Trovo la direttiva europea sul copyright completamente slegata dalle reali necessità di tutela dei (sacrosanti) principi ivi enunciati.
Sono sempre stato un portatore della bandiera delle riforme delle leggi applicabili alla rete. Credo che sia giusto imporre dettami normativi al web ma, a prescindere dalle (davvero) ottime intenzioni della direttiva, ritengo che sia una vera follia il tentare di dare delle regole economiche alle dinamiche di internet, soprattutto se queste sono territorialmente limitate (solo UE) e se coinvolgono i capi del mondo economico e sociale attuale, tra l’altro con sede al di fuori del territorio: Alphabet e Facebook.
Chi fa leggi per il web dovrebbe avere ben chiaro un concetto: gli equilibri del web vanno rispettati e oggi questi dicono che le big five comandano ogni evento, soprattutto se si parla di soldi.
Secondo voi, se domani davvero Google andasse da una testata a “trattare” un accordo economico per poter pubblicare i suoi snippet, e imponesse un prezzo bassissimo, simbolico, pari allo zero, credete che qualsiasi testata del mondo non capirebbe che dire di no equivarrebbe a scomparire definitivamente dal web? Ma realmente la UE pensa di potersi intromettere in questo tipo di dinamiche?
Dal legislatore mi aspetto che trovi il modo per costringere Google a pagare le tasse, per imporre a Facebook il rispetto della privacy, oppure auspico che riescano a delineare meccanismi di riconoscimento dell’utente più accurati per non abbandonare il web all’impunità dell’anonimato. Questi sono i temi che realmente apporterebbero un plus al web.
Invece qui, in questa direttiva, la cui gestazione è stata così complicata e lunga, i legislatori si trovano a ipotizzare dinamiche innaturali, contro-mercato. Tutto questo è sbagliato, semplicemente per un motivo: queste dinamiche, seppur imposte dalle regole, non avverranno mai. La legge deve essere supportata dalla realtà delle cose e deve rispondere ad una esigenza concreta, esistente.
A parte che, così facendo, si rischia di dare in mano ai colossi del web un ulteriore strumento di potere (come se non bastassero quelli che già hanno), e cioè la possibilità di selezionare quali contenuti divulgare e quali no. Basterebbe, ad esempio, che decidessero di negoziare “l’autorizzazione alla diffusione” solamente con “alcune” fonti di informazione, magari per interessi sconosciuti a noi comuni mortali, affossando così il principio della pluralità potenzialmente infinita delle fonti sul web, prestando il fianco (o prestandosi) a giochi di potere che credo che chiunque eviterebbe volentieri.
Oppure Google, per esempio, potrebbe decidere di non-negoziare e quindi non-divulgare, creando invece una sua nuova fonte di informazione che, ovviamente, diventerebbe in un batter d’occhio il giornale più letto al mondo, con tutte le ovvie conseguenze del caso.
A volte mi sembra che il mondo “analogico” non riesca a tenere il passo di quello digitale. Né è prova il fatto che si sia scelto uno strumento indiretto, la “direttiva”, che, a differenza del “regolamento”, non è direttamente applicabile ai cittadini degli stati membri e, quindi, questi ultimi dovranno in futuro prevedere una legge nazionale che recepisca i principi enunciati dalla direttiva. In futuro?
Ma come in futuro? Quando? Si prevede che, tra leggi di recepimento, entrata in vigore di queste e tempi di adeguamento, le regole arriveranno realmente ai loro destinatari tra tre anni. Ma siamo sicuri che tra tre anni le tecnologie, le modalità di diffusione dei contenuti, il mercato, i modelli di business in tema di copyright e in tema di social e accesso ai contenuti saranno gli stessi? Un anno di progresso del web equivale forse a sette anni di progresso del mondo “analogico”, come per gli umani e i cani. Tutto questo, vi sembra ponderato?