Lo scenario

Whistleblowing, perché si rischia di finire dalla padella alla brace: tutti i nodi della nuova normativa

In ritardo di un anno sui tempi richiesti dall’UE, sta per entrare in vigore la nuova legge sulla protezione dei whistleblower: tuttavia, il provvedimento presenta alcuni fronti critici che è bene approfondire, come un presunto peggioramento relativamente ad alcuni ambiti rispetto alla disciplina attuale

Pubblicato il 27 Feb 2023

Priscilla Robledo

LL.M. whistleblowing expert, The good lobby

whistleblowing

Siamo alle soglie della scadenza per l’approvazione del decreto legislativo di recepimento della direttiva (UE) 2019/1937 riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione (whistleblower). Con un ritardo di oltre un anno sulle tempistiche richieste dall’Unione europea, in quanto il recepimento era previsto per dicembre 2021, dopo che la prima legge delega del precedente Parlamento all’allora Governo era stata fatta scadere e dopo mesi di silenzio di un legislatore sordo alle ripetute richieste della società civile di coinvolgimento nella stesura del provvedimento, finalmente l’anno nuovo ha portato a una rinnovata attività legislativa. Ci si aspetta che il provvedimento diventi legge a marzo 2023.

La bozza di decreto approvata dal Consiglio dei Ministri è passata sia al vaglio delle Commissioni parlamentari competenti sia del Garante Privacy, che l’hanno in sostanza approvata. Anziché operare un allineamento certosino integrativo della disciplina europea nella legge italiana già in vigore (la l.179/2017), il provvedimento propone più o meno pedissequamente quanto contenuto nella direttiva, con alcune modifiche “all’italiana” che però contengono diverse criticità. Ci si aspetta che il provvedimento diventi legge a inizio marzo, anche perché lo scorso 15 febbraio, nelle more dell’approvazione l’Italia è stata destinataria, insieme ad altri sette stati dell’Unione, di una procedura di infrazione per mancata trasposizione nei termini imposti dalla direttiva.

Whistleblowing nel settore privato: come adeguarsi nel rispetto della privacy

Il nodo della non regressione

Nell’audizione dinanzi alle Commissioni riunite II (Giustizia) e XI (Lavoro pubblico e privato) lo scorso 12 gennaio 2023, The Good Lobby ha elencato queste criticità nella speranza che il legislatore ne cogliesse il carattere dirimente. In primo luogo salta all’occhio il tema della non regressione. La direttiva prevede che l’introduzione della nuova normativa non possa peggiorare le condizioni di tutela dei whistleblower in quei Paesi in cui, come in Italia, una disciplina è già presente. La legge delega ribadisce la clausola di non regressione. Eppure ai sensi della bozza di decreto legislativo vi sarebbe un peggioramento in almeno due casi: in primo luogo, prevede solo la segnalazione di violazioni di norme, mentre la legge nazionale dà la possibilità di segnalare non solo condotte illecite ma anche possibili irregolarità o abusi.

La differenza non è di poco conto, se si pensa che la grande maggioranza delle segnalazioni che avvengono nel nostro Paese riguardano proprio abusi e irregolarità, e più raramente vere e proprie violazioni e illeciti. Sono gli abusi e le irregolarità, infatti, ad avere terreno più fertile in un Paese in cui proliferano norme e procedure, soprattutto nel settore pubblico. Non solo sono questi gli atti di cui è più comune essere testimoni, ma è anche vero che a queste fattispecie può essere più facilmente posto rimedio internamente a un ente, se ne si ha contezza. In questa prospettiva favorire una attività di whistleblowing innesca quel circolo virtuoso che sottende alla ratio della norma: incoraggiare la segnalazione interna di irregolarità promettendo tutela, e favorendone una soluzione intra moenia.

