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Transizione 5.0, gli impatti dei ritardi e della burocrazia sulle imprese



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Le incertezze sui tempi di attuazione del piano Transizione 5.0 incidono sulle attività che gli imprenditori devono programmare, inoltre è utile sottolineare come alle misure del piano si accompagnino interventi mirati sui processi amministrativi, per rendere pratiche e autorizzazioni più semplici

Pubblicato il 16 lug 2024

Nicola Testa

Presidente U.NA.P.P.A. Unione Nazionale Professionisti Pratiche Amministrative



Industrial,Technology,Concept.,Factory,Automation.,Smart,Factory.,Industry,4.0

Giunti a metà luglio, la bozza del decreto attuativo di Transizione 5.0 è ancora al vaglio della Corte dei Conti. E poiché il testo è stato fin qui oggetto di diversi ritocchi risulta comunque necessario attendere il via libera definitivo per fornirne un giudizio definitivo: è però considerato dagli addetti ai lavori piuttosto complesso e ciò viene addotto dai tecnici dei dicasteri come causa principale dei ritardi che il provvedimento è ancora oggi costretto a scontare. E questa incertezza sui tempi di attuazione già induce a ipotizzare la concessione di proroghe.

Non solo. Per rendere la trasformazione digitale ed ecologica più efficace è indispensabile che alle misure di Transizione 5.0 si accompagnino interventi mirati sul procedimento amministrativo. Una priorità per rendere le pratiche e le procedure di autorizzazione più semplici, rapide e omogenee, oltre che coerenti con gli obiettivi indicati e al tempo stesso compatibili con quelle che ci si attende saranno le crescenti competenze digitali degli operatori, dall’impresa alla Pubblica amministrazione.

Transizione 5.0, gli impatti della lunga attesa

In un incontro agli inizi di giugno fra il nuovo presidente di Confindustria, Emanuele Orsini e il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, quest’ultimo si era detto ottimista circa il fatto che entro la fine di giugno il decreto relativo a Transizione 5.0 sarebbe stato operativo e le imprese avrebbero perciò potuto programmare i loro interventi tecnologici suscettibili di credito di imposta per la seconda parte dell’anno.

Lo schema previsto, com’è noto, è quello del credito di imposta riconosciuto alle imprese che effettuano nuovi investimenti in strutture ubicate sul territorio nazionale, beni materiali e immateriali, nell’ambito di progetti di innovazione da cui consegua una riduzione dei consumi energetici.

La roadmap

Essendo l’atteso decreto un provvedimento decisivo non soltanto per la crescita produttiva ma anche per la transizione ecologica, la risorsa tempo è necessariamente assai preziosa. E rispetto alle previsioni legislative siamo già in grande ritardo

Il Decreto legge 2 marzo 2024 n. 19, con il quale si approvava il Piano Transizione 5.0, è stato infatti pubblicato in Gazzetta Ufficiale tre mesi fa. E con esso si stabiliva che entro 30 giorni il Ministero delle imprese e del Made in Italy avrebbe dovuto licenziare, sentito il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, oltre che il Ministero dell’Economia e delle Finanze per la necessaria copertura finanziaria, il decreto attuativo dello stesso Piano. Sappiamo che l’attuazione di una legge è condizionata all’approvazione dei decreti attuativi ad essa collegati e che ciò costituisce sempre una condizione strutturale di ritardo.

Sotto questo profilo non sembra vi sia nulla da fare. Anche se stiamo parlando di ritardi che incidono non soltanto sul singolo provvedimento in via di implementazione, ma anche sull’insieme di azioni che gli imprenditori devono programmare per tempo, per non rischiare di pregiudicare la loro concreta possibilità di realizzare gli obiettivi di produzione e reddito per l’anno corrente. Imprenditori che sono abituati ad agire con concretezza, intendendo ideazione, valutazione, azione, misurazione del risultato come un unico orizzonte di investimento all’interno di tempi chiaramente definiti.

La retroattività di Transizione 5.0

Transizione 5.0 si applica retroattivamente agli investimenti effettuati dal primo gennaio 2024, e le imprese erano a conoscenza fin dallo scorso anno dell’imminente adozione di questo provvedimento, anche se non potendo disporre ancora delle regole specifiche per l’applicazione degli sgravi non erano comunque in grado di valutare correttamente il ritorno dei propri investimenti.

Ora avranno tempo fino al termine del 2025 per completare l’acquisto dei beni strumentali agevolati dagli incentivi e per riconnetterli alla propria linea di produzione o alla rete di fornitura. Considerando come data di riferimento quella del primo impegno giuridicamente vincolante rispetto alla realizzazione degli ordini di acquisto dei beni oggetto di investimento.

