False richieste di reddito di cittadinanza: viene contestata l’associazione per delinquere. L’inchiesta milanese che ha portato all’esecuzione di sedici misure cautelari non riguarda ipotesi isolate, ma un sistema organizzato per far ottenere indebitamente – e fittiziamente – il reddito di cittadinanza a migliaia di persone. Ecco la situazione.
False richieste reddito di cittadinanza, ecco le contestazioni
Il titolo di reato contestato ai soggetti sottoposti a misura cautelare nell’inchiesta milanese è il reato associativo finalizzato all’estorsione e al conseguimento di erogazioni pubbliche. Il secondo “reato scopo” è chiaro: si contesta agli indagati di aver reso o fatto rendere dichiarazioni false per ottenere erogazioni pubbliche e, nello specifico, il reddito di cittadinanza.
Questo reato è un’ipotesi speciale di truffa ai danni dello Stato, previsto dall’articolo 7 del decreto-legge 4 del 2019, che così dispone: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni. L’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all’articolo 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11, è punita con la reclusione da uno a tre anni”.
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Più “particolare” il fatto che l’altro reato scopo contestato sia l’estorsione: delitto gravissimo, sostanzialmente equiparato alla rapina in termini di pena, previsto dall’articolo 629 del Codice penale. L’ipotesi accusatoria, infatti, è che gli indagati abbiano minacciato gli impiegati del Caf presso cui venivano presentate le domande, perché procedessero con l’iter della pratica senza “fare domande” o senza fare “eccessive” verifiche.
Le sanzioni
In conclusione, se le accuse venissero confermate in giudizio, gli indagati sarebbero sottoposti ad un trattamento sanzionatorio molto elevato, ossia quello previsto dall’articolo 416 del Codice penale, che prevede che: “Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni. Per il solo fatto di partecipare all’associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni. I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori. Se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie, si applica la reclusione da cinque a quindici anni. La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più”.
In questo caso, quindi, la pena potrebbe essere aumentata per il numero dei presunti associati (16) e per l’altissimo importo ottenuto indebitamente (circa 20 milioni di euro). Se in giudizio l’ipotesi di associazione a delinquere aggravata non dovesse “tenere”, gli indagati dovranno rispondere “solo” dei “reati-scopo” contestati.
Le indagini
Senza leggere compiutamente l’ordinanza cautelare emessa dal Tribunale di Milano non è dato sapere con esattezza quale sia stata la notitia criminis. Probabile che la Guardia di finanza abbia effettuato dei controlli a campione incrociando i dati dell’Agenzia delle Entrate o che siano pervenute segnalazioni specifiche direttamente dai Caf interessati o dall’Inps. Successivamente le indagini hanno preso una piega ordinaria, partendo dalle ispezioni effettuate presso i Caf da cui sono state inviate le richieste anomale.
Da qui in poi le intercettazioni telefoniche, ancora una volta riportate impropriamente dai media, hanno dato un quadro della situazione ed è probabile che costituiscano il corpus principale dell’impianto accusatorio, insieme alle risultanze investigative ottenute incrociando dati fiscali, previdenziali ed anagrafici.
Conclusioni
L’operazione è stata presentata come un successo della lotta all’evasione ed ha dato spunto all’inevitabile polemica politica sulla scelta del reddito di cittadinanza come strumento economico per chi è in difficoltà. L’operazione è stata anche presentata come un successo perché avrebbe evitato che gli indagati potessero percepire 60 milioni di euro attraverso il sistema che avevano ideato, mentre si stima che abbiano percepito indebitamente 20 milioni di euro.
La questione andrebbe vista in un’ottica diversa: quanto è costata l’indagine e quanti di quei 20 milioni verranno recuperati? Non solo: si può giudicare una scelta politica come il reddito di cittadinanza da un’indagine della Guardia di finanza? La notizia, in sé, pare infatti poca cosa: è stata enfatizzata per fini strettamente elettorali, come spesso accade con le indagini penali. Anche quest’ultimo dato deve concorrere nella formazione delle opinioni di chi vuole formulare un giudizio politico a partire dalla cronaca: le indagini sono spettacolarizzate e strumentalizzate, a seconda del contesto.