Gli studi professionali – commercialisti, consulenti del lavoro, avvocati – rappresentano una infrastruttura di business che nel corso degli anni ha giocato un ruolo fondamentale per lo sviluppo del tessuto economico-imprenditoriale italiano, specie nel caso di piccole e medie imprese. Sarà così anche in futuro? Di certo la trasformazione digitale sta impattando in modo rilevante sui servizi offerti da queste organizzazioni.
Fra dieci anni avremo ancora bisogno di un commercialista? I contratti saranno ancora scritti da avvocati, oppure da sistemi di intelligenza artificiale? Mentre molti si interrogano sull’impatto a livello di posti di lavoro, in pochi si chiedono quale sia lo stato di fatto e come gli studi professionali possano ripensarsi per cavalcare l’innovazione digitale, anziché farsi travolgere da essa. L’Università di Pavia – in collaborazione con SI-NET e Accademia dei Commercialisti – ha svolto un’indagine sul livello di maturità digitale degli studi professionali italiani, prestando attenzione anche alle prospettive di sviluppo futuro.
Qui riportiamo una sintesi circa alcuni fra i risultati più interessanti. Emergono alcune conferme, diverse sorprese, molti spunti di riflessione che riteniamo importanti al fine di non disperdere l’enorme patrimonio di know-how e capitale relazionale sviluppato negli anni da parte di questa importante componente del tessuto economico italiano.
Studi professionali, la situazione in Italia: i dati dell’Università di Pavia
L’indagine si è basata su un questionario strutturato che è stato compilato da 501 studi professionali. Il focus è sulla Regione Lombardia (54% dei rispondenti), per quanto l’analisi considera anche un campione di controllo (il rimanente 46%) che abbraccia tutte le altre 19 regioni italiane. Fra le diverse tipologie, l’indagine è rivolta in particolare agli studi di commercialisti (78% del campione).
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Si tratta di realtà dove il titolare ha più di 55 anni nel 38% dei casi, mentre solo nel 6% dei casi sono organizzazioni guidate da giovani con meno di 35 anni. Questo elemento gioca un ruolo importante nell’interpretazione dei dati che seguono.
I fronti critici: investimenti limitati e approccio ancora troppo prudente
Fra i principali argomenti trattati dallo studio vi è la stima circa l’ammontare di investimenti in sviluppo digitale da parte degli studi professionali, tanto a livello di tecnologie (vedi tab.1) – es. ammodernamento tecnologie hardware / PC; acquisto di software; marketing digitale, etc. – quanto in termini di sviluppo di competenze mediante attività di formazione specifica su queste tematiche (tab. 2).
Di fatto, negli ultimi tre anni circa uno studio su sette (14%) ha fatto investimenti economici davvero limitati in quanto a soluzioni e applicativi digitali. Circa la metà (49.3%) prova a fare qualcosa, ma si tratta comunque di cifre modeste: fra 1000 e 5000 euro all’anno. Rileviamo tuttavia anche una quota interessante di studi (9.2%) che – rispetto alla dimensione della propria organizzazione – ha il coraggio di investire ogni anno cifre significative.
Tab. 1. Ammontare degli investimenti in sviluppo digitale (Media annuale)
meno di 1000 euro all’anno | 14.2% |
1001 – 5000 euro all’anno; | 49.3% |
5,001 – 15,000 euro all’anno | 27.3% |
15,001 – 30,000 euro all’anno | 6.8% |
oltre 30.000 euro all’anno | 2.4% |
Fonte: Digita4good Lab – Università di Pavia (2021)
Il quadro a livello di formazione aziendale su tematiche connesse alla trasformazione digitale è analogo al precedente, per quanto un po’ più incoraggiante. Come si evince dalla Tabella 2, si nota una certa polarizzazione attorno a due prospettive: il campione è nettamente diviso fra chi crede e chi non crede nello sviluppo di competenze digitali. Questo scenario “a due velocità” è confermato anche da altri dati emersi nel corso della nostra indagine.
