La guerra al digital divide passa anche dai libri. Nel caso specifico, da “Cittadini ai tempi di Internet” di Alfonso Fuggetta, professore ordinario di Informatica al Politecnico di Milano e ai vertici del Cefriel. Un saggio che spiega perché le competenze comportamentali, abilità cognitive e sensibilità, siano cruciali per vivere nel mondo al tempo del digitale.
Alcuni aspetti del mio rapporto con il professor Alfonso Fuggetta sono senz’altro particolari e valgono la pena di essere condivisi.
Quando “i tempi di Internet” non erano ancora maturi e la Pubblica Amministrazione non rientrava affatto nei miei piani, lo consideravo una figura mitologica; finalmente anche un italiano, insieme a Roger Pressman e a Ian Sommerville, tra i guru mondiali dell’ingegneria del software, che ritengo uno dei settori più entusiasmanti che possano esistere, almeno per un “disturbato” come me.
Una volta entrato nella Pubblica Amministrazione, alla fine degli anni Novanta dello scorso secolo, ho continuato a seguire la sua opera professionale su vari fronti e ne ho sempre apprezzato, oltre alla competenza e ai contenuti, la sincerità e il coraggio, che hanno certamente influito sul mio successivo approccio comunicativo.
Ad un certo punto, con sommo stupore, ho casualmente appreso che anche Alfonso seguiva con interesse le mie esternazioni e, sebbene ciò mi evidenziasse con chiarezza che anche lui qualche limite doveva pure averlo e quindi me lo rendesse decisamente più umano, contemporaneamente faceva sì che la mia, notoriamente scarsa autostima, subisse una crescita improvvisa.
In pochissimi sanno che fu proprio Fuggetta a segnalare a Diego Piacentini il mio nome (immagino insieme a diversi altri nomi ben più altisonanti) e ciò non avvenne sulla base di una profonda conoscenza personale (altrimenti col cavolo che lo avrebbe fatto), visto che con Alfonso, ad oggi, ci saremo incontrati, per lo più di sfuggita, al massimo 5 o 6 volte in tutto.
Sappiamo tutti come è andata a finire la storia tra me e Diego, ma nessuno sa, e forse mai saprà, se Alfonso si sia mai pentito di quella galeotta segnalazione.
Ora il mio nuovo ruolo di Commissario, come ho già dichiarato pubblicamente, mi ha in parte rovinato la vita, visto che con il carico di lavoro che si porta appresso riesco a dormire non più di 4 ore a notte e che la mia compagna e i miei figli mi hanno dato per disperso (e magari saranno pure contenti).
Quindi, un modo per vendicarmi del Ceo di Cefriel dovevo pur trovarlo e l’idea migliore che mi è venuta in mente, nella speranza di non aver ecceduto, è stata quella di scrivere una breve recensione (termine forse eccessivo, mi rendo perfettamente conto) sul suo nuovo libro “Cittadini ai tempi di internet”. E vendetta sia.
Ecco perché il digitale non è più un optional
Sono un tipo che difficilmente si esalta se non per qualcosa che riguarda i propri figli, o un bel concerto (ad esempio Pink Floyd o Genesis, tanto per citare gruppi nominati nel libro di Alfonso), o nel vedere un film emozionante, ma ammetto che questo libro mi ha creato una specie di stato di esaltazione e, chi un po’ mi segue, ha potuto verificare che lo sto citando in quasi tutti i miei interventi pubblici.
Alfonso mi ha messo a disposizione uno strumento potentissimo, utilissimo per il mio attuale lavoro e che mi ha permesso di non interrompere completamente le attività didattiche che seguivo in precedenza.
Mi spiego meglio, da più di 10 anni tengo, insieme ad alcuni colleghi, dei corsi sulla “consapevolezza digitale”. Su questo tema abbiamo “provato ad educare” diverse migliaia di dipendenti pubblici, abbiamo girato aziende, università e scuole di formazione, cercando di sviluppare contenuti che potessero interessare una platea più ampia possibile; dai neofiti del digitale ai digital expert.
Purtroppo, da quando ho assunto il ruolo di Commissario non ho più a disposizione il tempo per svolgere questa attività che amo profondamente e, ahimè, nella maggior parte dei casi, neppure il tempo per confrontarmi e spiegare alcuni concetti di base a chi vorrebbe saperne di più e mi chiede una mano.
In questo, Fuggetta è venuto in mio soccorso. Ho difatti preso l’abitudine di regalare, o semplicemente consigliare, “Cittadini ai tempi di internet”. Fatto sta che ho acquistato un certo numero di copie che ho poi regalato a diverse persone. Ebbene, constatare che i ringraziamenti nei miei confronti, al termine della lettura, fossero decisamente più convinti di quelli alla consegna dell’omaggio non ha fatto che confermare la mia scelta e la grande efficacia dell’opera.
Se intendete acquisire un po’ di consapevolezza su cosa voglia dire vivere ai tempi di internet in una società in cui il digitale non è più un optional, sinceramente, non credo esista, o sia mai esistito, un testo più efficace di questo.