I costi dei ritardi

E se per il decisore pubblico il tempo impiegato nell’approvazione di un dato provvedimento legislativo non è detto abbia un costo, per un imprenditore il dilazionamento dei termini di un investimento comporta sempre un corrispondente costo economico. Ma non solo: poiché Transizione 5.0 è una misura finanziata con 6,3 miliardi di PNRR, un ritardo nell’attuazione del provvedimento comporta a cascata anche ritardi nella timeline di esecuzione delle componenti del PNRR, con conseguente incremento del rischio di veder tardare l’ingresso delle prossime rate del finanziamento europeo situazione che non vorremmo si venisse a creare.

Gli obiettivi di sostenibilità

In ogni caso Transizione 5.0 è da accogliere con soddisfazione, pur sottolineando alcuni aspetti che, a nostro avviso, rappresentano una criticità importante dell’impostazione assegnata a quest’ultima variante delle misure a favore della transizione digitale ed ecologica delle imprese italiane. In precedenti interventi abbiamo già avuto modo di mettere in guardia rispetto all’errore di considerare Transizione 5.0 alla stregua di una semplice estensione – senza soluzione di continuità – dei percorsi e delle strategie che in anni recenti hanno caratterizzato le politiche per l’innovazione nel mondo delle imprese e delle attività produttive.

Poiché i presupposti del piano 5.0 a differenza del 4.0 e delle misure simili che l’hanno preceduta, riguardano la nuova prospettiva di sviluppo sostenibile associata all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Secondo un insieme di obiettivi correlati a un’idea di sviluppo sostenibile che, oltre all’ambiente, include un’idea di giustizia distributiva e di equa eguaglianza delle opportunità, una concezione della crescita economica legata a infrastrutture materiali e immateriali durature e innovazione inclusiva, una visione degli insediamenti umani sicura, una prospettiva di tutela delle risorse ambientali.

Alla ricerca di un nuovo equilibrio

Legandosi all’obiettivo di sviluppo 9, relativo alla promozione di un’industrializzazione e di innovazioni “inclusive e sostenibili”, Transizione 5.0 implica perciò il superamento del classico modello di sviluppo estrattivo di produzione e consumo, a vantaggio di un modello di economia circolare, capace di realizzare un nuovo equilibrio fra capitale umano, finanziario e naturale-ambientale.

È dunque assai limitativo intendere Transizione 5.0 come una semplice somma tecnologie digitali più compatibilità ambientale, perché la prospettiva di sostenibilità inaugurata con questo provvedimento va ben al di là di questo pur importante orizzonte. E in questa prospettiva occorre includere anche le autorizzazioni amministrative previste per gli insediamenti produttivi, che rappresentano in maniera evidente gli strumenti necessari ad assicurare la sostenibilità di cui abbiamo appena parlato, ambito che ci interessa da vicino in quanto siamo intermediari che supportano le aziende nei loro processi operativi nei confronti della pubblica amministrazione.

Transizione 5.0, perché servono processi semplici

Siamo sempre assai sensibili ad ogni aspetto riguardante lo sviluppo delle nostre attività produttive e lo siamo cercando in ogni occasione di rivolgere la nostra attenzione all’applicazione pratica dei diversi provvedimenti, ben sapendo che per raggiungere la propria efficacia essi devono nella maggior parte dei casi passare per la via burocratica. È perciò importante rendere sempre più snello il procedimento per accedere a questi e altri benefici, partendo da informazioni puntuali, chiare e il più possibile in grado di fugare dubbi interpretativi e applicativi.

Tuttavia se ci riconosciamo negli obiettivi dello sviluppo sostenibile affermati dall’Agenda 2030 il discorso si allarga. Oltre all’obiettivo di sviluppo 9, infatti, sono direttamente coinvolti anche i fini di sviluppo sostenibili collegati agli obiettivi 8 (crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, piena e produttiva occupazione e lavoro dignitoso), 11 (città inclusive, sicure, flessibili e sostenibili), 12 (modelli di consumo e produzione sostenibili), 13 (combattere il cambiamento climatico), 15 (fermare e invertire il degrado del suolo) e 16 (costruire istituzioni efficaci, responsabili e inclusive a tutti i livelli).

Allo stato attuale delle cose, con Transizione 5.0 l’attenzione viene rivolta esclusivamente all’investimento verso beni materiali e immateriali (software, piattaforme informatiche, applicazioni digitali), strumentali all’esercizio dell’attività di impresa, oltre che al finanziamento delle spese in attività di formazione finalizzate all’acquisizione o al consolidamento delle competenze nelle tecnologie per la transizione digitale ed energetica dei processi produttivi. Percorsi formativi che dovranno essere realizzati da soggetti esterni all’impresa e potranno essere fruiti sia in presenza sia da remoto.

Il nodo della burocrazia

La verifica “certificata” degli obiettivi tangibili contemplati dalla transizione digitale ed ecologica non può che rimandare a procedure amministrative che, nel caso delle attività imprenditoriali e produttive, autorizzino quelle stesse attività in base all’attestazione della loro riscontrata sostenibilità. E poiché la realizzazione di questi obiettivi può comportare una complessità maggiore rispetto a quella dei procedimenti autorizzativi già previsti dalla legge, operare in direzione di una loro semplificazione risulta determinante.