Tab. 2. Numero medio di giornate di formazione all’anno su tematiche legate alla trasformazione digitale
0-1 | 31% |
2-3 | 4% |
4-5 | 17% |
6 o oltre | 18% |
Fonte: Digita4good Lab – Università di Pavia (2021)
L’analisi
Complessivamente, sono dati che suggeriscono come il percorso verso un’adeguata maturità digitale sia, per questo comparto, ancora decisamente in fieri. Infatti, diffusi sono pressoché solo software gestionali di base e sistemi di backup/recovery, mentre sono assenti non giustificati le soluzioni digitali più evolute, come: dashboard che forniscono report in tempo reale, sistemi di collaborazione avanzati, per non parlare dell’intelligenza artificiale (all’ultimo posto in quanto a diffusione). Molto limitato anche il ricorso al marketing digitale.
Ma per cosa vengono utilizzate queste soluzioni digitali? Alla luce dei dati in figura 2, emerge un orientamento piuttosto conservativo: ci si limita per lo più a sistemi di supporto e/o automazione dei processi core (es. fatturazione), mentre si fatica a cogliere la trasformazione digitale come opportunità di rinnovamento dei servizi offerti e/o per un miglior dialogo con i propri clienti.
Studi professionali, un contesto a due velocità
Si è quindi provato a verificare se e quanto questi dati presentassero variazioni significative nel ristretto gruppo di “best performer”, individuati secondo due prospettive. In primo luogo, è stato isolato un sotto-campione di realtà che negli ultimi tre anni hanno presentato in ogni esercizio una crescita di fatturato sostenuta, uguale o maggiore a +10%: raggiungono questo status il 9.7% degli studi nel nostro campione. Poi sono stati mappati i casi che negli ultimi tre anni hanno implementato un rinnovamento tangibile nel portafoglio di servizi offerto: un’evoluzione di questa natura è rintracciabile nel 13% degli studi presenti nel campione.
La tabella 1 mostra i risultati di questo approfondimento a livello di investimenti in sviluppo digitale. Emergono evidenze molto interessanti: le imprese più performanti in quanto a crescita di fatturato investono ben il 65% in più in tecnologie digitali rispetto alle altre (10,765 € vs 6,517 € in media all’anno). Situazione analoga nel caso degli investimenti in formazione (+43%). Certo, “correlation is not causation”: qualcuno potrà lecitamente ritenere che chi cresce di più è in una condizione migliore per fare investimenti in nuovi progetti (è nato prima l’uovo o la gallina?). Tuttavia, il dato è così forte che fa comunque riflettere. Sono realtà che sembrano davvero vivere “in un altro mondo”.
Quando si parla di innovazione, i dati suggeriscono che la spinta propulsiva del digitale arriva specie dagli investimenti in capitale umano mediante formazione specifica (+81%), ancor più che da investimenti in applicativi digitali (+64%). Questo è un bel segnale, specie per le piccole imprese: soprattutto nelle fasi iniziali, la differenza la fa il capitale umano, le idee e le competenze, ancor più del portafoglio di tecnologie a disposizione.
