Radicali italiani, un programma politico per il digitale

Fermiamo la cultura della scartoffia. Per un paese libero ed efficiente. Nella debolezza dei programmi politici sul fronte del digitale, in queste elezioni, ecco la proposta di Mucci candidata con +Europa Radicali Italiani

Pubblicato il 12 Feb 2018

Mara Mucci

già vicepresidente della commissione d’inchiesta sullo stato della digitalizzazione della PA nella XVII leg, informatica, resp. PA di Azione

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Nemmeno per la campagna elettorale 2018 la questione digitale sembra essere una priorità nelle agende politiche.

I nodi che ostacolano i processi digitali e quindi l’efficienza dei servizi sono emersi chiaramente nella relazione conclusiva della Commissione parlamentare d’inchiesta sul livello di innovazione e digitalizzazione delle PA, di cui ero Vicepresidente. E sono ad abundantiam più chiari per chi guarda con gli occhi di “addetto ai lavori“, e subisce suo malgrado, gli errori della politica e della dirigenza.

Per questo, assieme a 40 esperti, abbiamo deciso di mettere nero su bianco alcuni punti per un’agenda digitale del futuro (essendo io candidata nel collegio uninominale di Palazzolo sull’Oglio in provincia di Brescia, per l’apparentamento di centro sinistra).

Quattro principi base

A come Accountability: Dimostriamo che la questione digitale è prioritaria, con l’istituzione di una chiara figura politica di riferimento. Un sottosegretario o ministro ad hoc, che abbia competenze tecniche manageriali e giuridiche, affinché la strategia digitale abbia una guida forte che non finisca nelle mani di funzionari ministeriali senza una chiara e visibile responsabilità. Si chiama appunto accountability. Un uso corretto delle risorse che portino a risultati attesi.

B come Basta sprechi. Nel digitale, ogni anno, si investe tanto (5,5 miliardi di euro investiti, 85 euro per ogni cittadino). Queste risorse devono essere indirizzate a progetti con scadenze precise (basta con progetti decennali stile ANPR, in continuo rifacimento), evitando di destinare a pioggia al primo che passa, ma utilizzandole con trasparenza e serietà (basta progetti in mano alle partecipate pubbliche, che sforano il budget, e che sono già obsoleti dal punto di vista progettuale).

C come Cultura digitale e di cittadinanza e come Competenze. Possiamo avere i servizi più belli e funzionali dell’intera UE, ma se non vengono utilizzati sono del tutto inutili. Ad esempio il fascicolo sanitario elettronico, ancora assente in diverse regioni, e poco conosciuto dai cittadini che potrebbero usufruirne. Ma in fondo è solo un esempio fra tanti. Dunque puntiamo sulla cultura, anche per una piena coscienza dei diritti di cittadinanza digitale. Alla voce competenze poi c’è tutto il capitolo che riguarda i dipendenti e dirigenti pubblici. Scarse competenze interne uguale scarsi risultati e sprechi.

D come Da Fare! Troppe norme, e nel profluvio di norme si nasconde tutto il dramma del nostro paese, ovvero la mancata attuazione. Una normativa difficilmente masticabile -anche a causa del problema C- ed il Codice dell’Amministrazione digitale che risulta essere poco chiaro e dispersivo. La conseguenza (o la scusa a monte) è la mancata attuazione. Se da qualche parte avanzeranno mai risorse (si chiama volontà politica), dovranno necessariamente finire in potenziamento di figure con la responsabilità del monitoraggio sull’attuazione dell’agenda digitale, anche con poteri sanzionatori (dunque modificare la natura di AGID trasformandola in autorità, pensiamoci). Ah, su questo punto ricordiamo che durante l’esame della scorsa Legge di Bilancio, avevo proposto la possibilità di introdurre meccanismi sanzionatori: proposta bocciata.

A parte le indicazioni di massima, il programma che abbiamo ideato contiene punti di dettaglio.

Un programma per il digitale

Uno su tutti la sicurezza: il cyberspazio italiano presenta problemi di vulnerabilità. Occorre rafforzare la Cybersecurity Nazionale con misure proattive, dando anche poteri sanzionatori ai Computer Emergency Response Team.

Di pari passo va posta l’attenzione su quello che è l’imprinting storico della pubblica amministrazione di tipo giuridico- amministrativo, da affiancare ad una vera cultura digitale da promuovere da subito a tutti i livelli. Il reclutamento del personale pubblico deve riconoscere valore ai corsi e agli aggiornamenti legati alle tematiche del digitale, non limitandosi al titolo di studio. Al personale reclutato occorre una formazione continua e costante, le competenze digitali evolvono in continuazione. E poi assunzioni di personale specifico.

Bisogna investire su infrastrutture materiali e immateriali, senza le quali non ci può essere connettività. È necessario completare la realizzazione della Banda Larga e UltraLarga su tutto il territorio nazionale.

Altro punto centrale è la tutela della privacy: è necessario rendere trasparenti le prestazioni obbligatorie per l’autorità giudiziaria da parte degli operatori di telecomunicazione e servizi elettronici di comunicazione con la pubblicazione di “transparency report” annuale.

Un altro tema ostico, affrontato in sede di commissione d’inchiesta e sul quale è opportuno porre l’attenzione, è quello attinente le gare d’appalto. È necessario aumentare l’efficienza dei progetti IT della PA, producendo più valore, cioè software e sistemi “funzionanti” realmente utili per cittadini e imprese. Bisogna predisporre in ANAC una banca dati per la raccolta e monitoraggio dei dati sugli appalti IT della PA realmente e finalmente affidabile.

Al centro di tutto, in maniera trasversale, va posta la trasparenza: i dati di rendicontazione e avanzamento dei principali progetti IT della PA devono essere “open” e pubblicamente consultabili.

Questi solo alcuni degli obiettivi da perseguire, per poter realizzare un Paese che veda la cultura digitale come una sua prerogativa.

Per superare la cultura della scartoffia, dei fax da firmare in cartaceo per poi essere scansionati e rimandati via email, oppure del deposito telematico di atti (es. Processo Civile Telematico) inviati come allegati a messaggi di PEC, scontando limiti di dimensione tecnici e altre amenità.

Informatizzare un processo non significa replicare lo stesso procedimento con mezzi diversi ma riprogettare il processo – semplificandolo – alla luce dei nuovi strumenti disponibili.

Magari riprogettando anche le menti per questa rivoluzione ancora incompiuta ma nelle nostre possibilità.

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