Il sempre maggior utilizzo della tecnologia blockchain, nell’attesa di una concreta previsione normativa, porta a fondare la legittimità – o meno – di una operazione su sporadiche pronunce. Proprio lo scorso ottobre è stato connotato da due differenti risposte da parte dell’Agenzia delle Entrate la quale è stata chiamata a esprimersi sull’emissione e circolazione degli utility token (interpello n. 507 del 12 ottobre 2022) e sull’attività di mining di criptovalute (interpello n. 515 del 17 ottobre 2022).
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Come funzionano gli utility token
Gli utility token sono quei particolari token creati per dare un servizio specifico a chi li possiede e/o un trattamento preferenziale rispetto ad altri. Questi vengono usualmente creati ed utilizzati dalle società per creare hype e valore – diretto o indiretto -verso un determinato prodotto o servizio. Rispetto ai security token, a chi li detiene non è offerta una partecipazione effettiva nella società emittente degli stessi e, quindi, la loro funzione non è una opportunità di investimento.
Gli utility token, da ultimo, rappresentano la maggior parte dei token che vengono emessi nell’ambito delle ICO (Initial Coin Offer) e l’emissione di utility token nelle ICO costituisce, infatti, una tipologia di finanziamento resa possibile dalla tecnologia blockchain, utilizzata prevalentemente da start-up che intendono realizzare uno specifico progetto.
I chiarimenti dell’Agenzia delle entrate
Fatta questa premessa, l’Agenzia delle Entrate ha statuito, nel primo interpello in commento, che agli utility token non si applica il quadro normativo fiscale che si applica ai voucher (i c.d. buoni corrispettivo). La questione tra origine dal quesito di una società la cui attività consiste nel proteggere i diritti d’autore mediante la loro notarizzazione su blockchain, garantendone così l’immodificabilità in una certa data. Per raccogliere quanto necessario per completare la propria infrastruttura tecnologica e coprire le spese, l’intenzione della società è quella di iniziare una ICO attraverso l’emissione di utility token che daranno diritto a depositare la propria musica ad un prezzo di favore avendo, per l’appunto, creduto nel progetto.
Già nel corso della riunione del Comitato IVA del 2 dicembre 2019 e della riunione del 12 giugno 2020, la Commissione Europea aveva presentato due documenti di lavoro (Working Paper n. 983 del 13 novembre 2019 e Working Paper n. 993 del 21 febbraio 2020), nei quali aveva espresso forti dubbi sulla possibilità, o meno, di ricondurre gli utility token nell’ambito della disciplina dei voucher.
Differenza tra disciplina dei voucher e dei token
Nel dettaglio per la Commissione Europea la disciplina dei voucher non è applicabile a quegli utility token la cui natura cambia dopo l’emissione per diventare
- una moneta virtuale
- uno strumento d’investimento, suscettibile di essere negoziato nel mercato secondario in cambio di un profitto (c.d. hybrid token).
Un voucher, infatti, a detta della stessa Commissione “cannot change its purpose in case it is not used” (paragrafo 3.1.2. Working Paper n. 993 del 21 febbraio 2020). Secondo l’Agenzia, quindi, la capacità di un utility token di trasformarsi dopo la sua emissione farebbe venir meno la possibilità di riscontrare per detto strumento le condizioni previste per i voucher poiché:
- in determinate situazioni opera come criptovaluta, nel qual caso potrebbe piuttosto essere considerato un servizio di pagamento;
- non sono sufficientemente dettagliati i beni e/o i servizi cui darebbe diritto, o l’identità dei potenziali fornitori che partecipano alla filiera;
- il suo scopo è suscettibile di modifica e quindi la funzione dello strumento non è ben definita al momento della sua emissione.
La conclusione è che secondo l’Autorità fiscale italiana, data la duplice funzione di tali utility token – inizialmente come strumenti di finanziamento e successivamente come metodo di pagamento per servizi scontati -, a tali strumenti non si applica il trattamento IVA, previsto per i voucher, in sede di ICO.