Tab.1. Orientamento alla trasformazione digitale in relazione alla performance e al livello d’innovazione
Crescita di fatturato nell’ultimo triennio | Livello di innovazione (rinnovamento dei servizi offerti) | |||
Studi con crescita CONTENUTA (inferiore al 10%) | Studi con crescita RILEVANTE (oltre 10%) | Studi con tasso di rinnovamento CONTENUTO | Studi con tasso di rinnovamento RILEVANTE | |
Investimenti in tecnologie digitali (media all’anno) | 6,517 € | 10,765 € | 6,386 € | 10,530 € |
Giornate formazione su tematiche legate trasformazione digitale (media all’anno) | 3.7 | 5.3 | 3.5 | 6.3 |
Fonte: Digita4good Lab – Università di Pavia (2021)
Le tabelle 2 e 3 mostrano come cambia – nelle imprese più performanti – l’attenzione verso le diverse soluzioni digitali, nonché come variano gli obiettivi perseguiti. Rispetto a quanto presentato in precedenza per il campione nella sua interezza, il quadro muta in modo radicale. Le tre classi di soluzioni digitali più diffuse fra le realtà di successo (tab.2) sono ora proprio quelle più ignorate dagli altri, ossia: dashboard con dati elaborati in tempo reale per accrescere l’agilità organizzativa e la prontezza di reazione rispetto alle turbolenze ambientali, sistemi di collaborazione avanzati per creare valore facendo leva su un eco-sistema di attori interconnessi, software / applicazioni disponibili solo in cloud per disporre sempre di tecnologie up-to-grade.
Perseguendo quali obiettivi? Secondo i dati in tabella 3, la vision degli studi ‘illuminati’ in tema di trasformazione digitale – in primo luogo – è sempre più ispirata da logiche “customer-centric” (es. miglioramento della relazione con il cliente e attività di marketing digitale). Inoltre, è un orientamento che interpreta questa rivoluzione come un modo per immagine servizi innovativi, anziché limitarsi ad automatizzare l’analogico.
Tab.2. Le tre famiglie di soluzioni digitali più strategiche secondo gli studi professionali più performanti
Studi a maggior crescita di fatturato * | Studi più innovativi * | |
Dashboard e “cruscotti” che mostrano dati elaborati in tempo reale | +21.4% | +33.2% |
Sistemi di collaborazione avanzati, oltre l’email (es. Slack, MS teams) | +17.3% | +25.5% |
Software / applicazioni disponibili solo in cloud (Saas) | +16.1% | +25.3% |
* variazione rispetto al dato relativo al campione nel suo insieme
Fonte: Digita4good Lab – Università di Pavia (2021)
Tab. 3. I tre principali obiettivi nell’uso di soluzioni digitali secondo gli studi professionali più performanti
Studi a maggior crescita di fatturato * | Studi innovativi |
Migliorare il coordinamento con i clienti (+46%) Gestire i flussi economico-finanziari (es. fatturazione, buste paga) (+25%) Offrire servizi che prima non offrivano (+23%) | Migliorare il coordinamento con i clienti (+47%) Offrire servizi che prima non offrivano (+35%) Attività commerciali / marketing (+31%) |
* fra parentesi la variazione rispetto al dato relativo al campione nel suo insieme
Fonte: Digita4good Lab – Università di Pavia (2021)
Conclusione
Gli studi professionali in Italia possono avere di fronte a sé un futuro davvero roseo: tuttavia, non è un futuro già scritto, non per tutti. Poco spazio per le vie di mezzo: la nostra indagine mostra un cluster emergente e promettente di realtà che stanno interpretando la trasformazione digitale in modo illuminato ed originale, sperimentando nuove proposizioni di valore incentrate sul cliente, aperte, che fanno leva in modo agile sui dati a disposizione.
Quale elemento non da poco, è un atteggiamento che paga: i nostri dati suggeriscono che le realtà con questo atteggiamento sono quelle più performanti. Il problema è che queste casistiche sono, ad oggi, ancora troppo poche. Inoltre, faticano ad essere di ispirazione, e a fare da traino per il restante gruppo di studi professionali ‘vecchia maniera’, troppo ancorati ad una visione della tecnologia un po’ troppo vintage. Un sistema a due velocità dove la gran parte degli studi professionali italiani si trova di fronte ad un bivio: investire in modo convinto sulla trasformazione digitale – a partire dal portafoglio di competenze, ancor prima di quello tecnologico – o restare romanticamente ancorati ad un passato dorato che non esiste più. Pillola rossa o pillola blu? La scelta è non più rinviabile.