Diffamazione e Facebook

Contenuti illeciti, social obbligati al monitoraggio attivo? Il caso alla Corte di Giustizia UE

Secondo le conclusioni dell’Avvocato Generale della Corte di Giustizia Ue, del 4 giugno, al gestore di un social network può essere imposto di rimuovere non solo i commenti diffamatori, ma anche le informazioni identiche e equivalenti, provenienti dal medesimo utente. E’ l’obbligo a un monitoraggio e sorveglianza attiva

Pubblicato il 05 Giu 2019

Tommaso Ricci

Avvocato, Data Protection & LegalTech Specialist presso DLA Piper

giustizia

Nell’ambito di una ingiunzione, un hosting provider (come Facebook) può essere costretto a ricercare e a individuare le informazioni equivalenti a quella qualificata come illecita, limitatamente alle informazioni diffuse dall’utente che ha divulgato tale informazione, ma a livello mondiale.

Sono le conclusioni dell’Avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione europea, che potrebbero avere l’effetto di imporre degli obblighi molto stringenti in capo ai gestori dei social network, che rischiano di essere chiamati ad un ruolo sempre più attivo nel monitoraggio dei contenuti.

La vicenda

La vicenda su cui è stato chiamato ad esprimersi l’Avvocato Generale ha ad oggetto un ricorso presentato al tribunale di commercio di Vienna da parte di Eva Glawischnig-Piesczek, ex-deputata al Nationalrat (Parlamento austriaco), presidente del gruppo parlamentare die Grünen («i Verdi») e portavoce nazionale di tale partito, la quale lamentava la mancata rimozione di un commento diffamatorio nei suoi confronti pubblicato su Facebook.

Secondo quanto riportato nelle conclusioni dell’Avvocato, a seguito di un’ordinanza cautelare emessa dal tribunale, Facebook ha provveduto a disabilitare l’accesso in Austria al contenuto inizialmente pubblicato. Tuttavia dopo il mancato accoglimento in sede di appello della domanda del social network intesa a limitare l’ordinanza cautelare alla Repubblica d’Austria, le parti del procedimento hanno presentato ricorso dinanzi all’Oberster Gerichtshof (Corte suprema Austriaca), per ottenere chiarezza sulla possibilità di estensione del provvedimento inibitorio, emesso nei confronti di un host provider che gestisce un social network con un elevato numero di utenti.

Con decisione del 25 ottobre 2017, la Corte Suprema, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia europea di interpretare in tale contesto la Direttiva sul commercio elettronico 2000/31/CE, secondo cui in linea di principio gli hosting providers (es. gestori di social network come Facebook) non sono responsabili delle informazioni memorizzate da terzi sui propri server qualora non abbiano effettiva conoscenza della loro illiceità.

Responsabilità degli hosting provider

Nelle sue conclusioni l’Avvocato Generale, elaborando a partire precedenti rilevanti in materia di responsabilità degli hosting providers opera una interpretazione evolutiva circostanziandola al contesto delle diffamazioni. Tali precedenti sono infatti prevalentemente riconducibili al contesto delle violazioni del diritto di proprietà intellettuale, e da tali pronunce emerge l’impostazione secondo cui il prestatore di un servizio della società dell’informazione può essere costretto ad adottare provvedimenti che contribuiscono a prevenire nuove violazioni della stessa natura nei confronti degli stessi diritti.

L’Avvocato osserva tuttavia che in materia di diffamazione, il mero riferimento ad atti della stessa natura non potrebbe svolgere lo stesso ruolo che in materia di violazione del diritto di proprietà intellettuale, in considerazione del carattere personalizzato del modo di esprimere le idee. Pertanto a differenza delle informazioni identiche a quella qualificata come illecita, le informazioni equivalenti a quest’ultima non possono essere individuate senza che un host provider ricorra a soluzioni sofisticate che potrebbero compromettere il ruolo neutrale del provider che non sarebbe soltanto tecnico, automatico e passivo, ma che comporterebbe un ruolo di contributore attivo della piattaforma, per via dell’esercizio di una certa forma di censura.

Concludendo pertanto l’Avvocato ritiene che la Direttiva sul commercio elettronico debba essere interpretata nel senso che nell’ambito di una ingiunzione un hosting provider può essere costretto a ricercare e ad individuare le informazioni equivalenti a quella qualificata come illecita, limitatamente alle informazioni diffuse dall’utente che ha divulgato tale informazione, ma a livello mondiale.

Come già evidenziato, le conclusioni dell’Avvocato generale potrebbero implicare un ruolo sempre più attivo degli hosting provider nel monitoraggio dei contenuti, seppure in tal senso le conclusioni prevedono prudentemente che il giudice che statuisce sulla rimozione di tali informazioni equivalenti deve garantire che gli effetti della sua ingiunzione siano chiari, precisi e prevedibili e deve ponderare i diritti fondamentali coinvolti e tenere conto del principio di proporzionalità.

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