Utility token per acquisto di un servizio scontato
Quando poi il soggetto utilizzerà l’utility token per acquistare a prezzo scontato il servizio offerto dalla Società, per tornare all’esempio in questione, detta operazione sarà sì soggetta ad IVA con l’aliquota prevista per il tipo di prestazione ricevuta, tenendo in considerazione le parti e lo stato in cui si trovano. Tale interpello porta quindi a considerare, sempre ai fini IVA, gli utility token come dei documenti di legittimazione e titoli impropri come disciplinati dall’art. 2002 c.c. poiché conferiscono al portatore il diritto di ottenere dalla Società una prestazione a prezzo ridotto rispetto a chi tale token non lo possiede.
E la cessione di un documento di legittimazione non assume rilevanza ai fini IVA: non integra, in sé, una prestazione di servizi o una cessione di beni, limitandosi a identificare l’avente diritto – in questo caso – allo sconto. Il relativo pagamento assume quindi la natura di “mera movimentazione di carattere finanziario”.
Come funziona il mining di criptovalute
Il mining è sia un metodo per generare criptovalute che il modo in cui vengono convalidate le transazioni effettuate sempre in criptovaluta. Non si tratta solo di “estrarre” criptovalute, ma anche di verificare la legittimità delle transazioni in criptovaluta sulla relativa blockchain. I miners risolvono complessi problemi matematici con l’aiuto della tecnologia e ricevono in cambio delle criptovalute. Per fare ciò il miner viene ricompensato – nel sistema di proof-of-work – con la stessa criptovaluta che ha “minato”.
È quindi un’attività redditizia a condizione che i guadagni superino i costi (elevati) di mining, tra cui costi per l’attrezzatura e l’energia impiegata. Si pensi, per concludere sul punto, al mining di Bitcoin ed all’halving, ormai prossimo, del 2024. Se alla genesi di Bitcoin la ricompensa era, per ogni blocco convalidato, di 50 Bitcoin ad oggi siamo a 6.25 ed al 2024 si andrà a 3.125. Per completezza, con l’halving, la quantità di Bitcoin che viene creata per premiare i miners si dimezza.
Aspetti fiscali del mining
Nel secondo caso, l’Agenzia delle Entrate ha analizzato il trattamento fiscale applicabile – ai fini delle imposte dirette e indirette – all’attività di mining di criptovalute. L’Agenzia ha statuito che l’impossibilità di individuare l’esistenza di un servizio “personalizzato” prestato da un miner nei confronti di uno specifico beneficiario fa sì che l’attività di mining venga trattata al di fuori del campo di applicazione dell’IVA, in quanto caratterizzata dall’assenza di un legame di reciprocità.
Anche l’OCSE nel “Taxing Virtual Currencies: An Overview of Tax Treatments and Emerging Tax Policy Issues” del 12 ottobre 2020, ha rilevato che quasi tutti i Paesi considerano le transazioni relative alle valute virtuali esenti o escluse dal campo di applicazione dell’IVA e, analogamente a quanto indicato nell’interpello dell’Agenzia delle Entrate, che l’assenza di un legame di reciproca obbligazione a beneficio di un destinatario specifico implica che la remunerazione del mining deve essere considerata fuori dal campo di applicazione dell’IVA.
Quindi, ad un miner non è consentita alcuna detrazione dell’IVA a monte perché non è tenuto a riscuotere l’imposta sulle criptovalute ricevute, come ricompensa, dalla rete per l’attività di mining svolta.
L’impatto sulle imposte dirette
Ai fini delle imposte dirette, l’Agenzia ha chiarito che tale remunerazione è inclusa nella base imponibile dell’anno fiscale in cui i servizi sono resi ai sensi del TUIR e che, sempre ai sensi del TUIR, in relazione al valore delle criptovalute detenute al termine di ciascun periodo d’imposta, si considera realizzata la differenza tra il valore fiscale iniziale e quello rilevato alla data di chiusura di ciascun periodo d’imposta. Ai fini IRAP, invece, le remunerazioni dei miners concorrono alla formazione del valore della produzione netta, rappresentando di per sé ricavi per prestazioni di servizi ascrivibili all’attività caratteristica dell’istante.