È tutt’altro che secondario il punto che ha fatto intervenire il Garante per la Protezione dei Dati Personali la policy Whatsapp in vigore dall’8 febbraio. Sappiamo che il Garante con un comunicato stampa del 14 gennaio, ha informato gli utenti di aver portato la questione innanzi all’EDPB (il comitato dei Garanti Europei – ex working party 29) per i doversi approfondimenti e determinazioni.
In particolare, il Garante ritiene (come del resto già analizzato in un precedente articolo sulla vicenda), che tanto i termini e condizioni quanto l’informativa privacy siano poco chiari perché dalla loro lettura “non sia possibile, per gli utenti, evincere quali siano le modifiche introdotte, né comprendere chiaramente quali trattamenti di dati saranno in concreto effettuati dal servizio di messaggistica dopo l’8 febbraio” ed infatti, per riuscire a comprendere e raccontare ai lettori cosa cambierà dall’8 febbraio, abbiamo dovuto procedere ad un confronto tra le due versioni e sicuramente ciò non è un procedimento agevole o immediato per gli utenti.
Garante privacy: non è consenso ma manifestazione di volontà libera e consapevole
Neanche il Garante, però, parla di “consenso” ma si riferisce ad una più generica impossibilità per gli utenti di manifestare una volontà libera e consapevole.
Chi scrive conosce perfettamente il parere 5/2020 sul consenso là dove riporta esattamente che il consenso è la manifestazione di una volontà libera e consapevole e allora perché girarci intorno e non nominarlo direttamente visto che lo si sta definendo?
A parere di chi scrive, il Garante lo fa per non fomentare equivoci tra consenso al trattamento dei dati personali (termine da riservare alla base giuridica o condizione di liceità del trattamento ex art. 6 GDPR) di cui non c’è traccia e accettazione/determinazione consapevole del mutato quadro.
Come già argomentato, Whatsapp chiede esclusivamente di accettare di nuovi termini e condizioni a pena dell’inutilizzo del servizio; tecnicamente ci troviamo davanti alle modifiche unilaterali del contratto che costituiscono prassi nei contratti di durata (si pensi alle compagnie telefoniche che, modificando unilateralmente i prezzi del servizio, danno un congruo periodo di tempo per cambiare operatore e, al termine, considerano accettate le mutate condizioni contrattuali).
Qualcuno obietterà che è cambiata anche l’informativa privacy e tornerà a parlare di consenso; si ribadisce allora che è proprio perché Whatsapp non chiede il consenso (termine tecnico ex articolo 6 GDPR) che nascono i problemi.
Il problema della privacy di Whatsapp
Perché se da un lato, all’utente medio, non è chiaro cosa sia stato modificato, dall’altro è altresì lampante che Whatsapp non richieda il consenso per passare i dati (abbiamo già visto che si tratta di tutte le categorie di dati che raccoglie) a Facebook ma lo faccia sulla base del legittimo interesse del quale a parere di chi scrive non rispetta i presupposti.
Ma non è solo questo; se anche Whatsapp rispettasse perfettamente il bilanciamento di interessi, l’utente, ha il diritto di autodeterminarsi in merito all’utilizzo dei propri dati proprio perché si è deciso unilateralmente che l’interesse di Facebook (rectius di Whatsapp ) sia più rilevante di quello degli utenti.
E’ doveroso quindi portare all’attenzione del comitato dei Garanti questa mutata situazione che impedisce (ripetendo ancora un volta le parole del Garante) la manifestazione di una volontà libera e consapevole.
Non è una questione di forma, ma di sostanza. Siamo alla base della normativa privacy: senza questa volontà libera non c’è controllo sui propri dati e quindi forza nei propri diritti, con uno squilibrio tutto a favore di chi i nostri dati li gestisce.
WhatsApp, perché l’informativa privacy 2021 preoccupa Garante privacy, utenti ed esperti