Con un nuovo round elettorale alle porte l’attenzione per le tematiche di governo e di gestione della macchina pubblica è aumentata. Dopo molti mesi di relativa stanca, anche il dibattito sul digitale è ripartito.
Certo, le emergenze che negli ultimi anni tendono a spostare il dibattito su temi più immediati e concreti. Così come non aiutano gli scarsi risultati visti in questo campo negli ultimi anni.
Qualcosa tuttavia si muove. Timidamente si ritorna a sottolineare l‘importanza strategica del digitale per il futuro di questo Paese e la necessità di dare impulso alle politiche ne che favoriscano la diffusione.
Dunque, cosa suggerire a chi nei prossimi mesi avrà la responsabilità di dare un governo a questo paese?
Certamente uno dei temi su cui servirà qualche aggiustamento è quello del procurement pubblico.
Qui, oltre a completare ciò che ancora manca della riforma del 2016, serve soprattutto mettere mano alle storture che essa ha introdotto.
Ovviamente il problema non riguarda le modalità di svolgimento degli appalti: volenti o nolenti, quelle sono dettate dall’Europa.
L’incertezza normativa che ha frenato al domanda
Il punto critico – che chi ha esperienza di pubblica amministrazione sottolinea da tempo – è quello che ci sta attorno, ossia alcune scelte derivanti dall’aver spesso confuso la fisiologia del sistema con le sue, pur gravi, patologie.
Intendiamoci, non è che con questo si neghi la gravità dei fenomeni di corruzione verificatisi nella pubblica amministrazione. Ma aver dato il compito di dettare le regole degli acquisti pubblici a chi ne deve reprimere gli illeciti è stato come affidare una pasticceria a un diabetologo e poi accorgersi che le vendite non vanno bene.
A questo punto è fondamentale è evitare di dare avvio a una nuova stagione di riforma.
Negli ultimi anni l’incertezza normativa prodotta dal cambio di regole è stata pagata a caro prezzo da tutto il sistema. Di fronte a un impianto regolatorio reso incerto da miriade di novità procedurali, spesso mal definite e incerte, chi si è trovato a gestire questi processi ha inevitabilmente assunto atteggiamenti prudenziali. L’effetto è stato il parziale blocco del sistema degli appalti pubblici con tutto ciò che ne è poi conseguito in termini di riduzione della domanda.
L’importanza di regole buone e certe
Ovviamente, perché un sistema operi bene servono delle buone regole.
La loro bontà è però inutile fintanto che esse non sono chiare e certe.
Perché una regolazione funzioni è importante che chi si assume delle responsabilità abbia ben chiaro ciò che è lecito e ciò non lo è. Essenziale, inoltre, è che le prescrizioni siano effettivamente ottemperabili.
Serve pertanto chiudere la stagione della riforma e dare inizio a una nuova fase di stabilità normativa che dia modo a chi gestisce il sistema, di limare le imperfezioni esistenti e di ottimizzare l’impianto mettendo in atto politiche attive di diffusione e accompagnamento delle nuove prassi. Solo in questo modo le amministrazioni avranno la possibilità di metabolizzare le nuove regole, di farle proprie, di capirne fino in fondo le potenzialità.
Ovviamente questo è particolarmente importante quando si tratta di procurement finalizzato all’innovazione. In questo caso stiamo infatti parlando di strumenti in larga parte nuovi, per i quali non c’è la possibilità di un aggancio a precedenti esperienze. Dunque di strumenti più difficili da capire da parte dell’utenza, per i quali maggiore sono le resistenze all’utilizzo.
Aver cambiato le regole del procurement pubblico ha rappresentato un passaggio obbligato, dettato dalla disciplina comunitaria.
Sicuramente, si poteva fare meglio. Alcuni errori potevano essere evitati.
A questo punto però non è più tempo di riforme.
Per poter funzionare il sistema ha bisogno di tempo, di chiarezza e soprattutto di lavoro. Edison, che di innovazione se ne intendeva, diceva “Genius is 1 per cent inspiration and 99 per cent perspiration”.
* L’autore scrive a titolo personale