Un libro di studio. Non solo di lettura
Il libro possiede poi una caratteristica unica (che man mano approfondirò) e cioè quello di essere adatto ad un pubblico che va dagli adolescenti ai novantenni; e su un tema come il digitale questa non è certo una banalità.
Tra l’altro in commercio non mi sembra ci siano libri così profondamente centrati sul tema della consapevolezza digitale in merito ai tempi in cui viviamo, sebbene il tema sia di primaria importanza. In questo Paese poche persone hanno afferrato questi concetti, soprattutto, nessuno li ha mai affrontati in modo così strutturato da poterli raccogliere in un testo.
Aggiungo una precisazione: come già accennato precedentemente, nonostante io tenga da tanti anni corsi sulla consapevolezza digitale (e non mi risulta ci siano molte persone che svolgono questa specifica attività) e quindi su temi in parte sovrapponibili a quelli descritti nell’opera di Alfonso, per me questo è stato, e tuttora lo è, un “libro di studio” e non una semplice lettura; su diversi aspetti ho difatti riflettuto per la prima volta grazie a “Cittadini ai tempi di internet”. L’umiltà, come dico spesso, deve essere sempre il primo riferimento, non si creda di avere totale consapevolezza su determinati concetti prima di averlo letto.
Un altro aspetto che mi piace sottolineare, a mio avviso di primaria importanza quando si fa una recensione, è che si tratta di un’opera scritta da una persona che sa come scrivere. È l’opera di uno scienziato che tuttavia è anche uno scrittore, e per il lettore è un gran bel vantaggio. Diciamocela tutta, non è sempre così. Di libri sul digitale ne è pieno il mercato, alcuni con contenuti anche stimolanti, ma poche sono le letture piacevoli ed interessanti. Tra l’altro, se il lettore fosse nato tra la fine degli anni ’50 e la metà degli anni ’70 dello scorso secolo (come il sottoscritto) è anche un po’ commovente e, a tratti, perfino poetico.
Dedicato agli “immigrants”. Ma non solo
È un libro che può essere considerato fondamentale anche da chi si ritenesse “fuori dal mondo digitale”, per raggiunti limiti d’età, o perché nella vita poco si è occupato dell’argomento. A costoro il libro non solo consiglia decisamente di occuparsene, ma in più asserisce che il ruolo degli “immigrants” è cruciale per la consapevolezza digitale collettiva.
È anche un’opera autobiografica, un libro che in qualche modo racconta se stesso. C’è dentro l’esperienza straordinaria di una vita, l’idea di come si deve studiare, di come si deve imparare e di come si deve continuare a farlo quotidianamente. Fuggetta dice: «Dobbiamo recuperare il senso e il significato dello studiare, la fatica della costruzione di un vero sapere che rifugge sia da un superficiale nozionismo, sia da un generico “saper lavorare insieme” tanto di moda in questi tempi. E dobbiamo assaporare la soddisfazione e fin la gioia derivante dalla consapevolezza di esserci arricchiti grazie a questa fatica e a quello sforzo». In qualche modo “il piacevole gusto dello studiare”, che unito a quello che io qualche anno fa chiamavo “il piacevole gusto dell’etica”, rende certamente una persona migliore e più appagata.
Il Team per la trasformazione digitale che ho il privilegio di guidare, nonché le altre strutture informatiche presenti nella PA, potrebbe anche realizzare le migliori piattaforme abilitanti ed i servizi più innovativi ed efficaci, ma se parallelamente non eseguissimo anche un’opera di inclusione e di diffusione della consapevolezza digitale, in ambito Ue il nostro Paese continuerebbe ad avere la minor penetrazione di servizi digitali.
L’importanza dell’inclusione digitale
Per questo, nei ritagli di tempo cerco di occuparmi anche di inclusione digitale, dalla scuola ai centri anziani, anch’essi aspetti evidenziati da Fuggetta nel suo libro. Infatti, da un po’ di anni cerchiamo di dedicarci ad inquadrare in modo più corretto il concetto di digital divide, perché solo conoscendo veramente chi è il nemico che si ha di fronte, si può sperare di sconfiggerlo. Ci siamo anche avventurati nel cercare di dare una definizione più ampia e precisa di tale termine («Mind the gap!», «Rivista elettronica di Diritto, Economia, Management», fondata e diretta dal prof. Donato A. Limone, numero 3 del 2017).
Riporto dal suindicato articolo: «L’emarginato digitale non è più solamente colui che non ha accesso alla rete, o non possiede le tecnologie per accedervi, quanto piuttosto colui che non “sa vivere” né la rete, né le tecnologie. L’emarginato digitale pertanto è colui il quale non possiede la competenza culturale, né le capacità critiche, per godere pienamente della sua “cittadinanza digitale” e partecipare, nei termini più democratici del termine, alla vita in seno alla comunità di appartenenza. L’emarginato digitale non è, pertanto, in grado di godere delle opportunità che la collettività può offrirgli.