Sappiamo che in questa direzione sta già operando il Dipartimento della Funzione Pubblica, con un impegno che vede operare mille esperti esterni al fianco degli enti locali nell’analisi delle procedure amministrative di maggior rilievo, con l’obiettivo di raggiungere la semplificazione di 600 procedure entro la fine dell’anno, oltre che di mettere a punto un “Catalogo generale dei procedimenti” che servirà a rendere la vita di imprese e cittadini più semplice, quanto meno rispetto all’armonizzazione delle corrispondenti procedure autorizzative.

Il ruolo dei professionisti delle pratiche amministrativa

Ma sappiamo anche che Unappa non siede a questo tavolo di esperti se non occasionalmente e mai è stata ad oggi coinvolta nella valutazione delle procedure e nella loro reingegnerizzazione. Il ruolo dei professionisti che si occupano di pratiche amministrative diventa fondamentale. Poiché non si tratta più soltanto di agevolare l’accesso al procedimento amministrativo di molte attività imprenditoriali, mettendo a disposizione le competenze professionali che si hanno in ambito digitale.

Ma si tratta di rappresentare un passaggio indispensabile per la verifica quotidiana dell’allineamento fra scopi economici dell’impresa, obiettivi produttivi della collettività e compatibilità con il modello di sviluppo sostenibile adottato in prospettiva europea. Pertanto professionisti sempre più qualificati e responsabili che potranno supportare questo cambiamento epocale e l’avanzamento di progetti.

L’Agenzia di Pratiche Amministrative e il professionista Unappa che oggi è qualificato ai sensi della Legge 4/2013 sono pronti ad assumere un ruolo attivo anche in questo frangente. Ma allora, proprio nel momento in cui si procede all’attuazione di Transizione 5.0, dobbiamo porre attenzione e risorse anche sul fronte dei procedimenti amministrativi, e di concerto decidere di coinvolgere sempre più figure e ruoli di chi per professione assolve agli adempimenti previsti dalle pubbliche amministrazioni per conto di cittadini e imprese.

Forse avrebbe un senso anche riesumare l’Agenzia delle Imprese, che come la stessa Unappa avrebbe potuto rivestire un ruolo nella riorganizzazione di questi processi; un proposito successivamente abbandonato per difficoltà intercorse sul fronte burocratico. In quanto professionisti delle pratiche amministrative siamo esperti dei procedimenti messi in atto dalle pubbliche amministrazioni, e potremmo quindi intervenire su questa materia con suggerimenti e proposte molto puntuali, volti a potenziare la semplificazione burocratica, facendoci carico di un ruolo e una responsabilità che già oggi esercitiamo sul campo.

E ciò è vero a maggior ragione nel momento in cui gli stessi obiettivi di Transizione 5.0, riguardando l’investimento in nuove tecnologie digitali compatibili con la transizione ecologica, potranno essere perseguiti con efficacia soltanto nel rispetto di procedure amministrative puntuali, rapide, semplificate.

La delega digitale

A tale proposito, il riconoscimento giuridico della delega digitale rappresenta uno strumento indispensabile per coniugare la verifica degli obiettivi di sostenibilità con la semplificazione amministrativa. E sulla delega digitale, l’associazione Unappa punta a favorire un approccio efficace alla semplificazione. Siamo infatti riusciti a far approvare emendamenti a diversi provvedimenti legislativi che prevedono il ricorso alla delega digitale. Da ultimo, nella legge di conversione del decreto legge 2 marzo 2024, n. 19 (oggi Legge 29 aprile 2024 n. 56), relativa a “Ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del PNRR”, dove la delega digitale è esplicitamente menzionata.

Tuttavia non siamo accora approdati al pieno e definitivo riconoscimento della figura del delegato digitale. Sebbene nel contesto europeo, con la recente approvazione della nuova versione del Regolamento eIDAS, inerente alle interazioni elettroniche sicure fra cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni, all’art. 3, comma 1, già preveda per l’identificazione elettronica la possibilità che una persona fisica rappresenti un’altra persona fisica o una persona giuridica. Peraltro, la recente istituzione dell’IT-Wallet, portafoglio digitale personale, sempre all’interno della suddetta Legge n. 56/2024, va chiaramente in questa direzione.

Conclusione

La strada sembra perciò già tracciata. E a questo punto, non si tratta di fare altro che introdurre nel Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) l’istituto della delega digitale, come conseguenza necessaria di un investimento sulla digitalizzazione del procedimento amministrativo che si collega con Transizione 5.0, per rendere la transizione digitale ed ecologica un orizzonte strategico in cui la trasformazione delle imprese si coniughi efficacemente con quella dell’amministrazione pubblica.

E dove il professionista che rappresentiamo, così come in passato si è reso disponibile e pronto a facilitare la diffusione di firma digitale e strumenti innovativi, fungendo da acceleratore e divulgatore, possa anche in questa occasione contribuire all’innovazione e sviluppo del Paese.

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