Le segnalazioni esterne

Il secondo aspetto che nella bozza di decreto è peggiorativo rispetto alla disciplina italiana attuale riguarda le condizionalità poste alle segnalazioni esterne verso l’Autorità Nazionale Anticorruzione. Questo articolo è frutto quantomeno di un fraintendimento. La direttiva europea infatti permette le segnalazioni pubbliche (quindi non alle autorità competenti bensì alla stampa) in alcuni casi fra loro alternativi: quando il/la segnalante ha segnalato internamente o esternamente ma non ha ricevuto riscontro; quando il/la segnalante aveva fondati motivi di ritenere che la violazione potesse costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse, (una situazione di emergenza, il rischio di danno irreversibile); oppure infine nel caso in cui nell’effettuare una segnalazione alle autorità competenti (esterna), sussista il rischio di ritorsioni o di insabbiamento per via delle circostanze del caso, come quelle in cui possano essere occultate o distrutte prove oppure in cui un’autorità possa essere collusa con l’autore della violazione o coinvolta nella violazione stessa.

La bozza di decreto estende questa disciplina alle segnalazioni esterne rivolte ad ANAC, mentre la legge nazionale oggi non prevede alcuna condizionalità e non impone dunque al/alla whistleblower di operare una valutazione discrezionale sull’esistenza di una delle condizioni descritte. È necessario, invece, incoraggiare i/le segnalanti il più possibile, aggiungendo nuove tutele ma preservando quelle esistenti. Diversamente si pone il/la segnalante in una brutta posizione, poiché lo/la costringe, prima di poter procedere con una segnalazione esterna, a valutare discrezionalmente se la sua segnalazione rispetta alcuni criteri specifici, ovvero se si tratta di una segnalazione rimasta senza esito o se rischia l’insabbiamento interno.

Chi può fare le segnalazioni

Il terzo aspetto su cui è necessario operare un deciso cambio di rotta è l’ambito oggettivo delle violazioni segnalabili. Il recepimento della direttiva europea avrebbe dovuto porre fine, una volta per tutte, alle disparità tra dipendenti del settore pubblico e privato, garantendo la possibilità di segnalare – con le dovute tutele – a tutti. L’attuale schema di decreto però, così com’è stato presentato, consentirebbe al settore privato di segnalare solo le violazioni del diritto comunitario dell’Unione europea e non di quello nazionale. Ulteriori disparità sono previste anche all’interno del solo settore privato: i dipendenti di aziende con modello 231, per esempio, non possono segnalare ad ANAC violazioni del diritto nazionale a meno che ciò non riguardi alcuni settori specificamente elencati; i privati di società senza modello, invece, non possono segnalare violazioni del diritto interno in nessun caso.

La disomogeneità rispetto a questa applicazione oggettiva, che è stata rilevata già da molti commentatori, fa il paio con una tecnica redazionale del decreto che, con riferimento proprio a questo punto, ha un linguaggio tutt’altro che comprensibile. The Good Lobby ha più volte segnalato la necessità fondamentale di rimettere mano a questa norma (parliamo dell’art. 3 della bozza di decreto) che è francamente inutilmente complicata oltre che dannosa. L’estrema, ma anche inutile, difficoltà di lettura e comprensione della norma non permette la comprensione chiara da parte non solo dei segnalanti di cosa possono e cosa non possono segnalare, ma anche delle aziende di cosa debbano comunicare ai loro lavoratori e si risolve, di fatto, in una mancata o negata tutela.

Conclusione

Ci preme segnalare infine un’ultima questione che, al di là degli aspetti di tutela dei whistleblower diventa una questione di democrazia. La bozza di decreto permette ad ANAC di stipulare accordi con enti del terzo settore per attività di assistenza ai whistleblower ma esclusivamente a titolo gratuito: sono tante le organizzazioni che, effettivamente, svolgono un importante ruolo di assistenza psicologica e legale ai whistleblower, spesso costretti a vivere situazioni di forte stress, isolamento e ad affrontare lunghe battaglie legali per via delle segnalazioni fatte. Tali enti, però, devono essere messi nelle condizioni di poter assistere i segnalanti in modo serio, professionale e sostenibile.

È indispensabile, quindi, che ricevano fondi sufficienti a svolgere le attività e che abbiano accesso alle informazioni interne di ANAC, anche attraverso confronti diretti e regolari con quest’ultima. Il ruolo vitale e fondamentale che le organizzazioni della società civile svolgono in questo paese, a volte sostituendosi proprio alle istituzioni pubbliche, deve essere riconosciuto e sostenuto con politiche attive.

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