Per i fattori appena enunciati si può pertanto asserire che, se in passato si è sempre ritenuto che un digital expert non potesse essere in digital divide, questa considerazione oggi non è più del tutto vera». Ecco, secondo questa nostra nuova definizione, il libro di Fuggetta può svolgere una parte importante nella lotta al digital divide.
Perché dovrebbe essere studiato a scuola e all’università
Sono inoltre convinto che “Cittadini ai tempi di internet” possa essere considerato un vero e proprio libro di testo (non è la prima volta che lo dico pubblicamente) per un “esame-percorso” universitario da tenersi in tutte le facoltà umanistiche e scientifiche. Essere un bravo specialista informatico, sottolineo nuovamente, non implica necessariamente, a mio modo di vedere, una piena consapevolezza digitale.
Sono ulteriormente convinto che il libro di Fuggetta potrebbe essere adottato anche presso le scuole superiori, ovviamente con un affiancamento da parte di insegnanti in possesso delle adeguate competenze.
È anche un libro che trasuda etica (il vocabolo che insieme a consapevolezza ho utilizzato di più negli ultimi 10 anni) con un bellissimo paragrafo sull’onestà intellettuale ai tempi di internet. E già solo questo ne giustificherebbe la lettura.
Volevo concludere parlando di competenze ed educazione (che come dice Alfonso è molto più di formazione), citando un brano del libro.
Partiamo dalla raccomandazione 2006/962/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente (Gazzetta ufficiale L 394 del 30.12.2006, pag. 10), che recita così:
«Le competenze chiave sotto forma di conoscenza, abilità e attitudini adeguate al contesto sono essenziali per ogni individuo in una società basata sulla conoscenza. Tali competenze costituiscono un valore aggiunto per il mercato del lavoro, la coesione sociale e la cittadinanza attiva, poiché offrono flessibilità e capacità di adattamento, soddisfazione e motivazione. Siccome dovrebbero essere acquisite da tutti, la raccomandazione UE propone uno strumento di riferimento per i paesi dell’Unione europea (UE) per assicurare che queste competenze chiave siano pienamente integrate nelle loro strategie ed infrastrutture, soprattutto nel contesto dell’istruzione permanente».
A distanza di 12 anni nella medesima raccomandazione del 2018 la posizione della “competenza digitale” in ordine di importanza è rimasta immutata ed è anche l’unica voce (aspetto interessante) che non è stata minimamente modificata, come potete vedere qui sotto.
Chiunque si occupa di educazione al digitale (e sarebbe auspicabile fossimo molti di più), oggi, vi direbbe che per poter sviluppare una cittadinanza matura e consapevole nell’ambito digitale, si renderebbe necessario, per esempio, erogare corsi per insegnare il coding, il pensiero computazionale, le competenze e l’utilizzo di applicazioni digitali già a partire dalla scuola primaria e, a seguire, in tutte le scuole di ogni ordine e grado, nelle università, nelle imprese di business e non-profit, nelle Pubbliche Amministrazioni, nelle libere associazioni di cittadini e nei centri anziani. Insomma ci si dovrebbe concentrare sulla competenza chiave n° 4.
Fuggetta, e qui secondo me emerge la sua vera genialità, nella seguente frase condensa ed esprime un concetto che dovrebbe essere destinato a divenire un cult:
Nell’età del digitale servono competenze tradizionali
«Per creare cittadini maturi al tempo del digitale, che è innanzitutto apertura, confronto, creatività, condivisione, è necessario sviluppare competenze comportamentali, abilità cognitive e sensibilità che rendano ogni singola persona capace di ragionare e riflettere in modo critico sulla propria esperienza, di imparare a relazionarsi in modo aperto e costruttivo con il resto della società, di affrontare in modo produttivo e consapevole il processo continuo di apprendimento e arricchimento».
Quindi, al tempo del digitale è ancora più necessario sviluppare competenze “tradizionali” (su alcune gli italiani non sono poi così male) e in qualche modo contestualizzarle. I nativi digitali si trovano spesso da soli a dover affrontare questa nuova realtà (molto più complessa della televisione “baby sitter” degli anni Settanta-Novanta dello scorso secolo), se non li fortificheremo sufficientemente, rischiamo di trasformare questa loro opportunità in un baratro.
Alfonso Fuggetta correttamente afferma che il digitale non è un optional. Aggiungerei che non è una competenza che si sostituisce alle altre competenze di base, semplicemente si aggiunge e un po’ le condiziona con la sua pervasività. Se non esistesse il digitale, le competenze chiave per la Ue sarebbero 7, non 8. Facciamo in modo che l’ottava non infici le altre (per esempio, la 5 “Competenza personale, sociale e imparare a imparare”), ma anzi le esalti.
Per chi, tra i lettori del presente articolo, si stesse domandando: «Con tutte le cose che il Commissario ha da fare perché perde tempo a commentare libri?», chiarisco a scanso di equivoci che, secondo me, recensire “Cittadini ai tempi di internet” fa parte integrante del mio nuovo ruolo, perché la sua diffusione può contribuire fattivamente alla trasformazione digitale del nostro Paese, di cui può pertanto essere un micidiale acceleratore.