoli sui medesimi).
Una tale azione comporta però, per essere attuata, la necessità di modificare il procedimento e l’azione giurisdizionale amministrativa, rendendola compatibile con un uso etico e giuridicamente corretto dell’intelligenza artificiale. È un tema enorme e da monitorare attentamente, forse uno dei più interessanti ed innovativi della Strategia.